Buon compleanno, mamma Ais. Sessant’anni fa, Jean Valenti creò un’associazione libera, indipendente, per diffondere la cultura del vino. Era il 7 luglio 1965. L’Ais, Associazione Italiana Sommelier, spegne 60 candeline e rilancia con un anno di festeggiamenti e attività diffuse in tutte le regioni. Si è partiti da Milano lunedì 7 luglio, il compleanno è l’occasione per definire la rotta e farsi due domande sul futuro. Tra i temi più urgenti la necessità di rinnovarsi per intercettare un pubblico altro. Ne parliamo con Sandro Camilli, presidente dell’associazione dal 2022.
Numeri alla mano i soci sono 45mila in tutta Italia: “Sono il nosto vero patrimonio. Il numero è cresciuto dopo il covid, nell’ultimo periodo è stabile. Si iscrivono anche giovani, ma dobbiamo fare di più per loro. C’è un problema di comunicazione, di linguaggio», ammette senza giri di parole.
«Dobbiamo imparare a usare un linguaggio più smart, più romanzato e meno tecnico, fermo restando il rigore dei nostri contenuti. Al di là dei corsi, dobbiamo trovare un modo per far capire che il vino è una bevanda anche per loro, trasmettere messaggi positivi». L’analisi è lucida. Non si parte da zero. Ais ha aggiornato i suoi criteri, rinnovato i libri didattici e sta pensando a nuovi corsi. «Chi si iscrive oggi al corso da sommelier lo fa sapendo a cosa va incontro. Ma fuori da quella cerchia, c’è un mondo che intercettiamo solo se parliamo una lingua diversa. Dobbiamo inoculare il virus della curiosità per poi portarli ad approfondire. I contenuti li abbiamo. Ci manca un ponte per arrivarci».
Il ragionamento tocca anche docenti, struttura, tono: «Stiamo lavorando per rendere il nostro linguaggio più vicino ai giovani, per comunicare anche sui social nel loro modo, non nel nostro. Serve un salto culturale».
Anche la Guida Vitae cambia pelle. Ais ha nominato due nuovi curatori, Andrea Dani e Gian Luca Grimani, con l’obiettivo di trasformare la guida da strumento interno per i soci a riferimento più aperto anche al mercato. «Vorremmo che diventasse un driver internazionale» spiega Camilli. «Un asset da valorizzare, con uno sguardo più ampio, più leggibile, più utile anche per chi non è già dentro al mondo Ais».
Camilli va dritto anche qui: «Nel mondo del vino si storce ancora il naso quando si parla di comunicazione. Eppure nei momenti di difficoltà è proprio la comunicazione che può salvare questo mondo. I consorzi dovrebbero smettere di litigare tra loro e promuovere il vino come bene del territorio. Bisogna organizzare attività positive, usare un linguaggio positivo, far capire che bere un buon bicchiere di vino non è solo salutare: è un momento di condivisione».
Sul tema dealcolato Camilli è pragmatico. Non chiude le porte, ma non le apre per forza. «Sui vini dealcolati siamo alla finestra. Il nostro metodo è inclusivo, ma oggi è tutto molto confuso. Ho avuto esperienze veramente negative con i dealcolati. A parte qualche aromatico o qualcosa negli spumanti, si capisce ben poco. Parliamo ancora di vino? Per me, piuttosto, è meglio far assaggiare un mosto che almeno sa di sangiovese o chardonnay, ha un’identità e non è il frutto di diverse operazioni forzate».
In chiusura, un appello al mondo della ristorazione che sposiamo in pieno. «Un sommelier in sala non sarà mai un costo. A fine anno sarà un investimento. Per il vino, per la narrazione, per l’identità di un ristorante. E non parliamo solo di abbinamento. Un bravo sommelier può far cambiare idea a un tavolo intero, può cambiare la percezione di un ristorante. Può far tornare la voglia di bere con attenzione».
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