Una strategia inedita e pragmatica per ridurre il consumo di carne, puntando a una sorta di rebranding linguistico anziché l’imposizione. È quello a cui ha pensato il governo delle Fiandre, la regione settentrionale del Belgio, lanciando una campagna di comunicazione alternativa per sensibilizzare le persone a un’alimentazione più vegetale. Non un’operazione semplice nella patria della “carbonade”, il famoso spezzatino alla birra tipico di questi luoghi. Via, quindi, termini come “vegano” e “vegetariano”, ma benvenuti termini neutri o simboli più soft come una foglia verde. L’obiettivo è quello di incentivare la diffusione di diete più plant-based, meno polarizzate e meno cariche di moralismo.
Se questa si tratta di una strategia di comunicazione nuova, l’intenzione del Belgio di approcciare a una politica alimentare “plant based” non è recente. Una decina d’anni fa, infatti, le autorità fiamminghe si sono poste il chiaro obiettivo che entro il 2030 il 60% delle proteine ingerite dalla popolazione dovranno provenire da fonti vegetali. Ad oggi, però, la dieta media fiamminga è ferma attorno al 40% di proteine vegetali. Il progresso procede, ma troppo lentamente per chi ambisce a una transizione alimentare che combini salute pubblica e sostenibilità ambientale.
Per accelerare la “transizione” culturale, il governo ha ideato una brochure rivolta al settore della ristorazione con dieci consigli concreti per diversificare le proposte alimentari. Tra i suggerimenti più controversi figura il richiamo a evitare i termini “vegano” e “vegetariano”, secondo il governo troppo carichi di giudizio, richiami identitari o connotazioni negative. Meglio usare “v” o “ve”, oppure simboli visivi non divisivi. Secondo il ministro dell’Ambiente e dell’Agricoltura Jo Brouns, quello che può sembrare un dettaglio linguistico è in realtà centrale: studi scientifici indicano che “plant-based” o espressioni più neutre suscitano reazioni più favorevoli nel pubblico generale, mentre “vegetariano” viene associato a “noioso” o “poco gustoso”, “vegano” richiama l’immagine degli hippie, del radicale, del poco saporito. Insomma, parole che, a detta di Brouns, rischiano di bloccare l’adesione anziché stimolarla. Ma se il linguaggio potrebbe essere un primo passo, è anche vero che la sfida resta soprattutto nel rendere appetibili e disponibili piatti a base vegetale che non siano percepiti come di serie B.
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