Rufina ĆØ la più piccola e autarchica tra le sottozone del Chianti, i piedi sui confini nordorientali della cittĆ di Firenze, le spalle sugli Appennini Tosco Romagnoli; circa 850 ettari di vigneti fino a 500 metri dāaltitudine su terreni calcarei, ricchi di galestro e alberese, per una produzione attorno ai tre milioni e mezzo di bottiglie annue.
Ć una terra vocata, inclusa nel celebre Bando di Cosimo III dei Medici che nel 1716 definƬ confini e presupposti dei vini più buoni, divisa nei comuni di Rufina, Dicomano, Londa, Pelago e Pontassieve, unita da un vibrante Sangiovese, fine ed elegante. E da un manipolo di produttori tenaci, orgogliosi, innamorati della propria terra e del proprio lavoro, guidati dalla luce di figure stoiche, storiche, che neppure negli anni più difficili hanno pensato di mollare; tantomeno di mettere in discussione la denominazione con le sue specificitĆ , ovvero ciò che la differenzia nel mare magnum del Chianti, da un lato viatico per il mercato globale ma dallāaltro condanna allāomologazione e alla guerra dei prezzi. āDi Rufina si vive o nel Chianti si muoreā, tanto per citare Federico Giuntini alla guida di Selvapiana, azienda cardine per resilienza e qualitĆ in Chianti Rufina, nonchĆ© a lungo presidente del relativo Consorzio; āVisione severa e coercitiva del territorio, un filo forte a legare vigneto e bottiglia – gli fa eco Lamberto Frescobaldi dal vicino Castello di Nipozzano – Il vino si fa con lāuva e lāuva si fa in vigna, ĆØ questa la banalitĆ più rivoluzionaria per ritrovare nel bicchiere le qualitĆ della nostra terra, quelle che possono farla emergereā.
Nipozzano
La famiglia Frescobaldi ha mille anni di storia intessuta a quella della Toscana, con lasciti senza confini: si pensi al poeta Dino Frescobaldi che permise allāamico Dante Alighieri, in esilio, di riavere i primi sette canti della Commedia; o al mecenatismo di opere come ponte Santa Trinita e basilica di Santo Spirito a Firenze. Approdarono al vino nel XIV secolo con la tenuta Castiglioni, in quel di Montespertoli, altre sei fattorie si sono aggiunte nel tempo per comporre il mosaico che racconta la viticultura toscana di oggi, esprimendo fedeltĆ ai territori e alta qualitĆ nellāimportanza dei numeri, elementi che gli valgono il titolo di Cantina dellāAnno per Vini dāItalia 2020.
A Nipozzano, ai tempi ancor āsenza pozziā dāacqua, giunsero col matrimonio di Angelo Frescobaldi e Leonia, sorella di Vittorio Albizi, che dalla Francia aveva importato innovazioni e varietĆ viticole, si pensi al cabernet sauvignon, al verdot e ai vari pinot, con il noir che ĆØ tuttora la forza della vicina Tenuta di Pomino. E va detto che ogni stagione ĆØ buona per giungere a Nipozzano, tanto più oggi che la splendida villa seicentesca, sottostante il castello del Mille, ĆØ circondata da vigneti ondeggianti curati come giardini, le stilettate dei cipressi che bucano il cuore.
Lamberto Frescobaldi
āIl vino di questa zona ĆØ da sempre ritenuto pregiato – racconta Lamberto Frescobaldi, che porta avanti lāegregio lavoro del padre Vittorio e degli zii Ferdinando e Leonardo – un forte cambiamento avvenne però col boom economico del secondo dopoguerra, quando le campagne si spopolarono e i vecchi contadini, approdati in cittĆ , esigevano il loro buon vino; da lƬ un grande impulso allāimbottigliamento, alle rivendite cittadineā. Lamberto tiene il vino al centro dei suoi pensieri, della quotidianitĆ , della sua continua ricerca: āNon concede distrazioni, vuole essere protagonistaā.
