
Il settore vitivinicolo ha due date da segnare in agenda: il 9 luglio, quando si capirà l’entità dei dazi di Trump e il 25 settembre quando le Nazioni Unite si ritroveranno a New York per la revisione della dichiarazione sulle malattie non trasmissibili, compresi gli effetti dell’alcol sulla salute. L’allarme è partito dall’assemblea generale di Federvini, che ha segnato anche il passaggio di consegne alla guida della Federazione, da Micaela Pallini a Giacomo Ponti.
Giacomo Ponti – presidente Federvini 2025
Per il 9 luglio è attesa la decisione definitiva degli Stati Uniti di introdurre un ulteriore dazio fino al +20%, se non addirittura oltre, su vini, spiriti e aceti. Un passaggio delicato che, come mette in evidenza Federvini, potrebbe pesare in modo significativo sulle esportazioni verso il primo mercato extra-Ue per vino, spirtis e aceti.
«Abbiamo bisogno di un’Europa forte e coesa – è il punto di vista del neoeletto Ponti – che agisca con determinazione per facilitare il dialogo e scongiurare qualunque escalation. Le nostre imprese non possono continuare a subire ingiustamente l’incertezza dettata dalle forti tensioni geopolitiche che in queste ore si stanno intensificando». Lo stesso Ponti ricorda che «già da aprile le aziende hanno dovuto far fronte al 10% di dazio imposto da Trump», in quello che il tycoon ha definito “periodo di sospensione”.
D’altronde, se l’export del 2024 ha tenuto botta, favorito anche dalle dichiarazioni di Trump che hanno portato ad una corsa alle scorte, la prima parte dell’anno mostra i primi segnali negativi.
«Da novembre ad aprile, l’incremento delle importazioni americane è stato rilevante sia per il vino, sia per gli spirits – spiega il responsabile dell’Osservatorio Denis Pantini – I vini italiani hanno registrato a volume un +17,2% dietro alla Francia (+31%) e alla Spagna (17,5%). Ma questo significa anche che adesso i magazzini sono pieni di prodotti e questo genera ulteriore incertezza nelle imprese che stanno già pagando il dazio al 10% e che aspettano il 9 luglio per capire cosa succederà».
C’è, poi, un’altra questione da non sottovalutare: la svalutazione del dollaro. «Negli Stati Uniti il clima di fiducia si sta riducendo – sottolinea Pantini – E quando il consumatore ha paura del futuro, gli acquisti sono i primi ad andarci di mezzo». E gli effetti si vedono già.
La questione statunitense si inserisce, infine, all’interno di un’ondata di neoprotezionismo che sembra aver preso quota negli ultimi anni a livello mondiale: «Purtroppo, nel post-covid sono aumentati in maniera esponenziale i rigurgiti di protezionismo – rivela Pantini – che di certo non aiutano gli scambi».
Il mondo politico – presente all’assemblea Federvini con ben tre ministri (Lollobrigida, Urso e Giorgetti), un viceministro (Cirielli) e con il presidente Ice Matteo Zoppas – ha fatto il punto sulle trattative tra le due sponde dell’Atlantico. L’ottimismo che è sempre trapelato fino ad ora ha lasciato il posto alla concretezza: «Il vostro è un settore importante che è cresciuto tantissimo – ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – Ma se fino a poco tempo fa si davano per scontate tante cose, ora all’orizzonte ci sono tanti nuvoloni. Il negoziato è molto – ha ammesso il Ministro – e non riguarda solo i dazi. Quindi sarebbe il caso di chiudere la questione dazi al 10%». Come a dire, arrivare a zero non è più l’obiettivo.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti all’Assemblea di Federvini
L’altro nuvolone, per usare l’espressione di Giorgetti, riguarda il dossier su vino e salute, con l’obiettivo dell’Oms di ridurre il consumo dannoso di alcol entro il 2030. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha, infatti, inserito l’alcol (vino incluso) tra i principali fattori di rischio assieme a tabacco, regimi alimentari insalubri e sedentarietà. E il 25 settembre, il periodo di trattative culminerà nella riunione di Alto livello delle Nazioni Unite e che potrebbe influenzare le politiche sull’alcol.
Dall’assemblea di Federvini è stato Giacomo Vigna del ministero del Made in Italy a fare il punto: «A confronto i dazi sembrano poca cosa – dice – il nuovo documento propone una maggiore tassazione sui prodotti alcolci oltre che i tagli alla promozione e il divieto di campagne di marketing soprattutto nei luoghi frequentati dai giovani. L’Italia sta tenendo posizione, ma bisogna soprattutto convincere gli altri Paesi ad opporsi a questa narrazione mainstreaming secondo cui il vino fa male, senza distinguere tra consumo e abuso. A tutti gli imprenditori – è il suo appello – chiediamo di fare lobbying a livello europeo per arrivare più forti all’appuntamento del 25 settembre».
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