C’รจ una cosa che colpisce nello stravagante mondo dell’extravergine italiano. โIn un’annata come quella appena trascorsa con un deficit di produzione pazzesca, le cisterne di olio extravergine di oliva italiane sono in molti casi ancora pieneโ. Lo dice Pietro Intini nei corridoi del Sol di Verona.
Eppure, qualche ora prima, il presidente di Federoli, Francesco Tabano, durante la presentazione della guida Oli d’Italia 2019 del Gambero Rosso aveva lanciato l’allarme: migliaia di ettari di oliveti continuano a essere abbandonati e non riusciamo ad avere i quantitativi che servono all’Italia. Ovvero, andando a spanne, quest’anno la produzione รจ rimasta abbondantemente sotto le 200mila tonnellate di extravergine rispetto a un fabbisogno (legato anche all’export) di oltre 400mila.
Ma allora ecco la domanda: perchรฉ ci si allarma per la bassa produzione quando poi non si riesce a vendere l’olio?
Perchรฉ un agricoltore dovrebbe investire in oliveti e in frantoio, quando poi c’รจ grande difficoltร nel vendere quell’olio? Certo, la risposta potrebbe essere semplice: deve attrezzarsi per costruirsi un mercato. Vero. Ma la realtร non รจ quasi mai quella che vorremmo. La realtร รจ quella che si concretizza ogni giorno intorno a noi.
Federoli rappresenta sรฌ anche alcuni agricoltori, ma sostanzialmente rappresenta i grandi imbottigliatori, quelli che ingaggiano le battaglie commerciali all’ultimo cent pur di vincere la guerra dei prezzi nella grande distribuzione. Cosรฌ, a Federoli viene spontaneo fare una domanda: perchรฉ piรน che sulla quantitร non si punta sulla qualitร pagandola a un prezzo giusto? Perchรฉ non si cercano mercati disposti a pagare l’olio extravergine italiano a un prezzo adeguato alla sua qualitร ? Ovviamente, questa qualitร deve essere reale, deve avere un senso: non basta certo definire un extravergine “made in Italy” perchรฉ sia automaticamente di qualitร .
Ma, considerando la realtร concreta – e non una realtร ideale – non รจ che i grandi imbottigliatori vorrebbero oli extravergine decenti, italiani, a prezzi molto bassi? Infatti, se le cisterne restano piene, alla fine ci sarร qualcuno che pur di non buttare via del prodotto dovrร venderlo al prezzo imposto dai piรน forti. Ma se รจ per questo che un agricoltore deve lavorare, allora รจ meglio produrre meno e meglio.
ร vero, non รจ facile riuscire a collocare su mercati spesso ancora poco conosciuti un prodotto cosรฌ fortemente identitario come l’extravergine italiano: un olio – se ben fatto – che ha carattere, che mostra amari e piccanti in evidenza, che non sottostร alla logica del gusto internazionale che vorrebbe invece sempre toni piรน o meno dolci (Usa e Cina in primis). Per vendere questo olio occorre lavorare molto, far crescere i gusti delle persone, abituarli ed educarli, far capire cosa c’รจ dietro quel piccante e quell’amaro.
E bisogna spiegare quelle diversitร (oltre 500 le cultivar italiane!) che per una nazione con la storia e la geografia dell’Italia sono caratteri identitari forti.
Pietro Intini
Pietro Intini – per citare il produttore di Alberobello (altro simbolo dell’Italia profonda nel mondo, con i suoi trulli) che abbiamo fatto parlare fin dall’inizio e prendendolo come rappresentante dei tanti che come lui da anni si impegnano per la qualitร e cercano di vendere piรน all’estero che in Italia – racconta: โRicordo ancora quando andavamo coi carri di olive e i commercianti ci strangolavano, aspettando che non ne potessimo piรน di custodire l’olio che non si riusciva a vendere! aspettavano fino all’ultimo momento, per strappare il prezzo piรน bassoโ. Vogliamo tornare a quei bei tempi? Solo che quando la storia va avanti, difficilmente torna esattamente al punto di partenza: oggi difficilmente potremmo tornare a quei tempi, mentre potremmo semplicemente puntare su altre colture e altri business.
Peccato che allora mentre nel Lazio si grida “al lupo, al lupo” per 80mila ettari di oliveto a rischio abbandono, si danno contributi per impiantare le nocciole (e qui c’รจ un’altra industria che spinge, quella delle creme spalmabili) fin quando – ovviamente – non si toccherร con mano anche per le nocciole lo stesso problema dei prezzi, della qualitร , delle remunerazioni che oggi strangola gli olivicoltori.
