Un gruppo di fisici italiani hanno lavorato insieme per capire come creare il piatto perfetto di cacio e pepe. E anche se si potrebbe pensare che si tratti di un’attività scientifica frivola, il loro lavoro si è aggiudicato l’IG Nobel 2025 per la fisica, un premio divertente e ironico ma diventato nel tempo anche molto prestigioso. La cerimonia si è svolta presso la Boston University, organizzata dalla rivista scientifica umoristica Annals of Improbable Research, che ogni anno assegna gli Ig Nobel. Questi premi, parodia dei più noti Nobel, riconoscono ricerche insolite, curiose e che spingono a riflettere. Un’avventura, quella della cacio e pepe senza grumi, nella quale si era addentrato anche Dario Bressanini, ma che non vedeva la presenza di un ingrediente strategico.
Il lavoro premiato è stato pubblicato in aprile sulla rivista internazionale Physics of Fluids con il titolo Phase behavior of Cacio e Pepe sauce. Tra gli autori ci sono Davide Revignas e Daniel Maria Busiello (Università di Padova), Giacomo Bartolucci (Università di Barcellona), Fabrizio Olmeda (Institute of Science and Technology Austria), e Matteo Ciarchi, Ivan Di Terlizzi, Vincenzo Maria Schimmenti e Alberto Corticelli del Max Planck Institute di Dresda. Il team ha iniziato il lavoro mentre alcuni di loro si trovavano al Max Planck Institute for the Physics of Complex Systems. Durante cene e momenti conviviali, era spesso proposta la cacio e pepe, un piatto notoriamente insidioso da preparare bene in quantità maggiori. L’obiettivo iniziale non è stato solo di ottenere una salsa buona, ma interpretare il fenomeno come un caso di separazione di fase, un tema con cui i fisici studiano molti sistemi naturali e biologici. Bartolucci, in un’intervista alla rivista Physics, ha sottolineato che le loro competenze in fisica dei sistemi complessi si prestavano bene a questa applicazione. Il team ha costruito un diagramma di fase variando la quantità di amido di mais e la temperatura, identificando regioni in cui la salsa diventa grumosa. Busiello ha spiegato che questa mappatura ha permesso di definire condizioni sicure per evitare la fase di aggregazione proteica.
Un classico della cucina romana che va preparato con grande attenzione. Pochi ingredienti e un delicato equilibrio: se la temperatura è troppo alta o le proporzioni sbagliate, il formaggio coagula, i suoi componenti proteici si aggregano e la salsa diventa grumosa, simile a una massa filamentosa piuttosto che una crema vellutata. In questo caso lo scopo dello studio è stato duplice. Da un lato, approfondire fenomeni legati alla fluidodinamica – ovvero come si comportano i liquidi e le miscele in condizioni diverse, dall’altro ottenere un risultato concreto, cioè evitare che il pecorino si coaguli in grumi.
Un’idea che nasce dall’osservazione quotidiana di come sia facile sbagliare la temperatura, sbattere troppo o troppo poco, e compromettere la consistenza cremosa della salsa. Il ruolo dell’amido presente nell’acqua di cottura è cruciale: serve come stabilizzatore, per aiutare a emulsionare il pecorino con l’acqua. Tuttavia, nella pratica abituale la quantità naturale di amido spesso non è sufficiente per evitare la formazione di grumi quando la temperatura supera i 65°C. In quel range, le proteine denaturano e aggregano in modo incontrollato.
Il protocollo messo a punto dai ricercatori suggerisce di procedere con 4 g di amido (patata o mais) sciolti in 40 ml d’acqua, da legare a 160 g di pecorino romano; poi mescolare delicatamente con la pasta (idealmente tonnarelli) e regolare con acqua di cottura e pepe. Alla domanda se la versione “scientifica” del cacio e pepe risulti diversa al palato, Di Terlizzi ha assicurato che l’amido aggiunto è in quantità minima e non altererebbe il sapore; l’effetto è soprattutto sulla consistenza che risulterebbe liscia e setosa.
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