Il conto dei dazi è più salato del previsto e lo stanno pagando in gran parte le imprese. Lo rileva l’Osservatorio di Unione italiana vini che ha elaborato gli ultimi dati sulle importazioni delle dogane americane e ha scoperto l’amara realtà: nel mese di luglio il vino italiano negli Usa è arrivato con prezzo medio ribassato (-13,5%) per rimanere competitivo anche una volta passato sotto la gogna delle tariffe.
La media a listino dei vini del Belpaese passa quindi dai 6,52 dollari/litro di luglio 2024 a 5,64 dollari del pari periodo di quest’anno, nonostante una fase di deprezzamento del dollaro Usa che dovrebbe invece spingere gli americani a spendere mediamente di più per comprare in euro. Secondo l’Osservatorio, dall’attivazione delle nuove tariffe a fine luglio (tre mesi) i vini italiani hanno subito tariffe aggiuntive pari a 61 milioni di dollari. Peggio è andata solo alla Francia con a 62,5 milioni di dollari.
«Dobbiamo evidenziare il sacrificio importante sui margini che stanno facendo le nostre imprese per fare fronte ai dazi statunitensi», ha detto il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi, che già la scorsa settimana, dal Masaf, in occasione della presentazione delle stime vendemmiali aveva invitato a non sottovalutare il peso dei dazi. L’auspicata divisione in tre parti (5% alle aziende, 5% alla filiera Usa e 5% al consumatore finale), citata anche dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, non si è tramutata in realtà. Semplicemente, rivela Frescobaldi «il vino sta uscendo dalle cantine a prezzi inferiori, e questo testimonia che buona parte delle imprese si sta assumendo in toto il dazio per rimanere competitive».
Ma c’è di più: secondo Uiv si stanno paradossalmente riscontrando ingiustificati aumenti nei punti vendita a stelle e strisce. «Ci risulta che i prodotti allo scaffale facciano parte degli stock pre-dazi accumulati nei primi mesi dell’anno – ha aggiunto il presidente Uiv – dispiace, perciò, assistere ad aumenti che non hanno ragion d’essere. Speculazioni di alcuni che non aiutano le nostre imprese ma nemmeno i partner del trade statunitense che si oppongono anch’essi alle tariffe».
Da qui la richiesta dell’associazione di attivare una promozione straordinaria proprio a partire dalla piazza statunitense già dal 2026. Una reazione concepita a regia pubblico-privata e basata sull’unicità del bere italiano, che oltre agli Stati Uniti si concentri su mercati promettenti come Uk, Canada, Brasile.
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