
Villa Crespi, lago d’Orta. In una stanza con Antonino Cannavacciuolo. Due sedie, una bottiglia d’acqua.
Chef, ha appena fatto 50 anni.
‘O vero?
Sì. Come si sente?
La mia vita è ancora in divenire, oggi ti dico basta e domani mi vedi su un cavallo. Ho cinquant’anni ma la testa di un ventenne. E ho sempre le mani in pasta. Ho questo laboratorio da 2500 metri quadri, sto già lavorando ai panettoni per Natale, io se ci metto il nome su un prodotto lo faccio io. Certo c’è un problema.
Antonino Cannavacciuolo
Quale?
Che usciamo un po’ carucci, ma io non posso vendere il mio panettone a meno di 35-40 euro, con 400 grammi di burro francese. Come fai a far pagare un panettone 5 o 6 euro? Che ci metti dentro? Sa che mi è successo con la macchina per tagliare i cornetti?.
No, mi dica.
Non riuscivo a tagliare i cornetti, chiamo quelli dell’azienda per verificare, e non si capacitavano. Finché a un certo punto uno di loro mi fa: ah, ma voi usate il burro, questa macchina fa difficoltà a tagliare il burro, non lo usa più nessuno, usano tutti la margarina.
La questione prezzi però è fondamentale nella ristorazione. Basta vedere che cosa è successo a Cracco di recente…
E quelli vanno tutti da Carlo, anche perché sta a Milano. Fa un piatto con il piccione e gli vanno a rompere le scatole, fa il foie gras e gli vanno a rompere. Pure quando fece la pizza ci fu polemica, eppure lui usava una grande mozzarella. E davanti ci sono i cinesi che la fanno pagare 10 euro in più di lui ma nessuno se li fila.
La rifinitura di un piatto a Villa Crespi
Però è vero che l’alta cucina non è democratica.
Ma dipende sempre da dove ti siedi. Noi tutti facciamo i fenomeni, però tu da me pretendi il migliore scampo che c’è, e un chilo di scampi di prima categoria, che sono tre, a me costa 70 euro, e poi non accetti che il mio menu costi 200 euro. C’è molta ipocrisia.
E come si colma questa distanza tra chef e pubblico?
Io quando parlo di soldi non parlo mai di che cos’è nel piatto, ma di tutto quello che ci gira attorno, le persone che ti accolgono fin dal parcheggio, che non ti fanno mancare l’acqua, le tovaglie stirate, i fiori che mi costano 3.500 euro a settimana, ho una sala che ci tengo quattro tavoli ma potrei mettercene otto poi però qualcuno si lamenterebbe perché sta stretto. Se non puoi capire l’esperienza è inutile parlarne.
Però il suo locale è pieno, evidentemente molta gente sta iniziando a comprendere che cosa vuol dire questo genere di esperienza.
Grazie anche a programmi come Masterchef si sono avvicinate al nostro mondo persone che mettono i soldi da parte per venire a mangiare in posti come questo. Poi mi dicono: mi rendo conto che io fino a ora non avevo mangiato, non mi aspettavo una cosa del genere. Io chiedo: da dove venite? E a seconda di come mi rispondono io dico loro: ma lo sapete che da voi c’è Uliassi, c’è Gennaro Esposito, c’è Ciccio Sultano? E loro mi dicono: no, ma si mangia così? E io dico di sì. E loro: ci andremo.
Maussimo Raugi, il sommelier e restaurant manager di Villa Crespi
Bisogna combattere il populismo che esecra il fine dining?
Quando si parla di queste cose si va su una banalità… Io compro la carne da Martini che ha fatto un macello interno per evitare alla bestia lo stress del trasporto, se le fai fare 15 chilometri su un furgone sballottata, la impaurisci, poi la carne è avvelenata. Chiaro che poi da lui il filetto costi 72 euro, la costata 50, le interiora 25… Io la cucina a 50 euro la saprei fare, ma come? Il problema è che io e il ristoratore dove mangi male siamo uguali, abbiamo la stessa licenza.
È un problema solo italiano questa incapacità di apprezzare l’alta ristorazione?
Io ricordo che quando giravo per grandi ristoranti in Francia, era il 1998, il 1999, fuori dai locali vedevo parcheggiate Peugeot, Citroen. Perché là invece di accollarsi per un Mercedes si tengono la Panda e vanno a mangiare in un grande ristorante. Chapeau!
Invece, in Italia?
