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Balneari, doccia fredda da Bruxelles: bocciato il piano italiano. È scontro sul futuro delle concessioni

Una lettera della Commissione europea respinge la bozza di decreto ministeriale con cui il Mit aveva previsto indennizzi ai balneari prima del ripristino delle gare a settembre 2027. Aumenta il rischio sanzioni per l'Italia

  • 22 Luglio, 2025

Indennizzi ridotti al minimo e nessuna compensazione. Il dossier balneari si complica ulteriormente dopo il rigetto da parte di Bruxelles della bozza di decreto elaborata dal Ministero del Turismo. In una lettera firmata lo scorso 17 luglio, visionata da Il Giornale, la Commissione europea ha infatti respinto l’impostazione del testo preparato dagli uffici di Matteo Salvini, trasferendo nuovamente la questione all’Italia. Il tentativo, così come confermato dal portavoce dell’esecutivo Ue Thomas Regnier, è quello di trovare una «soluzione costruttiva» alla controversia sulle concessioni balneari nel nostro Paese. Ma la bocciatura rischia di aggravare una ferita aperta, complicando ulteriormente la procedura di infrazione avviata da Bruxelles ormai oltre quattro anni fa.

Il nodo del contendere con Bruxelles

Il nocciolo della questione riguarda lo sforzo del governo italiano nel trovare un compromesso con l’Unione europea dopo il ricorso per inadempimento aperto nel dicembre 2020 nei confronti di Roma per violazione della direttiva comunitaria sulle concessioni. L’esecutivo Meloni aveva provato a risolvere la controversia mettendo al centro del proprio piano un meccanismo di compensazione ai concessionari attuali, con l’obiettivo di favorire una transizione meno traumatica verso le gare pubbliche, programmate a partire dal 30 settembre 2027. Una strategia volta a riconoscere, in linea teorica, i capitali investiti e i beni ammortizzabili presenti nelle strutture balneari, non esattamente apprezzata da Bruxelles.

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Stop alle compensazioni e ai vantaggi degli stabilimenti storici

Nel documento firmato dai funzionari europei emergono segnali inequivocabili di stop. Il testo parla, infatti, di una esclusione delle forme di risarcimento perché incompatibili con il quadro giuridico dell’Unione, soprattutto quelle che si estendono oltre i beni materiali non ammortizzati. Come si legge nell’incipit, «la posizione resta quella delineata nella comunicazione del 19 agosto 2024, secondo cui il diritto dell’Unione non consente di riconoscere alcuna compensazione agli operatori uscenti, tanto meno a carico dei nuovi concessionari». Non solo. Palazzo Berlaymont sottolinea come qualsiasi obbligo di versare compensazioni imposto ai nuovi concessionari rischi di configurarsi come un ostacolo ingiustificato, disincentivando così la partecipazione di nuovi operatori e violando i principi di libera concorrenza.

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Un aspetto che ribadisce la posizione dell’Ue sul valore delle imprese già operative nel settore: l’esperienza e la reputazione degli stabilimenti storici non possono essere sfruttate per ostacolare l’accesso al mercato. Altro punto fondamentale riguarda, poi, i beni amovibili, come arredi e tende, per i quali la normativa europea è molto rigida. La missiva della Commissione esclude una lettura estensiva che li consideri elementi soggetti a compensazione. La strada indicata è, invece, quella che lascia alla libera negoziazione privata la definizione dei rapporti tra vecchi e nuovi concessionari in merito a questi beni, escludendo un intervento diretto da parte delle istituzioni.

La palla ora passa all’Italia

Il messaggio di Bruxelles è chiaro. Trovare un accordo con i balneari non può sfociare in generosi indennizzi a carico dei nuovi operatori, né in favoritismi agli operatori storici. Per questo, il Mit è ora chiamato a rivedere radicalmente il decreto e allinearsi alle indicazioni della Commissione entro tempi brevi, pena richiesta di condanna nella procedura d’infrazione. La prospettiva contraria, infatti, porterebbe inevitabilmente all’inasprimento di questo procedimento, con il rischio concreto di pesanti sanzioni pecuniarie per lo Stato italiano. Cifre che potrebbero aggirarsi intorno ai 110 milioni di euro già dalla sentenza di condanna, con un meccanismo di pagamento giornaliero che proseguirebbe fino al pieno adeguamento della normativa.

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