«Troppi ricarichi sui vini al ristorante». Quante volte lo abbiamo sentito in questi ultimi mesi? Non è un caso che il tema sia finito, nero su bianco, nel Manifesto di Assoenologi per salvare il vino: «Contenere i ricarichi oggi significa sostenere l’intera filiera domani, garantendo la vitalità dei consumi e la continuità di un settore che è parte integrante dell’identità italiana». Lo stesso Riccardo Cotarella ha, poi, chiesto una sorta di patto di solidarietà ai ristoratori per abbassare i prezzi delle bottiglie: «Conviene a tutti per vendere di più», ha detto la scorsa settimana nell’incontro al Masaf in cui si presentavano le stime della campagna vendemmiale in corso. Sul tema ha frenato il presidente Uiv Lamberto Frescobaldi, facendo notare che «i prezzi sono saliti per tutti e neanche i ristoratori hanno i margini per affrontare questo complicato momento». Si è detto, invece, sorpreso di tale appello, l’enotecario romano Paolo Trimani (qua la sua intervista al Gambero Rosso). Per capire come tirare questa coperta troppo corta, abbiamo chiesto il parere di Luciano Sbraga, vice direttore generale Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi.
Iniziamo dal contesto: come se la passa la ristorazione in questo periodo complicato per tutti?
L’anno non è dei migliori. Abbiamo avuto segnali negativi nel primo trimestre nel 2025, poi una leggera ripresa nel secondo trimestre. L’estate ha visto un turismo debole, a causa del rallentamento degli italiani, sebbene sia stata buona la presenza degli stranieri. Diciamo che è un periodo abbastanza in linea con l’andamento generale: rallentamento dell’economia e, di conseguenza, rallentamento dei consumi. Ma pensiamo che a fine anno si possa avere una piccola moderata crescita.
Insomma, non è il momento ideale per chiedere ulteriori sforzi ai ristoratori… Eppure, il mondo del vino, attraverso il manifesto di Assoenologi, punta il dito contro i ricarichi esagerati. È davvero così?
Quando c’è un problema si tende a dare la colpa a qualcun altro. In questo caso la ristorazione, ma bisogna ragionare in altro modo, altrimenti il rischio è che diventi un luogo comune.
Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi
Quindi sono “accuse” rimandate al mittente?
Non si può spostare l’asse del problema da un’altra parte. Perché così si induce il consumatore a pensare che qualcuno stia speculando e si innesca un meccanismo di mancanza di fiducia. Bisogna capire che la politica della ristorazione sul vino non è legata solo al prodotto in sé ma al servizio e allo scontrino medio. C’è una metodologia precisa per applicare i ricarichi.
Parliamo del moltiplicare per tre il prezzo del vino?
In genere sì. Ma è anche legata allo scontrino medio. Il ristoratore nel fare i ricarichi non ragione prodotto per prodotto, ma sul totale. Normalmente il vino pesa sullo scontrino tra il 20% e il 30%. Se così non fosse bisognerebbe necessariamente aumentare i prezzi da qualche altra parte. Bisogna uscire dalla logica del ristorante come un’enoteca o un supermercato: è un luogo dove si paga un servizio, non necessariamente quello del servire il vino, ma banalmente quello di stare in un posto per due ore.
|Eros Teboni – sommelier
Quindi la ristorazione non ha nessuna colpa – o possibilità di intervenire – in questo calo dei consumi?
Io non nego che talvolta ci siano dei ricarichi che non sono fatti correttamente, ma vorrei anche rilanciare la palla nel campo dei produttori: siamo sicuri che i loro ricarichi siano davvero corretti e che rappresentano il vero valore del vino? Sennò si pensa sempre che il problema sia nel campo degli altri, ma questo non è uno sguardo di filiera.
Anche per questo, il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, ha parlato di un patto di solidarietà tra mondo del vino e della ristorazione. Perché, cito: «Così potranno avere più clientela con un equo ricarico sui vini in carta».
Ci si potrebbe mettere a tavolino tutti assieme e fare un ragionamento serio: un confronto di alto livello tra persone competenti, per poi portare avanti delle iniziative comuni che coinvolgano il cliente. Ma ribadisco: bisogna capire le logiche della ristorazione, non semplicemente applicare i prezzi che il produttore ritiene corretti. L’obiettivo del ristoratore deve restare sempre quello di garantirsi uno scontrino medio che gli consenta a fine mese di coprire i costi e fare qualche utile.
Cosa non semplicissima di questi tempi. Soprattutto ora che i consumi di vino non sono più quelli di una volta…
La prima regola è quella di avere una corretta gestione della cantina. Bisogna evitare di riempire le cantine con bottiglie che poi restano lì. Ci deve essere una giusta rotazione e l’approvvigionamento deve essere oculato soprattutto di questi tempi. Inutile tenere là capitale che non frutta. Questo è un investimento che possono fare solo certi ristoranti di fascia alta che hanno modo di capitalizzare.
enoteca – vendita vino – Foto di Mirza Polat su Unsplash
Quindi meno vini, più ragionati.
È quello che proviamo a spiegare nei nostri corsi di formazione, ma è goccia del mare. Oggi abbiamo clienti che consumano sempre meno vino e spesso non scelgono la bottiglia, ma non per il prezzo. È proprio un cambiamento generale dei consumi e degli stili di vita. Inoltre, si preferiscono vini più semplici, mentre soffrono i vini rossi strutturati.
Quanto ha inciso il nuovo Codice della strada in questo cambiamento? Ricordo che nei primi mesi dell’anno i più preoccupati erano i ristoratori rispetto agli stessi produttori…
È normale che fossero preoccupati: se il cliente arriva al ristorante, si siede e non prende più vino, è un problema perché salta quel 20-25% dello scontrino. Ma credo che sul Codice della strada ci sia stato un al lupo al lupo sbagliato, perché di per sé le nuove regole non hanno cambiato troppo né i limiti né le pene.
Ma il calo dei consumi nel primo trimestre è stato reale.
Sì, l’informazione allarmistica ha inizialmente inciso sul calo dei consumi, soprattutto su quelli moderati. Nel primo trimestre dell’anno la flessione del consumo di bevande alcoliche è stata sul 10-15%. Ma oggi direi che quell’allarme è rientrato, mentre il fenomeno del calo dei consumi è rimasto ed è strutturale.
Perché non sfruttare meglio il vino alla mescita? C’è chi ne parla come dell’occasione mancata della ristorazione…
Su quello si potrebbe fare un progetto serio di valorizzazione. Ma bisogna fare il salto di qualità: dalla gestione della cantina di cui prima, alla conservazione della bottiglia ad una migliore comunicazione.
E ad un dialogo più aperto con il mondo del vino…
Siamo qui.
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