In Italia i giovani fanno le aste online per aggiudicarsi delle scarpe da ginnastica a 560 euro. Io ai miei ragazzi dico: ma quei soldi perché non li spendete per andare da Cracco, piuttosto, che così imparate qualcosa? Poi alla fine nella vita ti ricordi i viaggi che hai fatto, i grandi posti dove hai mangiato, mica i telefoni e le macchine che hai avuto!
Cos’è per lei l’avanguardia in questo momento?
Avanguardia è fare una grande ricerca sugli ingredienti. Oggi gli ingredienti sono un po’ ammaccati, dobbiamo andarceli a cercare, sono sempre meno. E dare una mano a questi artigiani, a questi contadini, a questi pescatori, perché non scendano a compromessi oggi che ci sono tante vie per risparmiare e facilitarci il lavoro.
Una sala di Villa Crespi
Lei oltre a Villa Crespi ha cinque ristoranti, tutti stellati: il bistrot a Torino, il Cannavacciuolo By The Lake di Pettenasco, Le Cattedrali ad Asti, Cannavacciuolo Vineyard a Terricciola inToscana, Cannavacciuolo Countryside a Ticciano nella sua Vico Equense. In ognuno ha messo un suo ragazzo in cucina…
Tutto nasce dalla casa madre, Villa Crespi, dove ho avuto sempre la fortuna di avere grandi ragazzi, grandi cuochi, giovani che sono venuti da lontano con il sogno di Villa Crespi, si sono affermati, sono rimasti qua, sono cresciuti e poi a un certo punto, che fai? O resti qua e ti fermi o te ne vai. Allora è nata un po’ l’idea di dare spazio a chi se lo meritava. Ogni posto ha una storia.
A Pettenasco c’è un ragazzo che lei aveva scartato a Masterchef…
Quella è una bella favola da scrivere. C’è questo ragazzo, Gianni Bertone, che sta lì lì per entrare nella classe da venti, i miei colleghi gli hanno già detto di sì, lui mi fa questa mozzarella in carrozza, che si sa che deve filare come le briglie del cavallo, e io gli dico, se fila sei dentro. La apro e non fila, non è alla temperatura giusta. E gli dico: torna il prossimo anno. Da quel momento mi dà il tormento.
Uno stalker?
Quasi. A ogni presentazione di un libro, a ogni mio evento, lui dal Molise arriva là. Un giorno allo stadio Olimpico di Roma faccio un evento di formazione, lui identifica mia moglie e la sfinisce chiedendole di poter lavorare a Villa Crespi. Cinzia alla fine mi fa: provalo, ti prego. Lo porto a Villa Crespi che non aveva mai fatto lo chef. Poi dopo otto anni lo mando a Pettenasco e gli chiedo una cucina normale, uno spaghetto all’astice. E lui prende la stella. E pensare che io lì volevo solo mettere delle camere che mi servivano e fare un locale in cui andare a farmi un aperitivo nel mio giorno libero.
Non tutto però è sempre così casuale…
No, la casa di Ticciano è una storia molto importante, a cui ho lavorato anni. Mio padre Andrea aveva messo da parte un gruzzoletto, una vita di risparmi, e aveva comprato questo casale che mio nonno aveva custodito per quarant’anni. La sua idea era che sarei andato a guidare il ristorante dopo le mie esperienze al Nord, poi la mia vita ha preso altre strade…”.
Laqua Countryside a Ticciano
Ma la storia di Ticciano non era finita…
No, mio padre si era rassegnato, si era messo a fare il contadino con la laurea, studiava i venti e la pioggia, faceva crescere i carciofi che nessuno riusciva a fare perché i topi si mangiavano le radici. E quando nel 2018 scendo e inizio ai lavori lui mi dice: “Nun fa ‘o scemo, chi ce vene cca ncopp?”. Ho fatto un investimento da quattro-cinque milioni, abbiamo ridato vita a un paese, costruito strade, portato il gas e la fibra. E ho ridato vita anche a mio padre.
In che modo?
Mio padre aveva avuto un ictus, si era ripreso con il corpo ma non riusciva a parlare, perché non gli veniva la parola e lui piuttosto che sbagliare faceva silenzio. Stava andando in “appocondria”, ma lui ogni giorno doveva andare a controllare i lavori e se c’era qualcosa che non andava, doveva dirlo. E così ha ricominciato a parlare. Gli ho dato quindici anni di vita.
Suo padre era cuoco come lei.
