Storie

Il mulino che vuole smantellare la narrazione romantica dei grani antichi (che antichi non lo sono mai stati)

Si sono dati appuntamento da Petra Mulino Quaglia i genetisti Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando, e il contadino Giuseppe Li Rosi per presentare il progetto “Neogrania” mirato a creare una nuova generazione di grani

  • 26 Settembre, 2025

Coltivando una “popolazione evolutiva” ci si mette al riparo da malattie ed erbe infestanti nuove o cambiamenti climatici perché su un’intera popolazione ci sarà sempre una parte di individui che riuscirà a cavarsela. Un concetto tanto semplice, quanto concretamente utile, che pone le basi del progetto Neogranìa promosso da Petra Mulino Quaglia (nostro sponsor della guida Pane e Panettieri d’Italia) insieme a Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando, tra i massimi esperti di miglioramento genetico partecipativo, e il contadino filosofo e custode Giuseppe Li Rosi.

In mezzo Salvatore Ceccarelli, a destra Stefania Grando

Il miglioramento genetico partecipativo

Un modello basato sulla partecipazione e sulla nascita di una generazione cerealicola – che nulla ha a che vedere col ripiantare i cosiddetti grani antichi e tanto meno con le varietà moderne – basata sulla selezione naturale, fin dalla gestione del seme. «Se voi ci pensate – spiega Salvatore Ceccarelli – fino a circa cento, centoventi anni fa, quando non c’erano le ditte sementiere, i contadini si procuravano i semi entrando in campo prima di raccogliere, scegliendo le spighe più belle. Con queste creavano il loro miscuglio di semi. C’è un libro sulla carestia che parla proprio di “grano mischio” dal quale si raccoglieva sempre qualcosa. Per cui non abbiamo inventato nulla».

Ceccarelli e Stefania Grando hanno lavorato per decenni in Medio Oriente portando avanti questo concetto di miglioramento genetico partecipativo: «Nel 1987 abbiamo mescolato un migliaio di tipi di semi di orzo e li abbiamo portati ad alcuni agricoltori in cinque paesi diversi: Siria (specialmente Aleppo), Algeria, Eritrea, Giordania e Iran. Il risultato è stato subito un raccolto abbondante, che poi è stato distribuito ad altri agricoltori, e le sementi così selezionate sono state diffuse. Con gli anni le popolazioni si sono moltiplicate, e hanno viaggiato per tutto il Medio Oriente modificandosi a seconda del terreno e del clima». Una diffusione avvenuta spontaneamente tra gli agricoltori con il semplice passaparola.

I vantaggi della popolazione evolutiva

Discorso analogo per altri tipi di cereale. «Una popolazione evolutiva – per la precisione si parla di miscuglio quando si tratta di semi, di popolazione evolutiva quando il miscuglio si evolve in pianta – non è altro che una mescolanza di tantissime varietà diverse della stessa specie, il che mette al riparo da malattie nuove, erbe infestante nuove o cambiamenti climatici, perché su un’intera popolazione ci sarà sempre una parte di individui che riuscirà a cavarsela».

Questo è estremamente importante in relazione al cambiamento climatico in atto, il quale rende imprevedibile che tipo di malattie, di insetti o di erbe infestanti avremo da qui a 5-6 anni. «Ai ricercatori che dicono che stanno lavorando su nuove varietà resistenti al cambiamento climatico domandate loro che cosa intendano: più resistenti alle alte temperature, più resistenti a insetti di cui ancora non sappiamo il nome, più resistenti all’erbe infestanti?», suggerisce Stefania Grando. «Nel caso della popolazione evolutiva, non si ha bisogno di saperlo, perché lì dentro c’è talmente tanta diversità per cui quando arriverà un nuovo insetto o un lungo periodo di siccità, ci sarà sempre qualche spiga che resiste».

L’importanza della biodiversità e della filiera

Lo sa bene Giuseppe Li Rosi che giusto lo scorso anno ha dovuto fare i conti con una delle peggiori siccità degli ultimi cinquant’anni, perdendo metà del suo raccolto in Sicilia, eppure nelle zone toccate dalle rare piogge la resa per ettaro è stata buona e ha consentito a Li Rosi di selezione i “semi giusti”. «La selezione per la resistenza alla siccità quando la si fa sennò? Guardare un campo di grano significa anche scorgere delle leggi, che non sono leggi create dall’uomo, ma sono regole universali dove la diversità non è un errore, come invece accade nei campi di grano moderni dove sembra dominare l’idea del “tu non c’entri con me, non voglio avere nulla a che fare con te”.

Nel contesto delle popolazioni evolutive, fortunatamente, non funziona così. E il discorso si allarga anche alle persone che partecipano al progetto Neogranìa dove sono coinvolte diverse competenze». Oltre a Ceccarelli e Grando, Li Rosi fa riferimento ai mugnai – «Per l’agricoltore sono nemici atavici, mentre in questo caso con Chiara Quaglia (amministratore delegato di Petra Molino Quaglia, ndr) c’è stata condivisione di vedute fin dal principio, fin da quando si è impegnata ad acquistare al giusto prezzo il raccolto dei campi delle popolazioni evolutive» – ai pizzaioli (pochi i presenti in sala) e ai panificatori (più numerosi) che ora possono adottare un raccolto supportando i contadini e con la certezza che la macinazione che seguirà sarà “monoraccolto” e destinata interamente a loro.

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