La crisi

Perché l’acciuga di Sciacca è in pericolo

Il cambiamento climatico ha ridotto le quantità del pescato, mentre dai mercati americani e giapponesi cresce la domanda del prodotto trasformato

  • 01 Settembre, 2025

“Uscendo segnati, tornando ringrazia”. La preghiera che i pescatori di Sciacca rivolgono alla Madonna del Soccorso, oggi è molto più di un rito: è una richiesta di aiuto. Ad essere in pericolo è uno dei simboli dell’economia di Sciacca: l’acciuga. Non solo la stretta delle leggi comunitarie – tra fermo biologico e cavilli burocratici – la minaccia arriva anche dal cambiamento climatico, il caro gasolio, i conflitti e la mancanza di manodopera. Con l’aumento di due gradi della temperatura del mare, il pesce azzurro sembra prediligere meno le acque di Sciacca, le stesse da dove nel 1832 emerse l’isola Ferdinandea. Eppure, fino a 15 anni fa, il 40 per cento dell’acciuga del Mediterraneo veniva pescata in questo mare – oggi solo il 10-15 per cento – mentre il resto proviene dalla Tunisia, Croazia, Albania. Di lampare, le tipiche imbarcazioni con le quali si pratica la pesca a “cianciolo” o per circuizione (l’altro metodo di cattura è la pesca a strascico con “la volante  a coppia”), ne sono rimaste una decina contro le quaranta di cinquant’anni fa.

Vita, morte e miracoli dell’acciuga di Sciacca 

Ma l’acciuga del Mediterraneo che si pesca a Sciacca, nome scientifico Engraulis encrasicolus, la stessa specie dell’acciuga del Cantabrico, è molto più di un semplice pesce “povero”. Contiene proteine nobili, una buona quantità di acidi grassi omega-3, calcio, ferro, vitamina D e B. Il sapore è un altro elemento distintivo: delicata e saporita quando fresca, sotto sale o sott’olio è ricca di umami e con una sapidità marcata.

Se in questi ultimi mesi è difficile trovarla fresca nei mercati siciliani, l’acciuga di Sciacca trasformata è presente nei menu dei ristoranti di tutto il mondo. Merito della tradizione centenaria dell’industria di lavorazione saccense e del suo know how delle tecniche di trasformazione –  sott’olio, sotto sale, la pasta di acciughe e la colatura- e un fatturato di 20 milioni di euro e undici aziende.

Dal Giappone agli Stati Uniti

Baldo Scalia, insieme alla sorella Maria, rappresenta la seconda generazione dell’azienda Scalia fondata dal padre Benedetto, da cinquant’anni a Sciacca nel mercato della trasformazione delle acciughe, con un fatturato che oggi arriva a dieci milioni, quaranta dipendenti, export in ottanta paesi e cinque continenti e una crescita del 30 per cento nel 2024. «Lavoriamo l’acciuga a mano solo quando è fresca. Non appena pescata, viene decapitata, eviscerata, sottoposta a salagione con sale marino fino di Trapani e poi stagionata da un minimo di sei mesi fino ad un anno. Ogni anno trasformiamo circa due milioni di acciughe fresche che arrivano da Sciacca, Tunisia, Albania e Croazia – ventimila acciughe al giorno – con una resa del 20 per cento. Il nostro prodotto viene apprezzato soprattutto in Giappone, per noi il primo mercato, seguito dagli Stati Uniti, e dai nostri clienti come Armani e Osteria Gucci», commenta Baldo Scalia.

Ma anche l’industria della trasformazione sembra fare i conti con la mancanza della manodopera. Basti pensare che oggi le aziende a Sciacca che trasformano sono solo undici contro le quaranta di quindici anni fa. Il costo di una pezzatura media di acciughe fresche si aggira intorno ai tre euro al chilo  ma con costi di lavorazione che arrivano fino ai trenta euro al chilo e richiedono dai sei mesi a un anno.

Simbolo non solo economico ma anche gastronomico, l’acciuga e il pesce azzurro di Sciacca vengono celebrati ogni anno  dall’Azzurro Food Festival e resistono nei menù. Anche il ristorante La Vela, la cui nuova gestione è in mano a quattro giovani under 30 – le sorelle venete Alice e Giada Bressan,  il sommelier abruzzese Valerio Fini e lo chef siciliano Francesco Crimi – rende omaggio a Sciacca con il piatto di acciughe o sarde, fregola, fave e pecorino.

Il futuro del pesce azzurro 

Un futuro non roseo per il pesce azzurro sembra turbare il cielo di Sciacca. Calogero Bono, commercialista e responsabile amministrativo di una delle tre cooperative, “Madonna del Soccorso”, è preoccupato per lo stato di salute del settore, che oggi conta 120 imbarcazioni, di cui circa 90 di grandi dimensioni, e un fatturato di 20 milioni.

«Oggi la difficoltà maggiore è quella di pescare il pesce azzurro, tra cambiamento climatico e paletti imposti dall’Unione Europea. Ci sono circa quarantacinque richieste di demolizione di imbarcazioni che evidenziano lo stato di sofferenza della nostra pesca. Abbiamo chiesto alla Regione di finanziare un progetto di ricerca e un supporto concreto alla pesca dell’acciuga di Sciacca, che è parte della nostra tradizione ed identità».

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