Era molto quotato, se lo giocavano per averlo, faceva anche ventotto eventi al giorno in quello che ora è il castello delle cerimonie. Ora fa i pastori del presepe napoletano, ma li fa del Novecento, ci sono quelli del Settecento e dell’Ottocento ma quelli del Novecento li fa solo lui. Con gli arti, che sono quelli che danno l’espressione al personaggio, perché se io ti faccio così (mima il gesto con entrambi i pollici e gli indici aperti) tu capisci che ti faccio un mazzo tanto. Ma gli arti non li fa nessuno, li fa lui. Ne ha una collezione di cinquecento, di pastori, glieli hanno valutati 3mila euro a pastore, ma io gli ho detto che se li vende non lo riconosco più come padre. E lui: nemmeno quelli che non mi piacciono?.
Antonino Cannavacciuolo e la moglie Cinzia Primatesta
Quindi a Ticciano è particolarmente legato…
Abbiamo fatto un lavoro incredibile, abbiamo messo nel soffitto le pietre che trovavamo scavando, gli architetti si chiedono come fanno a stare su, il pavimento abbiamo lasciato che si spaccasse un po’ e ora sembra avere duecento anni. Abbiamo preso uno staff del posto. Primo assunto, Ciro Buonocore, il parcheggiatore. Secondo assunto: il contadino. Ma la cosa che mi riempie più il cuore è che mio padre quando ha visto il casale ristrutturato e tutto illuminato ha detto a mia madre: mo’ pozzo pure muri’.
Sua moglie Cinzia.
Non è importante ma importantissima. Mi ha dato due figli bellissimi, Elisa e Andrea, io pensavo di avere accanto a me una grande imprenditrice e invece avevo accanto a me anche una grande madre.
Insieme avete costruito un piccolo impero…
Molti anni, diciamo dal 1999 al 2012, sono stati davvero tosti. Mi sono trattato male. L’altro giorno dicevo a Cinzia: ma ti rendi conto che io tornavo a casa e non avevo nemmeno la forza di farmi una doccia? Ero un morto vivente, facevo dalle sette di mattina alle due di notte, poi io ero testardo, la linea la facevo io, la pasticceria la facevo io, le torte per i matrimoni le facevo io. Mi chiedessero di rifarlo, non lo rifarei. Per fortuna ho avuto accanto a me mia moglie e persone che hanno creduto nel progetto e che sono accanto a me da tanti anni.
L’imitazione di Cannvacciuolo fatta da Max Giusti nel Gialappa’s Show
E in tutto ciò c’è anche la tv. Lei ne fa tanta.
Tutti pensano che io sia sempre in televisione, ma la verità è che per fortuna i miei programmi vanno bene quindi li ridanno in continuazione e io vedo trasmettere puntate di otto anni fa, poi mi fanno l’imitazione quelli della Giappala (dice proprio così), poi mi citano in continuazione, certi giorni ogni canale che giri parlano di me. Ma la verità è che io giro Cucine da incubo a gennaio quando il ristorante è chiuso e Masterchef da maggio a luglio tre mattine a settimana. Vado a Milano con l’autista e torno il pomeriggio al ristorante.
Che cosa le dà la tv?
Mi arricchisce, soprattutto Masterchef. Facciamo ricerca sui prodotti, portiamo chef da tutto il mondo, con le esterne conosco posti nuovi. E anche i concorrenti mi insegnano qualcosa. Il peperoncino sulle fragole, io non ci avevo mai pensato, ma ci sta bene. Le idee arrivano da tutte le parti, ci sono milioni di idee al mondo. E anche per Cucine da incubo, io preparo davvero il menu del ristorante, non mi sono ancora stancato di cucinare.
Villa Crespi, le Rane al burro
E l’imitazione di Max Giusti?
È una cosa positiva, significa che c’è un personaggio che piace.
Ma non la fa troppo cattivo?
Ma chi mi conosce sa come sono. Si vada a rivedere le prime stagioni di Masterchef e poi veda quelle in cui ci sono io e noti come è cambiato il clima. Io ho portato la serenità, questo è un mestiere che solo se c’è positività nasce il cibo sano e buono. Con l’arroganza, con la cattiveria, non nasce mai niente di buono.
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La ristorazione italiana sta dando prova di grande vitalità e maturità (antispreco e sostenibilità sono ormai voci “fisse” dei menu, crescono le proposte vegane e salutari di alto profilo). Per questo dopo l’anno zero della pandemia, la guida torna con voti e classifiche. Oltre 2000 indirizzi e tante novità fra ristoranti, trattorie, wine bar e locali etnici (segnalati, rispettivamente, con il simbolo delle forchette, dei gamberi, delle bottiglie e dei mappamondi) per consentire a ciascuno di trovare l’indirizzo giusto.
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