Il costo alla borsa di Andria dell’extravergine italiano si aggira intorno ai 6 euro, mentre lo spagnolo sta a circa la metร (piรน o meno). Peccato che poi nei supermercati troviamo bottiglie etichettate e imballate, trasportate fin sullo scaffale, a meno di due euro. Ma questo ormai รจ un fenomeno che conosciamo bene… Truffe? scontistica acchiappaclienti? scorrettezze commerciali? scelte sbagliate dei consorzi di tutela di dop e igp? C’รจ un po’ di tutto.
E allora pensiamo: ma non c’era un progetto di Alta Qualitร italiana? Sรฌ, c’era. Ma รจ morto nel giro di pochi anni prima che diventasse realtร . Prevedeva un’aciditร libera massima di 0,4%, perossidi (misura del degrado e dell’ossidazione) entro un valore 12 mg/kg ed etil-esteri (misura di fermentazioni) entro i 20 mg/kg. Chi lo ha fatto saltare?
Alberto Grimelli
Ecco, quella che รจ ormai la vera occasione perduta รจ stato l’ultimo tentativo di affermare dei parametri organici abbastanza seri per la definizione oggettiva di una qualitร italiana. โIntantoโ spiega Alberto Grimelli direttore di Teatronaturale.it โsarebbe giร una buona cosa fare come ha giร fatto la Spagna unica in Europa: vietare ogni miscelazione tra oli extravergine e oli vergini. In questo modo molte delle truffe oggi permesse sarebbero automaticamente fuorileggeโ. Il riferimento in particolare รจ alle famose bottiglie a prezzi irrisori di cui sopra.
Non riapriamo poi tutta la discussione sulla coltivazione degli olivi in superintensivo: a parte le considerazioni di tipo ambientale e di sostenibilitร , l’argomento di cui sopra sull’extravergine invenduto lo prendiamo superficialmente buono a maggior ragione per queste produzioni (su cui diversi agricoltori rischiano davvero di sbattere la testa e di perdere tanti soldi).
La proposta, a questo punto si fa davvero modesta (senza voler citare il papร di Gulliver): produciamo meno e produciamo meglio; puntiamo a far pagare molto (comunque il giusto) l’olio per le sue qualitร intrinseche (organolettiche e salutistiche), mettiamo sui mercati mondiali l’emozione made in Italy vera. Se i prezzo dell’extravergine vanno mediamente dai 4 ai 50 euro, puntiamo a occupare la fascia alta. In Italia non verrebbe capito? Bene, vendiamolo al mondo! Lo riporteremo in Italia per chi lo vorrร al giusto prezzo. Anche perchรฉ, scusate, ma se le cifre sono quelle che davamo all’inizio, l’extravergine italiano, in Italia, chi lo usa? ne produciamo la metร del nostro fabbisogno e addirittura rimane invenduto!
E come ha provocatoriamente affermato il presidente di Gambero Rosso, Paolo Cuccia, alla presentazione di Oli d’Italia a Verona, pochi giorni fa: โNon daremo piรน premi a oli che costino sotto i 30 euro il litroโ. Provocazione? O sano realismo e strategia di marketing?
C’รจ un piccolo problema perรฒ da risolvere: le associazioni dei produttori (tutte) vengono vissute ormai come “altro da sรฉ” da parte dei produttori, almeno da quelli che hanno cominciato a puntare sulla qualitร vera e su prezzi remunerativi. E ancora nel mondo dell’olivicoltura c’รจ la vecchia mentalitร contadina della diffidenza e l’abitudine a un’agricoltura assistenzialistica: difficile fare incontrare imprenditori intorno a progetti. E spesso, quando si creano strutture cooperative o consortili, ci si mette in mezzo la politica personalistica e l’ambizione di soldi e di potere da parte di personaggi che tutto fanno tranne che gli interessi degli associati.
Stiamo esagerando? Ma perchรฉ allora una grande cooperativa come quella che tiene insieme la Cantina e il Frantoio di Riva del Garda riesce a pagare ai suoi associati l’extravergine prodotto con le loro olive circa 14-15 euro il litro? Semplice: perchรฉ riesce a venderlo a 30! E come fa? Perseguendo con scrupolosa serietร la qualitร , lavorando sul miglioramento della cultivar locale (la casaliva), selezionando i diversi cloni e investendo sulla zonazione di tutto il territorio della Dop Garda Trentino (500 ettari di oliveti di cui solo 200 sono dei loro associati) con un investimento di oltre un milione di euro e con risultati che fanno bene a tutti essendo a disposizione di tutti nel territorio. Non parliamo di un Consorzio di tutela, ma di una cooperativa: un’azienda privata. Che possa essere un modello? Che qualcuno possa imparare da tutto questo? Altrimenti, buttiamoci sulle nocciole… poi cambieremo coi kiwi… e cosรฌ avanti, fino alla fine. Dell’agricoltura.
a cura di Stefano Polacchi
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