La vigna a maggio profuma. Pare un assunto un po’ scontato perchรฉ รจ normale che una pianta che fiorisce emetta un odore. Eppure una passeggiata tra i filari non รจ sempre l’esperienza piรน appagante che si possa fare. Spesso si percepiscono sentori di zolfo. Nella vigna-giardino di Adriano Zago invece le piante profumano ed รจ un odore che sa di vegetale e di balsamico. L‘agronomo ed enologo veneto ha presentato il suo primo vino prodotto in 7mila metri quadrati di vigneto all’Impruneta, parte collinare della cittร di Firenze, esattamente localitร Monte Oriolo. ร un rosato che ha dentro sette uve diverse, tutte toscane, vendemmiate e vinificate assieme. Il colore di questo vino d’ora in poi, spiega Zago, sarร come un semaforo, racconterร la diversitร che governa la sua azienda, Podere Mastrilli: oggi รจ rosa; potrebbe essere, un giorno, bianco e un altro anno ancora rosso.
Non รจ caos, รจ, per l’appunto, diversitร per questo 47enne, figura di spicco del panorama dell’agricoltura biodinamica, con un percorso professionale che unisce competenze tecniche, esperienze internazionali e una visione olistica dell’agricoltura. Ha all’attivo infatti oltre sessanta collaborazioni con aziende in Europa e negli Stati Uniti. Lo sforzo anche da parte di chi lo incontra รจ quello di non limitarsi a fare domande su come โ si fa il vinoโ, ma di entrare in una visione sistemica, di rigenerazione, di complessitร , di apprendimento, di relazione tra elementi viventi e non, tra esseri umani, animali, piante, suolo, e perfino strutture sociali e aziendali. Proviamoci.
Alberi e vigne a Podere Mastrilli (ph. Ennio Celli)
Dal suo osservatorio sistemico cosa ci dice del vigneto Italia? Qual รจ il suo stato di salute?
Se adottiamo una lente molto ampia โ e forse anche un poโ provocatoria โ direi che, in termini di biodiversitร , sensibilitร ambientale e consapevolezza agronomica, il vigneto Italia oggi sta molto meglio rispetto a ventโanni fa. Per varie ragioni e attraverso percorsi differenti, la stragrande maggioranza dei viticoltori ha cominciato a integrare tecniche, approcci e progettualitร che prima erano molto meno presenti. Questo รจ visibile, ad esempio, nelle molecole che vengono utilizzate in campo, ma lo si puรฒ notare anche tra i produttori piรน industriali. Certo, a volte il cambiamento รจ spinto da obblighi imposti dallโUnione Europea o dai consorzi, o nasce dal ricambio generazionale, oppure dal semplice adattamento ai tempi che cambiano. Ma in ogni caso, il miglioramento cโรจ stato. Se poi usciamo dalla visione macro e iniziamo a osservare con una lente piรน fine, diventa evidente โ forse piรน di prima โ la segmentazione del settore. Esistono livelli molto diversi tra loro: da un lato, cโรจ un mondo industriale sempre piรน focalizzato sulla risposta alle esigenze di performance, sia qualitative che economiche, del prodotto.
Direi che ciรฒ che dice รจ confortante. C’รจ quindi un impegno che cresce da parte di chi produce. Ma in chi consuma c’รจ altrettanta sensibilitร ? Perchรฉ il grosso del mercato del vino รจ mosso ancora da chi, diciamolo, ha esigenze basiche.
Anche il consumatore si sta muovendo. In fondo, mercato e domanda vanno sempre assieme: l’uno influenza lโaltro. Oggi il consumatore ha una sensibilitร leggermente migliore rispetto al passato, anche nel mondo del vino. C’รจ una ricerca condivisa, da parte di produttori e consumatori, di un equilibrio tra semplicitร e qualitร . Le risposte richieste sono magari ancora semplici, ma con un livello qualitativo un poโ piรน alto rispetto a ventโanni fa. Se vogliamo usare unโicona, pensiamo al Tavernello. ร facile da citare, ma serve per capire. Il Tavernello di ventโanni fa, per esempio, aveva un approccio comunicativo e pratico molto diverso da quello di oggi. Anche in quel tipo di vino si rileva un alleggerimento nella gestione agronomica e di cantina: si usano prodotti meno aggressivi, meno pericolosi. E anche il consumatore, pur senza stravolgere le proprie abitudini, รจ mediamente piรน contento. Magari il gusto percepito resta lo stesso, perรฒ resta il fatto che anche in quei segmenti cโรจ una piccola evoluzione. Non tanto nei valori profondi magari, ma nelle performance del prodotto sรฌ.
Usciamo dal segmento industriale del vino ed entriamo in quello delle aziende che si definiscono artigianali, e talvolta anche naturali. ร una zona di maggiore comfort per lei?
Per me รจ semplice spiegare quello che faccio: si chiama agricoltura biodinamica. Non รจ biologica, non รจ semplicemente sostenibile โ รจ biodinamica, punto. Non cโรจ bisogno di aggiungere altro. ร una pratica definita, con unโidentitร chiara, ed รจ su quella che mi concentro. La biodinamica รจ un metodo. Ovviamente ci sono delle contaminazioni interessanti e anche necessarie, con lโagroecologia, lโagroforestazione, la permacultura. Tutte queste pratiche sono affini e con esse si puรฒ dialogare, ma non identificano il metodo. Sono alleate, non definizioni. I vini naturali, artigianali, biologici non hanno, invece, a oggi un metodo riconosciuto. Se devo trovare una linea comune รจ quella della voglia di differenziazione, la corsa allโespressione personale, che รจ lโopposto del mondo industriale, dove domina lโuniformitร . Perรฒ attenzione: cโรจ anche un โmondo di mezzoโ molto ampio. E quello, per certi versi, mi spaventa piรน del mondo industriale.
