Qualità, consapevolezza e condivisione. Così la Franciacorta intende affrontare tutte le sfide del mercato. Dall’intelligenza artificiale nei filari alla zonazione, dalla coesione tra produttori alla necessità di ascoltare i giovani: il nuovo presidente del Consorzio della denominazione, Emanuele Rabotti, ci fornisce la sua “ricetta” per un territorio che ogni anno firma circa 20 milioni di cuvée.
foto di Franco Cattabiani
Prima domanda-considerazione d’obbligo per avviare una chiacchierata con Emanuele Rabotti sul futuro della “sua” denominazione: il momento non è dei migliori. «C’è molta incertezza, inutile girarci intorno. Ma l’instabilità non riguarda solo il vino: riguarda l’economia globale – spiega il neo presidente – Si parla di dazi, rallentamenti, tensioni internazionali. Non c’è euforia in nessun settore. Eppure vedo il bicchiere mezzo pieno: Franciacorta è un sistema forte, costruito negli anni grazie a un lavoro continuo e condiviso sulla qualità. Oggi siamo un brand, un vino, un metodo. Dobbiamo difendere questa posizione di vantaggio».
Saten (foto di Matteo Marioli)
Gli chiediamo quindi qual è il primo passo da fare per avviarsi verso un futuro possibile… «Confrontarci e condividere ciò che funziona. L’esperienza porta risultati, e i risultati vanno messi a disposizione di tutti. È il nostro modo di crescere: insieme».
Rabotti succede a Silvano Brescianini che ha svolto un lavoro importante. Quale sarà la nuova direzione?
Nessuna discontinuità, anzi. Continuità di visione, ma anche consapevolezza che il mondo si muove veloce. Lavoreremo per valorizzare sempre di più il brand Franciacorta, mantenendo l’attenzione sulla qualità, la sostenibilità, l’identità. In più, voglio rafforzare la condivisione tra produttori e il coinvolgimento delle nuove generazioni. Senza visioni comuni, non si va da nessuna parte.
Gli obiettivi?
Consolidare la leadership, alzare il livello qualitativo, mantenere la coerenza. E soprattutto rispondere alle sfide: il cambiamento climatico, i mercati che evolvono, l’esigenza di maggiore precisione. La Franciacorta oggi può permetterselo.
La tipologia Rosé è ancora in cerca di una piena definizione.
Per il Rosé ho cambiato idea. Quando si parlava di aumentare il Pinot Nero ero scettico, poi ho visto che in realtà ha portato complessità senza compromettere la piacevolezza. È stato un bel passo avanti.
E che ne sarà del Satèn?
Sul Satèn, invece, non ho mai avuto dubbi: è un prodotto identitario, solo nostro. Unisce eleganza e cremosità, con una cifra stilistica inconfondibile. Chardonnay e Pinot Bianco insieme danno profondità e leggerezza.
Ma i dosaggi sono ormai vicino allo zero.
È un segnale chiaro: il consumatore cerca vini più raffinati, meno carichi. Franciacorta risponde bene a questa tendenza, perché si esprime con naturalezza anche nei dosaggi più bassi. Con più affinamento, più eleganza, più profondità. È una questione di maturità, di cultura del bere.
Eppure, in alcune fasce del mercato è ancora forte quella percezione del Franciacorta come prodotto morbido o “ruffiano”…
Dobbiamo raccontare meglio. Questo testimonia che abbiamo ancora ottimi margini. Un Satèn può essere pronto e cremoso dopo un certo tempo, ma può anche esprimere altre caratteristiche se lo si affina 40 mesi. Oggi la Franciacorta è in grado di proporre cose diverse, adatte a occasioni diverse. Sta a noi accompagnare il consumatore.
Come?
Senza mai complicare le cose. Inutile essere troppo tecnici. Il punto è essere concreti, coerenti e offrire scelte consapevoli.
Che ne sarà del lavoro di zonazione grazie al catasto napoleonico. Vedremo sempre più Franciacorta single vineyard?
È il primo passo di una ricerca approfondita, che non si fermerà alla superficie. Ogni zona della Franciacorta ha un’identità. Conoscerla meglio ci aiuterà a fare scelte più mirate, più sostenibili, più coerenti. È uno strumento tecnico, ma ha un valore strategico enorme. E conferma che qui non ci accontentiamo.
Cosa dice a chi è fuori Consorzio?
Il Consorzio copre oltre il 95% della produzione. Chi è Franciacorta, è dentro. Chi non lo è, è solo geograficamente qui. La forza sta nella compattezza. Ma io voglio andare oltre: voglio aumentare la condivisione, far crescere la consapevolezza collettiva. Le porte sono aperte per tutti, ma servono valori comuni.
Quale sarà il motto?
Io sono se noi siamo. È una frase che mi porto dietro da sempre. È anche il senso di questo incarico. Mio padre è stato il primo presidente del Consorzio, ma non è solo una questione familiare. È un’eredità condivisa. Se il territorio cresce, crescono tutte le aziende. È stato così dagli anni Settanta e continua a esserlo oggi.
Il disciplinare non lo menziona, ma la Franciacorta è lo specchio del carattere dei bresciani. Tenaci e non poco ambiziosi.
Non è solo questione geografica. È una cultura del lavoro. La convinzione che abbiamo qualcosa di unico. Negli anni ’90 ci si vergognava quasi a parlare di metodo classico fuori da qui. Poi ci siamo specializzati, abbiamo investito, abbiamo creduto. E siamo dannatamente caparbi. Ma non è un traguardo, è un processo continuo.
Come sarà la Franciacorta tra 10 anni?
Più sostenibile, più tecnologica, più consapevole. Siamo partiti col biologico quando non era ancora di moda. Lavoriamo su viticoltura di precisione, rispetto dei suoli, intelligenza artificiale. A Monte Rossa stiamo sviluppando software per leggere lo stato vegetativo della singola pianta. Sapremo vita, morte e miracoli della nostra uva. Questo è il futuro: conoscere, scegliere, agire. Non ideologia, ma metodo.
A che punto è il cambio generazionale in Franciacorta?
Abbiamo una nuova generazione pronta e preparatissima. Devono solo entrare in campo. Ho conosciuto ragazzi di 24-25 anni con entusiasmo, idee, energia. Ho provato tanta invidia. Tocca a noi dare loro spazio, ascoltarli, metterli in condizione di esprimersi.
E i vini fermi? Resteranno un corollario?
In Franciacorta è successo qualcosa di raro: il metodo classico è diventato la vocazione principale. In Italia vediamo il contrario, con questa corsa alle bolle un po’ ovunque. Alcune nostre aziende producono fermi, e va benissimo. Ma qui il cuore resta la bollicina. Il resto deve essere compatibile, non sovrapposto.
Quota export, siamo sul 12%. Come si cresce?
In Italia siamo ormai consolidati. Ora dobbiamo lavorare su mercati europei, Paesi dell’Est, aree in cui crescono attenzione e curiosità. I segnali sono buoni. Ma serve metodo, non slogan.
La bellezza di un piano di promozione all’estero condiviso con gli altri distretti più importanti del Metodo Classico in Italia?
Non ho mai visto lo Champagne fare fiere con il Crémant d’Alsace. Siamo territori diversi, con regole diverse. Se un giorno ci saranno standard comuni e coerenza, si potrà valutare. Ma oggi no. La nostra forza è proprio la compattezza. Non è lo stesso altrove.
L’ambizione è il sale?
C’è. Non vogliamo restare fermi. Se cresciamo tutti, il sistema tiene. Io sono, se noi siamo.
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