Conoscere lโorigine delle cose รจ sempre stato un desiderio forte e comune e quando le notizie sono incerte o frammentarie, si preferisce inventare piuttosto che arrendersi allโevidenza. Lโesempio piรน antico in campo gastronomico risale alla metร del Cinquecento ed รจ opera di Ortesio Lando, un chierico vagante che, dopo avere studiato a Milano e Bologna, conduce una vita errabonda percorrendo tutta Europa. Erudito in molti campi del sapere e conoscitore di diverse lingue, ebbe una vasta produzione letteraria, tra cui un pittoresco trattato dal titolo Commentario delle piรน notabili, et mostruose cose dโItalia contenente unโappendice intitolata โCatalogo delli inventori delle cose, che si mangiano, et delle bevande cโhoggidรฌ sโusanoโ. Si tratta di un lungo elenco di personaggi veri e fittizi che avrebbero inventato alcune specialitร gastronomiche. Troviamo Libista, una contadina originaria di Cernuschio che inventรฒ i ravioli, oppure Meluzza di Como che ebbe lโintuizione di condire maccheroni e lasagne con aglio, formaggio e spezie, e ancora Claritia da Pistoia che โfu lโinventrice di mangiar fagioli col pepe, con lโaceto, col sale et olio, asciutti perรฒ et non con brodoโ.
Nelle pagine si susseguono anche i nomi di chi per primo avrebbe mangiato alcuni alimenti e veniamo a sapere che Nello Brentio fu il primo a mangiare i gamberi, mentre il poeta greco Alessandro Etolo fu il primo a mangiare lโoca, e che Ebuso Pirolo di Montalcino “fu il primo che mangiasse funghi, et freschi, et insalati”. Una lista lunga quasi cinquanta pagine di individui a cui dovremmo essere grati per le loro scoperte in cucina. Al termine del testo lโautore mette le mani avanti: โGiร mi par dโudir mormorare alcuni scioperati et licentiosi, et dir che questo cathalogo sia per la maggior parte fintoโ. Chissร come sarร venuto in mente a Ortesio Lando che qualcuno potesse mettere in dubbio la sua buona fedeโฆ
In tempi molto piรน recenti sono state create diverse leggende per spiegare come siano nate le nostre specialitร gastronomiche. Molte di esse hanno per protagonisti scaltri popolani che si accorgono di essersi imbattuti in una scoperta culinaria e vengono celebrati ancora oggi per la loro intuizione.
Il racconto piรน celebre, diffuso e pervicace รจ sicuramente lโattribuzione della scoperta della pasta a Marco Polo durante il suo viaggio in Oriente. Ovviamente non cโรจ nulla di vero in tutto ciรฒ e allโepoca del famoso viaggiatore veneziano, in Sicilia si fabbricava ed esportava giร pasta in tutto il Mediterraneo almeno da un secolo e mezzo, come attesta il geografo arabo Muhammad al-Idrisi.
La leggenda si diffonde a partire da un breve articolo pubblicato nel 1929 sul The new macaroni journal, lโorgano ufficiale della National Pasta Association statunitense. Tra pubblicitร di farina e trafile per la pasta, viene riportata la storia che ha per protagonista uno dei marinai di Marco Polo che si chiama (ovviamente) Spaghetti. Fermatosi per rifornirsi di acqua lungo le coste del Cathay, vide una donna confezionare lunghi e sottili fili di pasta per cuocerli in acqua bollente. Capรฌ immediatamente di essere di fronte a unโinvenzione straordinaria e, dopo averli preparati a bordo della nave di ritorno in Occidente, una volta toccata terra, decise di mettere su una fabbrica di spaghetti a Gragnano.
ร invece un umile artigiano lโinventore del risotto alla milanese. Il racconto รจ ambientato nel cantiere del Duomo di Milano nel 1574 e il protagonista รจ un allievo del Maestro Valerio di Fiandra alle prese con le vetrate del Duomo di Milano. Innamorato della figlia del maestro, per le nozze fece preparare un risotto colorato con lo zafferano che usava abitualmente per dare il colore dorato alle vetrate della chiesa. Ovviamente anche il garzone non poteva sfuggire alla predestinazione del nome, infatti si chiamava Zafferano.
Inutile dire che lo zafferano si usava abitualmente sui piatti (anche a base di riso) fin dal Medioevo e di certo non sui vetri, pertanto la leggenda fa acqua da tutte le parti. Lโartigiano Zafferano non ha inventato il risotto, ma forse sappiamo chi ha inventato la leggenda: sembra che appaia la prima volta in un libro di Otto Cima del 1931, intitolato Milano vecchia. La sua fortuna si deve perรฒ allโEnte Nazionale Risi che negli anni โ30 riprese la storia nel suo volumetto di propaganda Ricette e notizie sul riso.
Sono perรฒ i re e le regine i soggetti preferiti delle leggende gastronomiche. Non si contano i piatti cucinati in loro onore (o serviti per sbaglio alle loro tavole) che hanno lasciato traccia nella storia della cucina.