E quale sarebbe?
ร un mondo piรน sostanziale di quanto si pensi, fatto di tantissime aziende che sembrano lavorare in incognito. Parliamo di realtร frammentate: 30-40 ettari da una parte, 10 ettari da unโaltra, magari un poโ di uva conferita a una cantina sociale, un poโ vinificata in proprio, un poโ venduta sfusa. ร un mosaico, e dentro questo mosaico cโรจ una buona parte del vigneto Italia. Una viticoltura poco professionale, o comunque poco intenzionale. E secondo me รจ lรฌ che si gioca la vera incognita. Questo โdinosauroโ โ come mi viene da chiamarlo โ si muove tra due sponde, quella industriale e quella artigianale, ma non si sa bene dove finirร . Eppure รจ una parte consistente, strutturale, dellโossatura della viticoltura italiana.
Fiori tra i filari di Podere Mastrilli (ph. Ennio Celli)
Insomma unโenorme quantitร di attori in campo. Lei come la legge questa sovrabbondanza? Siamo troppi? E cosa comporta questo dinamismo, anche alla luce dei nuovi interrogativi su sostenibilitร e nuove dinamiche economiche?
Non รจ facile progettare nel presente con la lente dell’attualitร . Per questo negli ultimi anni mi sono concentrato molto sul lato strategico, perchรฉ strategia significa pianificare unโazienda per i prossimi 20 anni. Questo comporta lavorare sui pilastri fondamentali: cosa piantare, come trasformare il prodotto, dove venderlo, e in definitiva, chi si vuole diventare come azienda. ร un lavoro difficile, ma anche molto stimolante. Mi piace lavorare con aziende che si interrogano profondamente sulla propria identitร e leadership, perchรฉ condivido quel pensiero che โsiamo piccoli, artigianali, il mondo lร fuori รจ difficile, quindi dobbiamo diventare sempre piรน braviโ. Io li aiuto a definire la carta d’identitร : i valori, la mission, la gestione del passaggio generazionale. Discorso che vale anche per i rischi climatici: preparo, con la mia squadra, le aziende a piรน scenari negativi e sfidanti. E l’esperienza, ormai, mi insegna che rispondono meglio quelle aziende dove si aziona una intelligenza collettiva, sedersi tutt’intorno a un tavolo e dire โok cosa ci preoccupa davvero?โ. Nel mondo del vino, d’altronde, di personaggi carismatici che assumono la leadership ce ne sono sempre meno. E aggiungo anche perรฒ che si iniziano a vedere i limiti di una mono direzione manageriale.
Che spazio occupano, nella sua visione sistemica della viticoltura, i vini dealcolati?
Per quanto mi riguarda sono un prodotto in piรน nel paniere dellโindustria vinicola e unโopzione in piรน per raggiungere un certo tipo di consumatori, ma appartiene chiaramente al mondo industriale. Per come รจ strutturato oggi il processo di dealcolizzazione, non puรฒ essere considerato parte di unโagricoltura artigianale o biodinamica. Quanto al consumo, io vedo i dealcolati rivolti soprattutto a un pubblico curioso, ma non necessariamente a chi ha deciso di smettere di bere. Chi sceglie di non bere vino, spesso lo fa per motivi che vanno oltre lโalcol: ha detto โnoโ al vino come simbolo, come mondo. Quindi non รจ scontato che voglia un prodotto che gli assomigli.
E cosa ne pensa dei vitigni Piwi?
Ho molte riserve. Per me, lโuso dei vitigni Piwi – e ancor piรน delle tecniche Tea (tecniche di evoluzione assistita) – porta la viticoltura verso un modello industriale, in cui lโagricoltore perde il controllo diretto sulla selezione genetica, che storicamente รจ sempre stata parte della sua esperienza, osservazione e cultura. Delegare totalmente questo processo a laboratori esterni significa uscire dal campo agricolo e culturale, per entrare in quello brevettato e proprietario. I Piwi rispondono bene alle logiche della viticoltura industriale, che ha bisogno di varietร super produttive e facili da gestire. ร comprensibile, ma serve onestร intellettuale: dire che servono allโambiente รจ un alibi. In realtร , aiutano soprattutto chi vuole semplificare il lavoro e abbassare i costi. E oggi sono proprio le grandi industrie del vino, come quelle del Prosecco, che stanno investendo per creare versioni resistenti dei vitigni piรน venduti. Dal punto di vista tecnico, i Piwi non sono il โbene assolutoโ che alcuni raccontano. Le varietร resistenti perdono efficacia nel tempo, tanto che ora si preferisce parlare di โtollerantiโ. ร una resistenza instabile: i patogeni si evolvono, come รจ successo con lโoidio. Inoltre, a oggi non esistono grandi vini da Piwi. Alcuni bianchi si difendono, ma la qualitร complessiva รจ ancora bassa. Quello che mi colpisce รจ che molti piccoli viticoltori, anche bio e biodinamici, si siano fatti sedurre dallโidea che โtrattare menoโ significhi automaticamente โfare meglioโ. Ma non รจ cosรฌ: un bravo viticoltore รจ colui che osserva, interpreta, lavora con consapevolezza sul campo, non chi cerca scorciatoie tecniche.
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