Quando necessario ĆØ severo con sĆ© stesso e con la storia, non solo familiare: āĆ palese che ci siamo un poā persi, tra gli anni Sessanta e Novanta, inseguendo la richiesta e perdendo in qualitĆ , col Sangiovese che divenne la varietĆ più coltivata in Italia nel cappio dei prezzi che dovevano rimanere bassiā. Ma adesso la barra ĆØ dritta: āNegli ultimi decenni abbiamo potuto investire molto sulle eccellenze, e parlo del fattore umano, di competenze e capacitĆ che nel nostro gruppo si sono espresse al meglio. I risultati del resto lo dimostranoā. Il vino iconico ĆØ il Nipozzano, un classico Chianti Rufina dallāeccellente rapporto qualitĆ prezzo, da cui nasce il Nipozzano Vecchie Viti (Tre Bicchieri per la Riserva 2016) elegantissimo ed equilibrato, āma anche esuberante, vigoroso, da una storica vigna scampata al reimpianto che dal 1990 ha interessato tutti i poderi della fattoriaā. Il leggendario Montesodi, che ironicamente i fiorentini avevano ribattezzato āmonte di soldiā, ĆØ invece frutto di un vigneto intorno a Casa Sodi e dal 1974, in tempi non sospetti, porta in bottiglia il puro Sangiovese di Rufina: āApparentemente più timido e introverso, ma in realtĆ di gran carattere e di nerbo: nella longevitĆ si esprime complesso e avvolgente, profondoā. Un prototipo del Rufina più identitario di cui torneremo a parlare.
Selvapiana
Ci si allontana di poco per incontrare lāaltra azienda storica per eccellenza, nella localitĆ del comune di Rufina di cui porta il nome, Selvapiana appunto, dove nel Medioevo nacque come torre di avvistamento prima di esser trasformata in villa. Il banchiere fiorentino Michele Giuntini lāacquistò nel 1826, il suo discendente Francesco Giuntini ha poi gestito la fattoria dal 1950 assumendo al proprio fianco Franco Masseti, fraterno fattore, e adottandone i figli Silvia e Federico quali degni eredi nel continuare la sua opera.
āFrancesco ĆØ un luminare ed ĆØ stato un esempio per tutti – ricorda Federico Giuntini – Ć inimmaginabile quanto drammatica fu la crisi agricola negli anni ā60, difficile il passaggio tra mezzadria e gestione diretta. E per niente scontato quello da vino sfuso a bottiglia, da quantitĆ a qualitĆ ā. Francesco fu tra i primi nel credere a un āvino di Rufinaā che si smarcasse dal Chianti, Federico ne porta avanti la battaglia. āUscito dal liceo fui indotto a iscrivermi ad Agraria, ma durò soltanto un anno e mezzo: bello, una sorta di anno sabbatico assieme a quello di servizio civile, ma poi la mia vita ĆØ stata sempre quaā, tra vigneti a conduzione biologica che portano ancora i nomi dellāepoca mezzadrile, e cantine tra le più antiche e affascinanti del Rufina, a fianco della nuova ariosa struttura inaugurata con la vendemmia del 2005.
āNel 1978 ci fu lāincontro tra Francesco e lāenologo Franco Bernabei, che oltre alle conoscenze tecniche ha una dote innata per il Sangiovese. E un anno più tardi fu anche la spinta di Luigi Veronelli che contribuƬ alla nascita del Bucerchialeā. Ć un “vino bandiera” ed ĆØ stato tra i primi monovitigno a forzare il disciplinare del Chianti Rufina: da una parcella di 12 ettari che esprime al meglio le caratteristiche di zona.
Selvapiana
āLimitare gli errori, massima pulizia per travasi e passaggi attenti, ma ĆØ in vigna che si fa il grosso del lavoro e che il vino acquisisce la sua identitĆ ā: ĆØ il motto del lavoro in cantina. E in questāottica va citata la consulenza di Andrea Beconcini. āNon crediamo che Rufina debba emergere perchĆ© siamo più bravi o esclusivi degli altri – dice Federico – pensiamo piuttosto sia il Sangiovese a parlare: qui trova unāespressivitĆ elegante, unita a una bevibilitĆ agevolata da tannini non aggressivi e da una buona aciditĆ ; oltre a una longevitĆ sorprendente figlia di terreni vocati e di un microclima ideale, con importante escursione termicaā.
Dai 58 ettari a vigneto emerge adesso un nuovo cru dal podere Erchi, nel comune di Pontassieve, che subito si posiziona nellāalta gamma specchio del territorio, succoso e solenne giĆ nella prima versione 2016; āRientrerĆ nel progetto Vigneto Unico, anche se forse non sarĆ questo il nome, con lāobiettivo che ogni azienda abbia un suo Sangiovese in purezza come testimone dellāunicitĆ di Rufinaā.
