«La cittadinanza italiana? Sto iniziando a fare le pratiche ora, dopo 24 anni qui. Anche se avrei potuto avere la doppia cittadinanza molto tempo fa». Nella storia di Matias Perdomo ci sono dei prima e dopo. Nato da una famiglia di oppositori al regime uruguayano, ha trascorso i suoi primi anni in fuga: prima in Argentina, poi in Brasile, vicino una favela, «vivevamo aspettando da un momento all’altro l’estradizione», racconta. Gli oppositori a Bordaberry erano schedati, ricercati, «chi ha potuto è scappato». A un certo punto anche per loro finalmente arriva il visto per la Danimarca, dove si fermano fino alla caduta della dittatura. A 7 anni è in Uruguay. È lì che si appassiona di cucina. Comincia a lavorare presto, ha ambizioni, creatività, tenacia. Passa per un ristorante italiano a Montevideo e da lì vola a Milano, per raggiungere l’amico e collega Juan Lema al Pont de Ferr di cui poi prenderà in mano la cucina con grande successo, prima di giocare in solitaria con il suo Contraste, in cui lavora per creare un modello ristorativo positivo. Ma non è questa la storia che vogliamo raccontare in vista del referendum dell’8 e 9 giugno.
Gli interni di Contraste. Foto: Matteo Bellomo-Stefania Zanetti
Ha 21 anni quando arriva in Italia. Comincia la trafila dei permessi di soggiorno, fa avanti e indietro con il suo paese d’origine 3 o 4 volte, poi qualcuno gli dice di fermarsi e basta, lui ci pensa un po’ e decide di rischiare: «Avevo trasferito tutta la mia vita qui, tornare in Uruguay sarebbe stata una sconfitta troppo grande. Allora – commenta – il mio obiettivo era rimanere attaccato a una realtà che ancora non avevo conquistato». È senza documenti, in attesa di una sanatoria che pareva imminente: «Con il senno di poi ti rendi conto che vivi con una sorta di claustrofobia costante. I tuoi diritti di essere umano sono validati da un documenti, se non ce l’hai sei un emarginato, anche se io alla fine ho tratti europei ma ci sono persone dall’aspetto diverso, che sono discriminate a 100 metri di distanza». A un certo punto quella sanatoria arriva davvero: «Ricordo che dovevi prendere il tuo numeretto, c’erano file lunghissime e un paio di volte non sono riuscito a prenderlo, quel numero, alla fine per farcela praticamente ho passato lì la notte». Dopo un po’ di tentativi ottiene il suo permesso di soggiorno, da rinnovare ogni due anni, e dopo qualche tempo ha potuto chiedere il permesso di lavoro a tempo indeterminato. E così è stato. «Per fortuna, perché la fortuna nella vita serve, in uno di questi uffici ho trovato un ragazzo, Simone, che si è sbattuto tantissimo, informandosi, cercando di capirci di più, aiutando le persone. C’è stato uno scambio bellissimo, lui è un appassionato di gastronomia, e la gastronomia è un lavoro di ospitalità che ha il vantaggio di creare delle relazioni».
Con quel permesso Perdomo può lavorare senza limiti di tempo in Italia, non all’estero, così negli anni le proposte arrivate da altri paesi le ha declinate, «se domani volessi aprire in Spagna non potrei, per stare lì dovrei fare un visto per turismo, non per lavoro, che è una menzogna. E dire un menzogna ti mette sempre in una posizione sbagliata». Per Perdomo Contraste è una nicchia milanese, «ma al di là di un discorso di espansione del mio lavoro, senza la cittadinanza italiana non sei libero di pensare e agire come un europeo, l’ho capito solo dopo». L’evidenza ce l’ha in viaggio: «qualche tempo fa ho fatto scalo a Miami, e ho dovuto rispondere a una serie di richieste che non finiva più, mentre la pratica per chi ha il passaporto italiano è molto diversa, alla fine ho dovuto chiamare uno chef italiano che sta lì per aiutarmi. Gli Usa sono un incubo per i sudamericani». Non è solo questo: «Ho ancora la paranoia dei passaporti, è come una cicatrice. La paura di non avere i documenti in regola è sempre presente per chi l’ha vissuta».
Così dopo 24 anni in Italia Matias Perdomo ha deciso di chiedere la cittadinanza. Comincia a raccogliere i documenti da presentare: «Contratto di lavoro e di affitto o proprietà di casa, fedina penale, il certificato di livello B1 di italiano. Sono 3 o 4 punti cardinali, mi sembra che siano alla portata di tutti, o almeno di quelli che sono in una situazione come la mia». L’esame di lingua lo ha appena sostenuto: «La cosa che mi ha colpito di più è che ero l’unico uomo: evidentemente la donna è più responsabile, o ha più l’idea di doversi mettere al sicuro. Una cosa che fa molto riflettere». Ma per quale motivo si è deciso solo ora a fare richiesta? «Avendo un permesso a tempo indeterminato non ci ho pensato troppo, non sentivo questo allarmismo, ma ora vedendo come stanno andando le cose, mi sono detto meglio farla. La situazione attuale mi ha fatto aprire gli occhi e rendere conto che è un vantaggio avere la cittadinanza italiana, nonostante tutto quello che si possa dire, e ogni tanto è bene vedere le cose dal di fuori del proprio mondo». Ma lei è più che integrato qui: «sì ma e a prescindere da quello che hai fatto, come sei integrato, oggi la cittadinanza è una sicurezza in più: non sai mai come va a finire, la burocrazia non sente ragione. E qui, non ci sono solo le mie aziende, c’è mia figlia»
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