Aruba, l'isola che un italiano conquistò con la polenta

10 Dic 2023, 12:12 | a cura di
Barracuda, red snapper, funchi (polenta), kombucha. Sono solo alcuni dei protagonisti delle tavolte di Aruba, isola piccolissima del mare dei Caraibi.

Un belga, una tedesca, un’italiana e due arubani. Al tavolo del Wilhelmina sono in cinque quando Renwick Heronimo, che di mestiere fa la guida turistica, racconta di un certo Giuseppe Frigerio che tra il 1840 e il 1880 in una data non definita, decide di fare un viaggio oltreoceano che gli cambia la vita.

«Ad Aruba uno dei piatti più consumati è italiano, noi lo chiamiamo funchi, ma in realtà è la polenta», rivela curiosamente Heronimo con il suo inglese sporcato da inflessioni in papiamento.
«Giuseppe Frigerio arrivò sull’isola ai tempi della febbre dell’oro, sposò la figlia del direttore di una miniera e si stabilì portandoci la polenta!». Quando incuriositi i commensali continuano ad ascoltare il resto della storia di Heronimo, alla cameriera hanno già ordinato un barracuda, un ceviche, una kimchi salad, e gamberi con cetrioli e noodles, e l’hanno congedata con un masha danki!

In attesa dei piatti, sul tavolo viene offerto un amuse-bouche di balchi di pisca, ed è lì che Heronimo continua a raccontare: «Frigerio ci vide lungo e chiamò una quarantina di italiani del Nord, abili a lavorare le pietre. È lì che si formarono le prime comunità di connazionali sull’isola “dove c’è l’oro”»(questo il significato di Aruba, ndr.).

Palm beach

Di quello che è accaduto a Frigerio, dopo che si è arricchito di oro e lasciato un’eredità gastronomica come la polenta, nessuno ne ha saputo più nulla. Eppure, quel che è certo è che la soluzione all’enigma su quale sia la vera identità di un’isola che non produce quasi nulla, ma importa tutto; che non ha una cucina tipica, ma è una mescolanza di influenze americane, europee e latine; che non parla una sola lingua, ma fra l’inglese e l’olandese ci infila una creola, si risolve in poche parole: Aruba un’identità non ce l’ha, al contrario è un miscuglio perfetto di cose e intenzioni che la rende la One Happy Island. E il simbolo di quest’essenza è quel tavolo di giornalisti in cui coesistono pietanze gastronomiche di ogni dove, lingue di parti diverse del mondo, in un equilibrio sorprendentemente felice.

Parola d’ordine: libertà

La premessa per capire l’isola è proprio questa: la libertà è sinonimo di infinito, di innumerevoli possibilità che un paese offre in ogni materia: cibo, cultura, lingua. Qui la libertà è trasgressione e accettazione allo stesso tempo. Tutto è concesso: colorare le case come si preferisce, abbinare ingredienti che apparentemente non hanno una connessione. Emblema dell’assunto di “senza limiti” sono i cocktail avanguardistici che si assaggiano da Infini, il ristorante fine dining di Urvin Croes, dove il rum si unisce alla salsa di soia, o dove l’America latina si tuffa insieme al Giappone nello stesso bicchiere di mescal, per far incontrare il cocco e il mais con lo yuzu.

Raccontare un luogo lontano – per distanze e abitudini – può essere un compito arduo. Eppure, quello che di un viaggio si riporta a casa sono i profumi, i suoni, le immagini, i sapori, quelli attraverso cui vogliamo farvi conoscere questa isola che danza nel mare dei Caraibi con Bonaire, Curaçao, Saint-Martin e strizza l’occhio al Venezuela.

Sapori: mare e pesca

Aruba sa di pesce. L’anima pescatrice dell’isola si plasma sulle rive delle spiagge più belle del mondo dalla sabbia bianchissima su cui, se si è fortunati, si può incontrare un fishman con una spatola artigianale – ricavata da un pezzo di legno e dei chiodi – che desquama un red snapper, benedicendoti come se fosse un dio; o un crocchio di uomini appena tornati da una battuta di pesca intenti a pesare con orgoglio il bottino per strada su una bilancia demodé.

Scordatevi tonno e salmone, qui i più gettonati sulle tavole del posto sono il mahi mahi, il red snapper, il barracuda. Gamberi fritti e balchi di pisca (palline fritte di pesce bianco), non mancano nei menu.

Le note piccanti nelle pietanze sono frutto di una tradizione latino-americana che si insinua nei piatti. Entrano a gamba tesa le salse, dove quella di papaya la fa da padrone in molte preparazioni. È altamente piccante – giacché realizzata con peperoncino Madame Jeanette – e si abbina ai gamberi fritti con una pastella di farina di cocco, o a quelli in umido.

Quando nei menu si legge “funchi”, il pensiero va subito a un refuso. Assodato che i funghi sono dappertutto, spesso serviti con carne o nel rissotto o con pasta, il funchi è semplicemente la polenta servita anche con il formaggio gouda, dove l’Italia e l’Olanda si incontrano.