I Veroni
Restiamo a Pontassieve per incontrare un altro condottiero dal vitale entusiasmo, idee chiare nel fotografare le potenzialitĆ della denominazione ma soprattutto lāimportanza di chi ha tenuto duro in epoche difficili, e la menzione andrĆ a personaggi giĆ citati in precedenza. āOggi non si può capire cosa significasse fare viticultura di qualitĆ in questa zona, qualche decennio fa – racconta Lorenzo Mariani oggi a capo de I Veroni – Il territorio ha lāeffige del Chianti ma non la forza del Classico, nĆ© ha lo stesso livello paesaggistico nĆ© le potenzialitĆ comunicative; viene da anni di vino sfuso, di imbottigliatori, di prezzi al ribasso, e per giunta pare che neppure i fiorentini, qui a due passi, ci vengano troppo volentieriā, il che ĆØ inspiegabile vista la bellezza di certi luoghi. āPer quelli della mia generazione, che si ritrovavano una proprietĆ agricola da abbandonare o rilanciare, lāincoraggiamento di Vittorio Frescobaldi o Francesco Giuntini che ci esortavano a rimanere qui, per valorizzare le nostre campagne e il nostro vino, fu quindi determinanteā ricorda Lorenzo.
Studiò giurisprudenza, Lorenzo, che tuttora vive a Firenze; ma seguendo il faro dei grandi viticoltori di Rufina si gettò nellāavventura dei Veroni ācon tutto il vigore e la presunzione dei giovani, commettendo errori ma ripartendo sempre, crescendo, in una lotta continua per il cambiamentoā, anche di mentalitĆ . “Mai visto un contadino fare i soldi”, gli dicevano i genitori, e ancora cāĆØ la madre che talvolta percepisce questa cascina con i suoi ulivi e i suoi 20 ettari vitati come una bega, piuttosto che una risorsa.
Team de I Veroni
āĆ stata dura, e se i risultati sono arrivati devo molto ai miei ragazzi, alla mia squadraā, concetto che si capisce stargli molto a cuore: le prime citazioni sono per Paola De Blasi, responsabile di produzione, e per Luca Innocenti che si occupa del commerciale. āLa mediazione tra i loro compiti, tra chi produce e chi vende, ĆØ la sintesi del vino che possiamo portare in bottiglia, nĆ© presuntuoso nĆ© piacione, che parallelamente al rafforzarsi del marchio potrĆ farsi ancor più audace e identitarioā.
Il passaggio al biologico ĆØ stato ānaturale, condivisoā, certificato nel 2013, i locali odorano dāantico (le prime vasche di fermentazione furono costruite dai nobili Gatteschi: fine del ā500) in una cura minuziosa che sa di moderno; la tradizione ĆØ tutta racchiusa nel Vin Santo Occhio di Pernice, ammaliante dal primo naso allāultima goccia, mentre lo stile Veroni ĆØ giĆ forte nel Rufina Vigneto i Domi, classico e territoriale, uvaggio tipico del Chianti con colorino e canaiolo ad affiancare il sangiovese, che ĆØ invece unico protagonista nel Riserva Vigneto Quona. Vini che si apprezzano subito ma migliorano nel tempo: āAltra peculiaritĆ che unisce Rufina. Ć grazie a certe doti che possiamo fare squadra e dar voce alla nostra terra, per nostro conto, del resto ĆØ impensabile che la politica utile a una comunitĆ enorme come quella del Chianti possa rappresentare una realtĆ piccola e particolare come questaā.
Frascole
Si risale verso il crinale appenninico, direzione Mugello, per incontrare una delle aziende più eclettiche e significative, sorta sulla collina di Frascole, da cui prende nome, sopra al comune di Dicomano. Un nucleo di case medievali – laddove vissero gli etruschi, nonchĆ© i romani – attorno alle quali si dipanano splendidi oliveti e circa 16 ettari di vigneti esposti a sud ovest, divisi in parcelle alcune sopra i 400 metri dāaltitudine.
