Per la prima volta, sulla Guida Vini d’Italia l’Emilia e la Romagna sono due regioni distinte. Ovviamente la nostra scelta è puramente vinicola, visto che i territori, i vitigni e le denominazioni, compongono due areali molto diversi tra di loro.
Partiamo da Ovest. Per fare un riepilogo del territorio vitivinicolo emiliano occorre distinguere tra alcune zone ben precise con caratteristiche completamente differenti fra loro, partendo da Bologna risalendo la Via Emilia fino a Piacenza. Sui Colli Bolognesi – con escursioni anche in provincia di Modena – impazza sempre più il Pignoletto, nelle varie versioni fermo, frizzante, spumante, anche Metodo Classico. Leggero, fresco, beverino, da sbicchierare in compagnia, stanno cominciando a uscire interessanti versioni più invecchiate e complesse.
Tra Modena e Reggio Emilia ormai il Lambrusco – anzi, i Lambruschi – acquisiscono anno dopo anno una personalità sempre più definita. Dall’eleganza del Sorbara, alla carnosità del Grasparossa, passando per i profumi del Salamino, le versioni in purezza, con le varianti Metodo Ancestrale e Metodo Classico, offrono una gamma articolata, integrata da blend centrati che riescono a riassumere le caratteristiche peculiari delle varietà, includendo anche quelle che più raramente vengono vinificate in purezza. Attenzione poi alla Spergola nell’areale reggiano, soprattutto quelle prodotte in collina, di cui si parlerà sempre di più.
Se da Parma non provengono particolari segnali di risveglio, con poche realtà capaci di mettersi in luce, i Colli Piacentini, seppure in una condizione di poca chiarezza sugli obiettivi da perseguire, si dimostrano più vivaci. In attesa della nuova Doc Piacenza, e in attesa della valorizzazione definitiva di un vitigno potenzialmente molto interessante come la malvasia di Candia aromatica, è il Metodo Classico dalle uve più tradizionali – pinot nero e chardonnay – a mettersi in luce. Metodo Classico che peraltro trova interpreti in tutte le provincie, al punto che si sta pensando a una nuova Doc Emilia specifica. Staremo a vedere.
Ecco i vini che hanno ottenuto il massimo riconoscimento nella guida Vini d’Italia 2026 del Gambero Rosso.
Veniamo alla Romagna. È una vera e propria rivoluzione (positiva) quella che ha interessato tutto l’areale che da Bologna va verso l’Adriatico. I grandi cambiamenti hanno interessato soprattutto il Sangiovese che, ormai già da un po’, è passato da generico vitigno a una varietà che oggi può godere di una Denominazione forte chiamata Romagna Sangiovese (mettere prima il nome dell’Origine, secondo noi, è comunque un passo avanti che tante Doc dovrebbero attuare), per arrivare ad avere ben 16 sottozone che identificano i diversi areali. Così facendo il celebre rosso sta diventando un vino sempre più territoriale, originale, unico, e sono lontani i tempi in cui si cercavano sterili imitazioni con i grandi rossi toscani. Nel bicchiere troviamo sempre più spesso, al di là delle differenze dei singoli territori, vini luminosi, eleganti, fini e di grande bevibilità che rispettano maggiormente quelle che sono le peculiarità del vitigno da queste parti.
Passiamo ai bianchi. Se il Sangiovese è il principe, l’Albana è di sicuro la principessa, con la sua ecletticità. Assaggiare le diverse Albana di Romagna è puro divertimento, visto che la particolare varietà autoctona riesce a regalare vini giovani, freschi e profumati, bianchi più evoluti e complessi, vini dolci sontuosi e avvolgenti (grazie alla tipologia Passito prevista dal disciplinare), senza dimenticare le versioni macerate sulle bucce. È vero, forse la criticità sta nel non avere una omogeneità che faccia capire bene le peculiarità dell’uva e dei singoli territori in cui nasce, ma questa sua versatilità è comunque un valore aggiunto non da poco. In più si sta investendo sempre più su questa varietà, come dimostra l’associazione “Brisighella, anima dei tre colli” e il progetto Brix, nato di recente e volto a valorizzare proprio l’Albana.
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