C’è una pasta che ha fatto la fortuna dei ristoranti e delle sagre abruzzesi. Si chiama mugnaia e non ha bisogno di troppe presentazioni: un unico lungo filo di impasto a sezione ovale, simile a un serpentone fatto a mano, cotto nel sugo di carne e tirato su a forchettate generose. Ma c’è anche un’altra pasta, rimasta per anni nell’ombra, che condivide la stessa origine e lo stesso paese: Elice, nel pescarese. Sono gli anellini alla pecorara, una versione più raccolta e domestica, che ha rischiato di sparire sotto il peso della popolarità della sorella maggiore.
Eppure, in certi angoli d’Abruzzo, questi piccoli anelli rappresentano ancora un simbolo identitario forte. Hanno un impasto che un tempo si faceva con la farina del mulino a pietra – spesso mista di grano tenero e duro – e si servono con un condimento vegetariano, ma che più “pecoraro” non si può: pomodoro, zucchine, melanzane, peperoni, ricotta di pecora, pecorino e olio extravergine. Una sinfonia contadina, grassa e vegetale insieme, che parla di estate, orto e pastori.
A Castelvecchio Subequo, in provincia dell’Aquila, ogni anno si tiene la Sagra della pasta alla pecorara. E sì, proprio così si chiama: “pasta alla pecorara”, senza per forza specificare il formato. Anche a Elice – lo stesso paese della mugnaia – si è diffusa una versione chiamata “pecorara di Elice”, in cui il sugo ricco incontra gli anellini. A differenza della mugnaia, pensata per occasioni speciali e tavolate numerose, la pecorara è un piatto più agile, replicabile, familiare.
Oggi, a salvaguardare la tradizione, ci sono alcuni pastifici artigianali che continuano a produrre anellini alla pecorara secondo l’antico metodo, come il pastifico la Mugnaia di Elice. Ma il rischio di dimenticanza resta alto, complice la confusione che spesso si crea attorno al nome.
Negli ultimi anni ha preso piede, soprattutto nei social, una versione alternativa della pecorara: la cosiddetta “pecorara alla romana”, a base di guanciale, pecorino e ricotta. Ma a ben vedere, questa preparazione ha ben poco a che vedere con la pecorara abruzzese. Cambia tutto: formato, spirito, ingredienti e radici. Da una parte c’è una pasta che affonda nella cucina pastorale e vegetale del pescarese, dall’altra una ricetta più urbana, che strizza l’occhio ai grandi classici romani. Due identità separate. Due storie differenti.
Oggi gli anellini alla pecorara non sono soltanto una specialità da riscoprire: sono il riflesso più sincero di una cucina contadina fatta di gesti antichi, stagioni che ritornano, sapori mai artefatti. Una pasta radicata nella memoria, capace ancora di sorprendere chi la incontra.
Per assaggiarla come si deve, il consiglio è di partire da Elice, il paese dove tutto è cominciato. Qui, il Ristorante Margherita è un’istituzione locale che da anni propone la pecorara nella sua versione più tradizionale. Oppure si può fare un salto a Pescara, da Margherita in centro, dove la pasta viene servita con lo stesso spirito, ma in un contesto più urbano. In entrambi i casi, è una forchettata che vale il viaggio.
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