āCercavamo un luogo per vivere insieme e per lavorare a qualcosa di nostro. Abbiamo subito percepito che Frascole era il posto giusto. Qui avverti la presenza del genius loci, nel rispetto del quale agire, senza stravolgere natura e cose ma piuttosto facendo tesoro delle esperienze di chi ha giĆ calpestato e coltivato queste terreā. Enrico Lippi ed Elisa Santoni si ritrovarono cosƬ – una trentina dāanni fa, dopo la collaborazione ai poderi di famiglia e lāimpegno in frutticultura – uniti nellāavviare lāavventura di Frascole, oggi anche azienda agrituristica. āVenne il matrimonio, tra noi come coppia ma idealmente anche con lāenologo Federico Staderini, che fu tra i primi a credere nelle potenzialitĆ della zonaĀ». Un connubio che non si ĆØ mai interrotto, seppur adesso gli incontri siano meno frequenti cāĆØ comunque la sua esperienza, la sua mano, anche nella nuova strada intrapresa con il Pinot nero.
Frascole
āMa qua cāerano giĆ tutte le varietĆ tipiche di zona – dicono Elisa ed Enrico – ottimi cloni di sangiovese e una bella selezione di Colorino. La nostra idea fu quella di non fare cambiamenti drastici, ma ottenere ciò che queste uve potevano offrire qui, in questa terra. Di fare un Rufina, ancor prima che un Chiantiā, e il tema delle peculiaritĆ autoctone ĆØ destinato a ripresentarsi sempre. Venne però lāepoca dei vini-marmellata, concentrati e muscolari, per cui il sangiovese fine, elegante, quasi etereo di Frascole fece fatica ad affermarsi. āEppure non abbiamo mai forzato i tempi, la natura, semmai abbiamo cercato di rimediare agli erroriā, racconta Elisa, mentre Enrico ricorda che āi ritorni dai primi Vinitaly erano da ansiolitici, cāĆØ poco da nascondersiā.
Poi la quadratura, il vento che ĆØ cambiato, mentre per fortuna non sono mai mancati il soffio del tramontano e le fresche nottate garantite dal Monte Falterona, lƬ alle spalle, ānon a caso monte sacro giĆ per gli Etruschiā. Vendemmie e fermentazioni diversificate, anche per la varietĆ dei terreni, massima attenzione in cantina ādove si lotta per gli esigui spaziā; prima azienda di zona a lavorare in biologico con certificazione giĆ dal 1999 e sensibilitĆ per il sociale, si veda la variegata e un poā bizzarra umanitĆ di Frascole. āCi viene naturale collaborare con chi incontriamo sul cammino e ha desiderio o necessitĆ di lavorare con noiā.
Nellāimpresa collabora anche il fratello di Elisa, Carlo Santoni, che dopo una pausa come architetto ha subito il richiamo della campagna ed ĆØ tornato allāattivitĆ agricola.
Nellāottima gamma di vini troviamo InAlbis, bianco da uve Trebbiano anche nella versione macerata, Limine, merlot in purezza, e dal 2016 il giĆ citato Pinot nero. E troviamo la Rufina più verticale e minerale nel Frascole DOCG e nella Riserva, equilibrata e persistente, che non teme il confronto col tempo e coi consimili di Toscana.
Fattoria di Grignano
Il messaggio ĆØ chiaro: se Rufina può emergere a più alti livelli lo farĆ investendo sulle sue tipicitĆ , partendo dagli ottimi risultati ottenuti dalle aziende che tanto hanno investito, sono cresciute e stanno crescendo negli ultimi anni, e oltre a quelle incontrate dovremmo raccontare almeno Castello del Trebbio, Colognole, Fattoria Lavacchio, Travignoli, il Balzo, Cantine Bellini, Fattoria di Basciano, Fattoria di Grignano, il Lago. Dal bagaglio di parole raccolte emergono anche incoraggianti potenzialitĆ di squadra e una diffusa attenzione per lāambiente. NonchĆ© questo desiderio di affermare unāidentitĆ a dispetto dellāuniverso Chianti, forse troppo generico, oggi che anche il mercato sembra aver compreso lāimportanza dellāirripetibilitĆ e riconoscibilitĆ di ogni singolo territorio.
a cura di Emiliano Gucci
L’articolo completo, con i migliori Chianti per la nostra guida Vini d’Italia 2020, le 10 tavole scelte dai vignaioli e la mappa per orientarsi al meglio, ĆØ uscito nel numero di marzo. Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store
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