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In Belgio c'è una campagna per vendere verdure senza dire “vegano”

Per raggiungere l’obiettivo del 60% di proteine vegetali entro il 2030, il governo fiammingo invita i ristoratori a sostituire i termini “vegano” e “vegetariano” con simboli e parole più neutre, considerate meno divisive

  • 01 Ottobre, 2025

Una strategia inedita e pragmatica per ridurre il consumo di carne, puntando a una sorta di rebranding linguistico anziché l’imposizione. È quello a cui ha pensato il governo delle Fiandre, la regione settentrionale del Belgio, lanciando una campagna di comunicazione alternativa per sensibilizzare le persone a un’alimentazione più vegetale. Non un’operazione semplice nella patria della “carbonade”, il famoso spezzatino alla birra tipico di questi luoghi. Via, quindi, termini come “vegano” e “vegetariano”, ma benvenuti termini neutri o simboli più soft come una foglia verde. L’obiettivo è quello di incentivare la diffusione di diete più plant-based, meno polarizzate e meno cariche di moralismo.

Obiettivo decennale, ma risultati parziali

Se questa si tratta di una strategia di comunicazione nuova, l’intenzione del Belgio di approcciare a una politica alimentare “plant based” non è recente. Una decina d’anni fa, infatti, le autorità fiamminghe si sono poste il chiaro obiettivo che entro il 2030 il 60% delle proteine ingerite dalla popolazione dovranno provenire da fonti vegetali. Ad oggi, però, la dieta media fiamminga è ferma attorno al 40% di proteine vegetali. Il progresso procede, ma troppo lentamente per chi ambisce a una transizione alimentare che combini salute pubblica e sostenibilità ambientale.

La brochure “non divisiva”

Per accelerare la “transizione” culturale, il governo ha ideato una brochure rivolta al settore della ristorazione con dieci consigli concreti per diversificare le proposte alimentari. Tra i suggerimenti più controversi figura il richiamo a evitare i termini “vegano” e “vegetariano”, secondo il governo troppo carichi di giudizio, richiami identitari o connotazioni negative. Meglio usare “v” o “ve”, oppure simboli visivi non divisivi. Secondo il ministro dell’Ambiente e dell’Agricoltura Jo Brouns, quello che può sembrare un dettaglio linguistico è in realtà centrale: studi scientifici indicano che “plant-based” o espressioni più neutre suscitano reazioni più favorevoli nel pubblico generale, mentre “vegetariano” viene associato a “noioso” o “poco gustoso”, “vegano” richiama l’immagine degli hippie, del radicale, del poco saporito. Insomma, parole che, a detta di Brouns, rischiano di bloccare l’adesione anziché stimolarla. Ma se il linguaggio potrebbe essere un primo passo, è anche vero che la sfida resta soprattutto nel rendere appetibili e disponibili piatti a base vegetale che non siano percepiti come di serie B.

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