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Microplastiche anche nel latte. Lo studio italiano che svela l’inquinamento nei prodotti caseari

Un’analisi condotta da ricercatori italiani e internazionali ha rivelato contaminazioni consistenti, soprattutto nei prodotti lattiero-caseari più elaborati

  • 13 Ottobre, 2025

Di fronte a uno scenario globale sempre più consapevole dell’inquinamento da plastica, un studio italiano pubblicato sulla rivista NPJ Science of Food, ha messo in luce un dato inquietante che riguarda la nostra quotidianità, ovvero la presenza di microplastiche in latte e formaggi.

I contenuti dello studio

I ricercatori dell’Università di Padova hanno analizzato 28 campioni di prodotti lattiero-caseari – latte confezionato, dieci formaggi freschi e quattordici formaggi stagionati – acquistati nei normali punti vendita. Le analisi sono state condotte in una “cleanroom” di classe 7, un ambiente sterilizzato per evitare contaminazioni, utilizzando solo vetri accuratamente puliti. Dopo aver separato i campioni dalle possibili impurità, il team ha utilizzato un potente microscopio a infrarossi per identificare ogni particella sospetta.

I risultati sono stati chiari: 26 campioni su 28 contenevano microplastiche, soprattutto frammenti di PET (polietilene tereftalato, usato nelle bottiglie e negli imballaggi alimentari), polietilene e polipropilene, i materiali plastici più comuni nel confezionamento. Nello specifico nel campione medio di latte esaminato, sono state rilevate circa 350 particelle di microplastica per chilogrammo. Nei formaggi freschi la concentrazione è salita a oltre 1.200 MP/kg, e nei formaggi stagionati arriva fino a quasi 1.900 MP/kg. Numeri che mettono in evidenza come il processo di lavorazione sembrerebbe “selezionare” e concentrare le particelle, specialmente quelle più piccole, rendendole parte integrante del prodotto finito.

I frammenti presenti nel formaggio

Le microplastiche identificate – principalmente PET, polietilene e polipropilene – sono prevalentemente frammenti irregolari, con una prevalenza di particelle di colore grigio. La maggior parte misura meno di 150 micrometri (lo spessore di un capello umano ne misura circa 50-70) e la spiegazione della loro presenza è che si tratta di un settore in cui il processo produttivo – taglio, pressatura, maturazione, uso di contenitori plastici – può favorire la contaminazione.

A tal proposito, i ricercatori hanno messo in guardia sul fatto che le fonti di emissione non sono solo esterne, ma anche interne alla catena produttiva. Film plastici, guarnizioni, superfici in contatto con il prodotto, impianti di confezionamento e deposito, oltre all’aria contaminata da polveri plastiche, potrebbero essere protagonisti nel trasferimento. Per quanto riguarda i rischi per la salute lo studio non ha fornito ancora una risposta definitiva. La presenza delle particelle è accertata, ma le conseguenze per la salute umana non sono ancora ben comprese. Servirebbe approfondire se e come queste microplastiche vengano assorbite o accumulino nei tessuti, e con che modalità interagiscano con l’organismo.

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