La piรน conosciuta รจ la storia della pizza Margherita che sarebbe stata dedicata da Raffaele Esposito alla regnante italiana nel 1889. La storia รจ molto semplice: dopo essere stato invitato a palazzo, il pizzaiolo avrebbe preparato tre pizze, una delle quali a base di pomodoro, mozzarella e basilico per un omaggio ai colori della bandiera italiana. La sovrana mostrรฒ di gradire la pizza e Raffaele Esposito colse lโoccasione battezzandola โMargheritaโ. La storia sarebbe supportata da una lettera esposta nellโattuale pizzeria Brandi in cui viene ringraziato il pizzaiolo per il servizio reso. Lasciando da parte che per alcuni esperti sarebbe un falso, in nessun documento viene mai citata la pizza โMargheritaโ e questo nome appare solo negli anni โ30 del Novecento, mentre la farcitura di pomodoro e mozzarella รจ giร attestata almeno dal 1860. Ma in questa leggenda qualcosa di vero cโรจ: le fonti dellโepoca attestano che la regina Margherita abbia effettivamente degustato in diverse occasioni le pizze di Raffaele Esposito.
Unโaltra sovrana, stavolta di origine toscana, รจ invece additata come una delle piรน rivoluzionarie in cucina. Stiamo parlando di Caterina deโ Medici, diventata regina di Francia nel 1547, un episodio che per molti segna lโinizio di una profonda influenza italiana sulla cucina francese. A lei sono ascritte decine di ricette passate dalla tradizione italiana a quella francese: dalla zuppa di cipolle allโanatra allโarancia, fino allโomelette e i macaron. In realtร lโunica notizia riguardante il rapporto tra il cibo e Caterina deโ Medici รจ che rischiรฒ di morire a seguito di una indigestione di un pasticcio di carciofi, nulla di piรน. Le schiere di cuochi italiani che lโavrebbero seguita oltralpe non appaiono in nessuna fonte antica.
Tutto ha origine da una critica francese risalente ai primi del Settecento nei confronti dei costumi licenziosi che sarebbero stati introdotti in Francia dalla sovrana italiana. Questa tesi fu ripresa dalla celebre Encyclopรฉdie dove la sovrana viene accusata di avere lasciato libero sfogo a una ยซfolla di italiani voluttuosiยป. A distanza di secoli possiamo dire che la cucina italiana rinascimentale ha avuto sicuramente un ruolo fondamentale nella formazione di quella francese, ma non รจ stata colpa (o merito) della povera Caterina.
Risalendo la grande catena dellโessere, dopo popolani e reali non potevamo che arrivare alle divinitร celesti. La leggenda della nascita del tortellino bolognese narra di un oste che rimase folgorato dalla vista dellโombelico di Venere e ne abbia riprodotto le sembianze con un ritaglio di pasta ripiena. La vicenda si svolge nellโOsteria di Castelfranco Emilia durante la guerra tra Modena e Bologna ai tempi di Federico II. Le varianti successive sono molte, hanno sempre per protagonista lโombelico femminile, ma le proprietarie sono di natali meno nobili.
A inventare questa storia รจ lโingegnere bolognese Giuseppe Ceri che la scrive in occasione della โfesta mutino-bononiense del 31 maggio 1908โ, dove si voleva celebrare la ritrovata amicizia tra le cittร di Modena e Bologna, storicamente divise da dissidi secolari. Lโidea di collocare lโevento in un paese di confine โ un tempo bolognese, ma dal 1929 in provincia di Modena โย serviva per trovare un compromesso tra due territori che si contendevano la paternitร del tortellino. Al di lร di costituire un fulcro tra le due cittร , Castelfranco allโepoca non era segnalata per particolari specialitร gastronomiche, se non per il โPan di Spagnaโ che gli attribuisce la Guida gastronomica dโItalia del 1931.
La lista delle leggende sarebbe ancora molto lunga, tutte accomunate dalla grande fama odierna e dagli oscuri natali. Sembra che il collegamento a radici antiche – possibilmente nobili – sia per noi un requisito fondamentale perchรฉ una specialitร culinaria venga presa sul serio allโinterno di un panorama gastronomico quanto mai affollato. Le leggende hanno un ruolo fondamentale in questa operazione, ma non solo. Infatti non รจ sufficiente che unโeccellenza gastronomica sia antica, deve essere anche strettamente collegata a un territorio preciso.
La narrazione delle origini diventa cosรฌ uno strumento per le comunitร di raccontare loro stesse e dimostrare lโantichitร delle fondamenta collettive. In questo modo i piatti diventano lโespressione identitaria di un territorio, collante ideale per rafforzare la coesione sociale. In questo senso assumono una precisa funzione pedagogica per dare un senso piรน profondo alle relazioni interne a una comunitร .
La loro funzione sarebbe encomiabile, se non fosse per lโaltro lato della medaglia: cโรจ sempre qualcuno che le prende per vere. Per quanto inverosimili, queste leggende rimangono impresse nella memoria e scambiate con la realtร storica. Il rischio concreto รจ che queste narrazioni prendano il sopravvento sulla comprensione dei reali meccanismi di formazione di una ricetta (ma anche di una tradizione gastronomica che รจ poi storia di una cultura popolare) e vengano usate a sostegno di visioni nazionaliste e โsovranisteโ del patrimonio gastronomico.
Pensare che le specialitร tradizionali siano legate in maniera deterministica a certo un territorio, profondamente autoctone e siano nate senza alcuna influenza, incrocio o apporto esterni, rappresenta una profonda distorsione della realtร . Allo stesso modo รจ scorretto ritenere che lโautenticitร dei piatti tradizionali si fondi su una loro supposta costanza nel tempo: a parte rarissime eccezioni, tutte le nostre specialitร gastronomiche hanno subito radicali trasformazioni prima di arrivare alla forma odierna. Senza contare che alcune grandi eccellenze come la carbonara o il tiramisรน hanno solo qualche decina di anni di vita.
Le favole sono belle, lโimportante รจ non confonderle con la realtร storica e, soprattutto, non farne un modello programmatico per il futuro.
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