L'intervista

"Per l'Oltrepò sette denominazioni sono troppe: metteremo ordine". Parla il direttore del Consorzio Binda

Ad un anno dal suo insediamento sono tante le novità sul tavolo, tra cui un nuovo sistema di voto, la denominazione Classese e un disciplinare da rivedere. Resta da risolvere il rapporto con gli imbottigliatori: "Noi aperti al dialogo"

  • 25 Settembre, 2025

Il nuovo sistema di voto nel consorzio, il lancio del Classese, la crisi profonda della cooperativa Terre d’Oltrepò, le nuove frontiere del territorio: su questo e altro abbiamo fatto il punto con Riccardo Binda, direttore del Consorzio Classese Oltrepò Pavese, a un anno dalla sua nomina, in occasione della quinta edizione della manifestazione “Oltrepò: Terra di Pinot Nero”, svolta nel borgo di Golferenzo (Pv) il 21 e 22 settembre scorsi.

Con il cambio dello statuto la denominazione ha scelto di valorizzare le piccole aziende e di mettere al centro la filiera. Il risultato è che di recente hanno aderito al consorzio ben 11 cantine che prima erano fuori…

Portare avanti una innovazione poneva delle difficoltà, ma abbiamo voluto fortemente le modifiche dello statuto e le abbiamo realizzate in tempi molto rapidi. Grazie anche a un dialogo costruttivo e veloce con le istituzioni. Questa iniziativa ha riportato fiducia ed entusiasmo in molte aziende perché riequilibra molto la rappresentatività nel consorzio. Prima bastavano due o tre grandi aziende per trovare un accordo e decidere. Adesso la rappresentatività è molto frammentata: per mettersi d’accordo bisogna trovare un’intesa con tutti gli attori. Dopo l’approvazione molti consorzi ci hanno chiesto informazioni, segno che le nostre modifiche hanno destato interesse. È la prima volta negli ultimi decenni che l’Oltrepò pavese viene preso come modello.

L’anno scorso avete vissuto un terremoto. Prima cinque consiglieri espressione delle aziende di imbottigliatori si sono dimessi dal Cda, poi nove aziende di imbottigliatori sono proprio uscite dal consorzio. Avete intenzione di riallacciare i rapporti con loro? Pensa che prima o poi rientreranno?

Assolutamente sì. Il consorzio non ha mai avuto nulla contro gli imbottigliatori che sono presenti nelle compagini di qualsiasi consorzio. Noi abbiamo voluto ribaltare un sistema e circa un anno fa c’è stato lo scontro, ma credo che se in ottica futura il territorio pensa di crescere e prosperare bisognerà trovare unità di intenti. C’è la massima apertura al dialogo.

Intanto tra le modifiche c’è un nuovo nome per lo spumante metodo classico. Si chiamerà Classese. Quali sono le ragioni della scelta?

Non abbiamo introdotto solo un nuovo nome ma anche nuove regole. Purtroppo le aziende dell’Oltrepò rivendicano molto poco la Docg. Ma il metodo classico si fa qui fin dall’800. È anche la tipologia di vino più remunerativa anche se i prezzi medi dei nostri spumanti sono bassi rispetto ad altri. Inoltre, il Pinot Nero spumante dell’Oltrepò è riconosciuto in Italia come quello di più alta qualità. Ciò nonostante il metodo classico oggi non porta identità al nostro territorio che annovera ben sette denominazioni compreso lo spumante charmat: così metodo classico e pinot nero non sono abbastanza identitari. Serviva unicità e chiarezza per comunicare l’eccellenza del nostro metodo classico. Classese è una crasi tra “classico” e “pavese” concepita nel 1984, in un periodo in cui emergevano Trento doc e Franciacorta. Dopo tanti anni la necessità di posizionamento è quanto mai impellente, ma si tratta di un recupero più che di una novità.

Anni fa l’Oltrepò aveva lanciato il Cruasé. Però non ha avuto risultati all’altezza delle aspettative. Non c’è il rischio di fare flop di nuovo?

Comprendo la domanda, ma stavolta l’approccio è diverso. Il Cruasé era un progetto intelligente, ma era solo e soltanto un marchio che non può sostituirsi a una denominazione. Classese non è solo un marchio ma è la denominazione: non c’è spazio per decidere se usarlo o meno. Ovviamente c’è la sfida di far comprendere il legame con il territorio ma questo è un lavoro che si costruisce con gli anni e andrà fatto.

Ascoltando i produttori ho raccolto riflessi molto positivi nei confronti del nuovo gruppo dirigente del consorzio. La presidente, Francesca Seralvo, è anche la punta di un gruppo di imprenditrici che potrebbero rappresentare bene la nuova immagine del territorio.

