Il rapporto dell’Italia con 50 Best Restaurants, la più importante classifica mondiale della gastronomia, è sempre stato piuttosto complicato, malgrado la manifestazione indossi la spilletta tricolore dei main sponsor San Pellegrino e Panna. La lista vide la luce nel 2002 come sondaggio tra esperti della rivista inglese Restaurant e da allora ha saltato solo l’edizione 2020 causa pandemia. Nelle 22 edizioni finora celebrate soltanto un ristorante italiano si è imposto, l’Osteria Francescana di Massimo Bottura, vincitrice nel 2016 e nel 2018, e altre quattro volte sul podio (seconda nel 2015 e nel 2017, terza nel 2013 e nel 2014), prima che la bacheca venisse congelata dalla discussa decisione, presa nel 2019, di escludere i precedenti vincitori dalla competizione per evitare che la lista venisse monopolizzata dai soliti noti. Bottura è così finito nella “hall of fame” dei Best of the Best con Ferran Adrià, Thomas Keller, Heston Blumenthal, i fratelli Roca, Will Guidara e Daniel Humm, Mauro Colagreco, Rene Redzepi, Rasmus Koefed, Virgilio Martinez e, dallo scorso anno, il trio Eduard Xatruch, Oriol Castro e Mateu Casañas di Disfrutar. Dall’introduzione di quella clausola non c’è stata più gloria per l’Italia.
Crippa, Niederkofler e gli altri. Ecco come potrebbe andare l’Italia ai 50 Best
L’Italia nel 2024 vantava quattro ristoranti nei primi 50 (Lido 84 al 12°, Reale al 19°, Piazza Duomo al 39° e Uliassi per un pelo al 50°) e due nella lista 51/100 introdotta a partire dal 2023: Le Calandre al 51° e Atelier Norbert Niederkofler al 52°. In linea di massima non una brutta performance, solo la Spagna ci precede con cinque locali nella 50 Best (loro con il 1°, il 2° e il 4° posto…), ma nessuno dei nostri ha mai lottato per il podio o sembra destinato a farlo anche quest’anno (speriamo di essere smentiti). Il migliore risultato, Bottura a parte, è il 7° posto di Riccardo e Giancarlo Camanini nel 2023, seguito dall’8° posto degli stessi fratelli del Lido 84 l’anno precedente. Nella top ten è comparso fugacemente anche Massimiliano Alajmo delle Calandre con il 10° posto dello stesso 2022, vero anno d’oro dell’Italia, con cinque ristoranti nella top 20: oltre a Lido 84 e Le Calandre, Uliassi al 12° posto, Reale di Niko Romito al 15° e Piazza Duomo al 19°.
Riccardo Camanini
Certo, come ci ha detto Enrico Crippa, chef di Piazza Duomo, nell’intervista che ci ha rilasciato, più che gli exploit conta la continuità. E da quel punto di vista siamo messi piuttosto bene. Il record di presenze nella 50 Best è delle Calandre, presente sedici volte nel Gotha, a partire dal 31° posto del 2006, con le sole eccezioni del 2011 e dell’anno scorso, quando si fermò all’ultimo gradino prima del paradiso, il 51° posto. Poi ci sono le undici presenze consecutive di Enrico Crippa, entrato nella lista nel 2013 e mai più uscito (performance top il 15° posto del 2017), le dieci di Osteria Francescana prima del ban del regolamento (mai sotto il 13° posto dell’esordio, nel 2009) e le sei presenze di Niko Romito dal 2017, con la sola eccezione del 2019. Andando indietro nel tempo vanno segnalate anche le sette presenze di Combal.zero, il ristorante di Rivoli del genio irrisolto di Davide Scabin, entrato in classifica nel 2007 al 46° posto e rimasto più o meno sempre in zona fino al 46° posto del 2016, con le assenze del 2012, del 2014 e del 2015; le otto citazioni di Dal Pescatore della famiglia Santini, sempre in classifica dal 2003 al 2011 con la sola eccezione del 2005 e due volte al 23° posto (2004 e 2008); e le sei significative presenze, dal 2004 al 2009 (due volte al 12° posto nel 2077 e 2008), del Gambero Rosso di San Vincenzo del grande Fulvio Pierangelini, che peraltro ora il sito dei 50 Best colloca a Vernazza, nelle Cinque Terre, confondendolo con un’altra insegna. Che oltraggio.
Il Combal.zero di Davide Sabin
Frugando tra i risultati degli italiani nelle vecchie edizioni della 50 Best ci si imbatte nella isolata presenza di Enrico Bartolini al Mudec nella lista B nel 2023 (85° posto); nell’exploit isolato del St Hubertus di Niederkofler al 29° posto nel 2022 prima che lo chef altoatesino lasciasse San Cassiano per spostarsi a Brunico; nel filotto di tre presenze tra il 2010 e il 2012 del Canto senese di Paolo Lopriore, altro talento perennemente in cerca d’autore; nelle quattro comparsate di Carlo Cracco, nel 2007 al 42° posto con Cracco/Peck e tra il 2008 e il 2011 (con l’eccezione del 2010) con il suo ristorante in via Victor Hugo, uniche presenze milanesi nella top 50 della ristorazione mondiale; nelle quattro “convocazioni “ dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze tra il 2003 e il 2008; e nell’isolato exploit dei Quattro Passi di Nerano, 38° nel 2003, quando aveva una sola stella (e ora che ne ha tre è ignorato).
Un giovane Carlo Cracco
Insomma, la considerazione dei ristoranti italiani da parte dei giurati della 50 Best non sempre è andata di pari passo con le performance delle nostre insegne nelle altre guide. Considerando i primi 15 ristoranti italiani secondo la guida Ristornati d’Italia 2025 del Gambero Rosso (per intenderci quelli con almeno 93 centesimi), si nota l’assenza storica della Madonnina del Pescatore di Moreno Cedroni a Senigallia, della Pergola di Heinz Beck e del Pagliaccio di Anthony Genovese a Roma (città che in particolare con la 50 Best ha un pessimo rapporto), di Pascucci al Porticciolo di Gianfranco Pascucci a Fiumicino, della Torre del Saraceno di Gennaro Esposito a Vico Equense, di Da Vittorio dei Cerea di Brusaporto e soprattutto di Antonino Cannavacciuolo di Villa Crespi a Orta San Giulio, adorato in Italia e ignorato fuori. Chissà quanto rosicheranno queste star sapendo che agli albori della lista trovò spazio perfino l’osteria veneziana Alle Testiere, unica insegna italiana (al 24° posto) nella prima edizione del 2002, quando il carattere spiccatamente anglocentrico della classifica relegava il Belpaese solo a ruoli da caratterista; ciò che spiega anche il sorprendente inserimento per ben due volte nella lista, nel 2003 e nel 2005, della tipicissima trattoria testaccina Checchino dal 1887, sola volta che Roma ha trovato spazio nella 50 Best. Fate la pajata, non fate l’amore.
Checchino dal 1887
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