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I calciatori USA Weah e McKennie e la cucina italiana: quando il gusto diventa frontiera culturale

Le dichiarazioni dei due juventini accendono il dibattito: tra orgoglio gastronomico nazionale e prospettive diverse, il cibo si conferma terreno delicato

  • 24 Giugno, 2025

Pochi argomenti infiammano gli italiani come il calcio e la cucina. Quando poi si intrecciano, la combustione è inevitabile. Succede così che due calciatori statunitensi della Juventus, Timothy Weah e Weston McKennie, dicano la loro sul cibo italiano e il paese esploda. «Il cibo italiano non è il massimo», sentenzia Weah, che ammette di preferire quello italo-americano. McKennie rincara: «Non avete varietà ragazzi, è tutto un pasta-pizza-pesce e carne». I social si scatenano, le testate rilanciano, i commenti si moltiplicano. Ma dietro l’ennesima levata di scudi patriottica, si nasconde una questione più sottile: la cucina è identità, certo, ma anche prospettiva culturale.

Cosa nasconde davvero questo dibattito?

In Italia, la cucina è considerata patrimonio intoccabile, quasi un’estensione del carattere nazionale. Criticare pasta, pizza o pesto è vissuto come un affronto, più che come un’opinione personale. Eppure, per Weah e McKennie, cresciuti a stelle e strisce, il discorso è un altro. Paragonano esperienze, abitudini, varietà percepita, non qualità oggettiva. Per loro, la cultura gastronomica statunitense, che spazia dalle varianti regionali agli ibridi globalizzati, rappresenta un orizzonte più familiare. Weah rivendica addirittura una versione “migliore” italo-americana, frutto di adattamenti e contaminazioni. Da qui nasce il corto circuito. L’italiano medio sente minacciato un simbolo identitario, ma dimentica che anche la cucina è frutto di traiettorie personali, nostalgie, ricordi e differenze geografiche. Non è solo questione di gusti, ma di radici, di ciò che riconosciamo come “casa”.

Talk With Us: Weah e McKennie

Il cibo come identità: la reazione patriottica

La risposta italiana non si è fatta attendere. Sui social si è levato il coro indignato: «Guai a chi tocca la cucina italiana», scrivono i tifosi a difesa dell’onore culinario. Il senso della reazione è chiaro: la cucina italiana è sinonimo di orgoglio nazionale, patrimonio emotivo e identitario. I due statunitensi hanno scelto di parlare da consumatori abituati ad altro. L’intervista è ambientata in un format informale, Talk With Us realizzato da Dazn e pubblicato su YouTube dal club bianconero. Un contesto che lascia spazio a battute e spunti leggeri. Le parole di Weah e McKennie sono quindi una riflessione spontanea, certamente non un manifesto anti-italiano.

Il nodo culturale del dibattito

È interessante osservare come puntino sul concetto di “varietà percepita” piuttosto che sulla qualità intrinseca del cibo tricolore. Le loro osservazioni non vogliono sminuire la cucina italiana, piuttosto evidenziare una distanza culturale. «È cibo molto buono», spiega McKennie, «però in USA se mangio un hamburger in un posto e poi vado in un altro a 10 minuti di distanza, mangiando sempre un hamburger, stai sicuro che il gusto sarà completamente diverso. Qui invece se prendo una pasta al pesto in un ristorante o in un altro lì vicino non cambia niente, è sempre uguale». Per il calciatore, la coerenza del sapore è quasi una mancanza: la cucina italiana, nel suo rispetto delle ricette codificate, diventa prevedibile. Per l’italiano, invece, proprio quella ripetibilità è sinonimo di eccellenza e autenticità. Il pesto deve sapere di pesto, fatto con tutti i crismi, ovunque lo si assaggi. Le divagazioni sul tema, più che stimolare, rischiano di tradire l’identità del piatto.

Si può non condividere l’opinione di McKennie e Weah, magari storcere il naso di fronte al mito dell’hamburger supremo. Ma fermarsi all’indignazione significa perdere l’occasione di osservare il cibo per quello che è: linguaggio universale, ma parlato con accenti diversi. E se un giovane cresciuto tra barbecue e piatti italo-americani trova la cucina italiana monotona, non è una provocazione, è uno sguardo da un altro tavolo. Anche questo, in fondo, fa parte del sapore del mondo.

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