A New York il cibo è sempre stato un campo minato per chi fa politica. Bill de Blasio nel 2014 commise l’errore di mangiare pizza con forchetta e coltello — e non con le mani — scatenando ironie a non finire. Più o meno quanto successo all’attuale sindaco Eric Adams, caduto in una trappola simile dopo essere stato immortalato mentre assaporava del pesce nonostante si fosse dichiarato vegano. Perché nella grande mela le scelte alimentari di chi governa non sono mai solo private, ma la prova di quanto un politico conosca davvero la città che vuole amministrare.
Lo sa bene Zohran Mamdani, il candidato dem favorito nella corsa alla poltrona da sindaco. Dove gli altri vedevano un rischio da evitare, il 33enne ha colto un’opportunità, trasformando l’ossessione dei newyorkesi per il cibo in un’arma elettorale. Le tradizionali conferenze stampa dalle sale istituzionali hanno ceduto il posto a tavoli di giornalisti in ristoranti afghani del Queens. Una linea seguita anche nel suo piano programmatico, con grocery store pubblici in tutte e cinque le suddivisioni della città per calmierare i prezzi e deregolamentazione del commercio ambulante.
Si tratta di un cambio di paradigma rispetto alla comunicazione politica tradizionale. Nessun candidato sindaco, infatti, ha mai avuto un rapporto così attento e approfondito con il cibo. Mentre i predecessori in passato hanno tentato goffamente di sembrare new yorker inscenando visite in pizzerie o rosticcerie, Mamdani – appassionato di gastronomia e bodegas – ha individuato nella cucina il teatro perfetto per discutere di economia, accessibilità e dignità urbana.
Un fenomeno che, racconta il New York Times, non è passato inosservato neppure agli analisti. Per Grant Davis Reeher della Syracuse University, siamo di fronte a una novità assoluta, perché «la capacità di intrecciare dimensione intima e politica attraverso il cibo è insolita, se non del tutto inedita nel panorama americano». Una narrazione amplificata anche dai social media. Video da centinaia di migliaia di visualizzazioni mostrano Mamdani spiegare il sistema elettorale a scelta multipla usando dolci tradizionali, o denunciare l’inflazione calcolando quanto è aumentato il prezzo di un piatto di riso con pollo negli ultimi anni. Insomma, una politica pop ma di sostanza.
Del resto anche la sua biografia alimenta questo legame autentico con il cibo. Figlio della regista Mira Nair, Mamdani racconta di essere cresciuto tra il chai speziato materno a Morningside Heights e i momo divorati durante il lavoro come consulente per l’housing a Jackson Heights. La sua identità di newyorkese si è costruita attraverso sapori, quartieri, comunità etniche. Durante la pandemia del 2020, quando conquistò il seggio all’Assemblea statale, trasformò il quartier generale elettorale in una dispensa alimentare. Un gesto tutt’altro che simbolico, ma rappresentativo di una politica tangibile.
Eppure anche la spontaneità può essere insidiosa. Lo scorso marzo un selfie con burrito in mano sulla linea Q della metropolitana ha scatenato un’ondata di indignazione sui social, tra accuse di scarsa igiene e mancato rispetto verso i passeggeri. La risposta di Mamdani è stata provocatoria, tanto che il Wi-Fi del suo ufficio è stato ribattezzato ironicamente BurritoGate. Non solo. Il successo crescente ha cambiato radicalmente la sua quotidianità. Se fino a pochi mesi fa Mamdani si muoveva liberamente per smoothie o caffè nei locali yemeniti di Astoria, ora è protetto da un cordone di sicurezza, entra dal retro e consuma pasti in sale private, evitando di farsi riconoscere.
Mentre la sua popolarità aumenta, resta da capire se questa rivoluzione gastro-comunicativa riuscirà a trasformarsi in un mandato. Per ora, tra i tavoli del Kabab King di Jackson Heights — locale aperto 24 ore su 24 dove Mamdani in passato ha girato videoclip rap nelle vesti di Mr. Cardamom — si scrive il primo capitolo di una leadership che di sicuro “nutre” i suoi elettori.
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