Credo assolutamente di sì. Vengo dall’esperienza di direttore del consorzio a Bolgheri dove la presenza delle donne era cruciale a partire dalla presidente Antinori, affiancata dalle vicepresidenti Priscilla Incisa della Rocchetta e Cinzia Merli. Anche qui la presenza femminile è consolidata: sono donne brave e capaci che portano avanti l’immagine dell’Oltrepò di successo. Speriamo che ne entrino altre.

La Cantina Terre d’Oltrepò, la più grande cooperativa vitivinicola della Lombardia, dopo una lunga crisi che ha avuto un impatto inevitabile su tutto il territorio e sugli equilibri nel consorzio, è stata commissariata a fine agosto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy nel tentativo di operare il risanamento. Abbiamo qualche novità?

Abbiamo conosciuto subito il commissario Luigi Zingone, è stato molto corretto con noi e le associazioni di categoria ed è concentrato per fare il possibile per salvare questa realtà. La situazione è estremamente complicata: basti pensare che in questo momento Terre d’Oltrepò è il nostro primo contribuente. Ma le priorità in questo momento è la situazione dei soci e dei dipendenti. Come consorzio non ci siamo sentiti di avanzare richieste, abbiamo massima fiducia nelle istituzioni, nella regione e nel dottor Zingone.

Intanto però è arrivata la vendemmia. I soci di Terre a chi hanno conferito?

Il commissario si è impegnato a pagare ai soci la raccolta di questo anno. Oggi Terre d’Oltrepò sta vendemmiando, ma nel passaggio tra la vecchia e la nuova governance la prima parte della vendemmia è andata persa. È lecito aspettarsi che le rese siano inferiori rispetto a quelle del passato. Ma per maggiori dettagli bisognerebbe chiedere a loro. Sullo stato di agitazione dei dipendenti non sono aggiornato: certo, sono preoccupati ma non sono spariti.

Tra le novità del Cda dimissionario di Terre d’Oltrepo c’erano il progetto di realizzare una S.p.a. e di chiedere il marchio storico di interesse nazionale per la cantina La Versa. A che punto siamo?

Il marchio storico a La Versa è già stato concesso: percorso concluso. La Spa è stata fatta a inizio anno. Tant’è vero che dalla fine della primavera sia la cooperativa che la Spa sono soggetti diversi anche nel consorzio in qualità di soci.

Quale futuro si aspetta il consorzio per Terre d’Oltrepò? Forse un percorso verso basse rese e migliore qualità?

Il percorso lo stava già facendo: speriamo che questo prosegua sia nelle strategie che nel posizionamento: il compito non tocca adesso al commissario ma alla prossima governance dell’azienda. Posso solo aggiungere che le decisioni del consorzio sullo statuto e sul disciplinare sono state assunte con il supporto di Terre d’Oltrepò che ha la rappresentatività maggiore nella compagine consortile.

In passato si parlava dell’interessamento di Gancia e di Moratti per l’acquisto della cooperativa. È saltato tutto?

Moratti è già presente in Oltrepò con il Castello di Cicognola: non ho notizie ulteriori a riguardo. Per Gancia – non è un segreto – c’era stato un dialogo con la Regione Lombardia, poi le dinamiche della cooperativa hanno fermato tutto: non so se ci saranno possibilità in futuro.

Nel frattempo nel consorzio sono entrate 11 nuove cantine…

Queste aziende sono tra i marchi più riconosciuti e stimati del territorio. Sono aziende che fanno filiera e sono impegnate nella produzione di marchi riconosciuti. In alcuni casi sono state anche premiate con i Tre bicchieri, quindi parliamo di eccellenze del territorio. Insieme ricostruiscono il valore del territorio. Del resto, la nostra stella polare è dare valore alla nostra terra che adesso vale meno di una risaia: saremo giudicati per questo.

Come si fa a dare più valore al territorio?

A livello di prodotti, vogliamo investire sul progetto del metodo classico come portabandiera del territorio, ma non possiamo dimenticare che l’Oltrepò fa tante altre cose. Lavoreremo anche per i vini fermi: anche questi meritano di essere riposizionati. Tuttavia alcune denominazioni sono poco chiare. Il consorzio vuole risolvere questo problema: garantire a tutte le tipologie il posizionamento passa anche da una rivalutazione del disciplinare.

Ci sta dicendo che sette denominazioni sono troppe e che dovrete semplificare? Nuove modifiche dello statuto in arrivo?

Servono sicuramente più regole rigide e meno denominazioni. Ma è ancora tutto da discutere. Il problema principale è l’organizzazione delle denominazioni: o si lavora su tutti e sette i disciplinari, che non è semplice, oppure bisogna immaginare un disciplinare nuovo che include le tipologie nella piramide qualitativa della denominazione. Questa sarà la prossima sfida.

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