Funchi

Tuberi, come patate, o ortaggi, come zucca, sono i protagonisti di molti piatti. La pampuna si prepara spesso in zuppa o ripiena con altri ingredienti. La carne non manca. Stoba è un piatto di manzo stufato nella tipica ricetta delle Antille olandesi; il pollo è spesso grigliato o usato come ingrediente per i piatti unici. Nelle steakhouse è possibile trovare manzo argentino, angus e kobe. E se avete possibilità, nei ristoranti tipici chiedete le albondigas, polpette di manzo di tradizione spagnola che ricordano le nostre polpette al sugo.

Aruba è le note floreali e dolciastre della sua acqua di mare desalinizzata e purificata nell’impianto Balashi, e che si può bere direttamente dal rubinetto. Viene usata per preparare la birra Balashi (anche in versione magic mango!) da sorseggiare all’ombra di una palapa distesi sulla sabbia bianchissima di Eagle Beach, la seconda spiaggia più bella del mondo.

Suoni: musica, vento e mare

Tra musiche caraibiche e cadenza melodica del papiamento, quello che si sente sull’isola è il rumore del vento. Lo si percepisce nelle baie naturali Moro, Boca Prins e Dos Playa in cui ci si imbatte passeggiando per il Parco Nazionale Arikok. Se questo posto fosse un suono, poi, sarebbe il silenzio sacro che regna nel momento esatto in cui, un kini kini plana su un masso asciugato dal sole per rilassarsi; o quello degli uccelli che cantano nel giardino Hofi Shon Shoco di Arikok mentre si sorseggia un ottimo caffè americano di Santos, una delle migliori caffetterie in circolazione.

Arikok National Park

Aruba è il rumore del mare, mosso dolcemente dai venti tropicali che soffiano a una temperatura quasi costante di ventotto gradi e che narra di un luogo dove l’estate non finisce mai. Questa isola è l’eco della voce profonda di Julio – guida turistica di Arikok – che racconta dei fenomeni atmosferici che, nei secoli, hanno plasmato la cava di Quadirikiri regalando forme naturali scavate nella pietra, come un cuore o un profilo di donna.

Profumi: cookie, pane e kombucha

L’isola caraibica sa di tante cose, ma se c’è una che non si scorda è il profumo dei cookies giganti al cioccolato appena sfornati da Eduardo’s Hideway a colazione. Il proprietario del posto è piccoletto e pieno di energie. Dopo aver consigliato un avo smash come must-do per colazione, ti porta nelle retrovie in un laboratorio in cui si produce pane fresco con lievito madre e kombucha, imbottigliata direttamente lì. E il pane più profumato, si prova al ristorante Infini servito caldo e aromatizzato con cannella.

Cabaron hasa cu Arroz

La brezza marina qui è leggera e coinvolgente. Si possono affondare i polmoni nel dolce mare dei Caraibi passeggiando lungo le spiagge di sabbia bianchissima e mai bollente di Eagle Beach, Baby Beach, Rodger’s Beach, Palm Beach, Flamingo Beach.

Colori: dal paesaggio all'arte

 Hola, dushi!” esordisce Tito quando, munito di microfono e cassa amplificata, varca la soglia di Artisa, la galleria d’arte che gestisce sull’isola. Basta un attimo per farsi catturare dal suo animo e lasciarsi portare in giro sotto la canicola, alla scoperta di quei giochi cromatici che sono i murales di San Nicolaas, quartiere artistico dell’isola più colorata dei Caraibi.

I murales di San Nicolaas

Inizia da qui un’affascinante partita cromatica, dove a gareggiare sono i palazzi di Oranjestad tinti con colori pastello diversi; il blu del mare dei Caraibi in cui tuffarsi da una nave di pirati per scoprire le sfumature della barriera corallina e di pesci straordinari; il verde del parco di Arikok puntellato di cactus centenari che si dipanano per tutta l’isola, dei divi divi –  alberi curvati per natura dal vento – che costellano le spiagge, e delle piantagioni di aloe vera o delle colture di idroponica che danno alla luce centinaia di vegetali.

Effetto Aruba

Quello che tutti chiamano “Effetto Aruba” è la felicità che inonda chi mette piede lì e non vuole andare più via. Una sensazione che anche Giuseppe Frigerio, se fosse ancora in vita, avrebbe confermato ricordando la sua Italia con nostalgia, ma con i piedi ben saldi in questo angolo dei Caraibi.

Fa lo stesso Mauro De Palma, italiano di Torino trasferitosi prima in Venezuela e poi ad Aruba che nel suo ristorante serve lasagne e risotto con ossobuco. O anche Maurizio Ferrara che sull’isola ha costruito un impero: nove ristoranti, una pizzeria e una bakery.

Torneresti in Italia?”. La domanda non è stata fatta a nessuno di loro, eppure la certezza è che la risposta sarebbe stata: “No, masha danki. Ami ta bon aki!”. (No, grazie. Sto bene qui!).

 

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