Colā Cacchio, Il Bordello, Cantina Baldracca, Ci’tua! La Mafia⦠sono solo alcune delle denominazioni scelte tra le meno blasfeme e volgari della selezione dāimmagini delle insegne di una ventina di locali di cucina italiana (o presunta tale) nel mondo, che il primo di aprile ho voluto raccogliere, per scherzo, in una gallery sulla mia pagina Facebook (@chefkumale).
Sono bastate poche ore dalla pubblicazione del post e le notifiche di commenti e condivisioni hanno cominciato a fioccare fino a rendere virale il contenuto. CāĆØ chi, incredulo, ha subito pensato a immagini manipolate con Photoshop o con lāAI, chi, disgustato, ha preso le distanze, chi si ĆØ fatto una sana risata e chi ha voluto condividere le geolocalizzazioni di Google maps per dimostrare che queste pizzerie, gastropub e ristoranti esistono per davvero e che spesso la realtĆ supera la fantasia.
A meno di 48 ore dalla pubblicazione il post ha avuto una copertura notevole⦠Sono apparsi i selfie e i commenti di quelli che in quei posti ci sono stati per davvero, insieme alle segnalazioni di altri localacci: spaziando dal āGambe a Perthā australiano, al āVinc**oā di Kameyama in Giappone. Qualcuno ha immaginato addirittura i nomi degli ipotetici chef di queste cucine (Goldon Ramsey), i loro signature dishes (soffoconi Findus), fino ad ipotizzare unāedizione speciale del format āQuattro Ristorantiā di Alessandro Borghese.
Eppure, una domanda me la porrei. Al mio post che diceva: “Che bella immagine che diamo della nostra cultura gastronomica⦠Ne conosci altri?”, ĆØ piovuta una valanga di commenti e di altre foto di insegne imbarazzanti in giro per il mondo… CosƬ mi domando, ma non so darmi una risposta: “Lāalgoritmo di Facebook ĆØ proprio un tamarro. Pubblico contenuti seri e pochi intervengo, pubblico una cazzata per il primo aprile e guarda che bordello di like, condivisioni e commenti”. Ma come ĆØ possibile? Forse quel food porn italian sounding in giro per il mondo a definire la cucina italiana, niente niente ce lo meritiamo?
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