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Storie nere

"Si faceva di cocaina al ristorante e mi molestava. Costretta a nascondere i soldi nei pantaloni". La confessione di una chef

Federica, una giovanissima cuoca romana, ha deciso di parlare per raccontare violenze psicologiche e abusi subiti nella cucina dove ha lavorato

  • 27 Maggio, 2025

Cocaina consumata dagli chef nel segreto del bagno di servizio, mazzette di soldi che di tanto in tanto le venivano affidate da nascondere dentro i pantaloni, apprezzamenti, ammiccamenti, mani sulle gambe, sui fianchi, pressioni da dietro con i genitali mentre preparava la linea degli antipasti, entrate a sorpresa negli spogliatoi prima o dopo il turno, richieste estenuanti per riportarla a casa la sera nonostante abitasse poco distante dal ristorante. Non nasconde la sua fragilità, Federica, nome di fantasia che mentre racconta quello che le è accaduto in un ristorante di Roma, prova a non piangere, deve fare i conti con la voce che le si strozza in gola, prova a tenere duro per non far commuovere chi ha di fronte. «Una volta uscita da lì, ho deciso che non avrei mai più lavorato in una cucina», è quello che rimane di un racconto agghiacciante, fatto di pressioni, violenze psicologiche e avances, una storia apparentemente piccola che ne racconta una molto più grande: troppo spesso le donne che lavorano nella ristorazione, che siano chef, cameriere, maître o sommelier, sono oggetto di molestie da parte dei colleghi uomini.

«Ho iniziato a lavorare nel ristorante perché una persona della mia famiglia conosceva lo chef», racconta. Inizia tutto a gennaio di qualche anno fa, quando il locale era ancora chiuso al pubblico, settimane dedicate all’arredo della location, arrivano tavoli, sedie, mobili, alla preparazione del magazzino, alla pulizia e sistemazione della strumentazione per la cucina. A capo di tutto lo chef executive e un socio. Poi qualche prova del menu, selezione degli ingredienti, sempre ottimi. Federica è arruolata in cucina, unica donna, in nero, insieme a lei lavora un sous chef, inizia a impratichirsi, ha già fatto uno stage in un ristorante stellato. Esperienza dura, è la prima, sa che la gavetta fa parte del mestiere. A lei tocca la preparazione degli antipasti, aiuta a sistemare la linea dei primi piatti, fa alcune preparazioni per i secondi e segue la linea dei dolci. Un lavoro mastodontico anche per i più navigati, figuriamoci per una ragazza alla prima esperienza. «Non sapevo a chi dare i resti». Passa un mese, il ristorante apre al pubblico.

Sous chef e cocaina

«Ho subito notato comportamenti strani». Ovvero? «Il ragazzo che lavorava con me faceva uso di sostanze stupefacenti». Cocaina? «Tanta cocaina». Avanti e indietro dal bagno di servizio, da mattina a sera, a cui aggiungeva una buona dose di alcol quando era in postazione in cucina. «Beveva vino, soprattutto birra, già la mattina alle 10 era ubriaco». La spina era a disposizione di tutti, al pass, dove terminava la preparazione dei piatti. Federica si ritrova sempre più spesso da sola con il collega. «Quando ho iniziato a vedere l’andirivieni al bagno, e cosa comportava poi, ho iniziato ad avere terrore. Sapevo cosa dovevo andare incontro, i suoi occhi cambiavano, mi mettevano paura».

Insieme al sous chef, anche il cuoco-titolare faceva uso di stupefacenti – «in grandissima abbondanza» – e una volta tornati in cucina gli atteggiamenti di entrambi cambiavano. Il primo «andava subito fuori di testa, gridava, mi inveiva contro, mi si avvicinava con fare minaccioso per cose stupide, mi bestemmiava in faccia». Occhi fuori dalle orbite, la pelle sudata, fare animalesco. E immaginatevi Federica, una ragazza giovane – aveva solo 21 anni – piena di sogni per il lavoro che sta iniziando a fare davvero: pacata e introversa. L’unica reazione alle urla era non opporsi: «Rimanevo zitta, sono fatta così, tendo a vergognarmi e quindi non replicavo, mi ammutolivo». Il passo successivo lo fa lo chef a capo della cucina, un pomeriggio dopo l’ennesimo litigio con il collega le offre di tirare cocaina. «Ti aiuta, mi diceva, come se fosse una medicina». Federica rifiuta. Arriva una seconda offerta, questa volta davanti a un cameriere, e rifiuta pure quella. «Non so perché, ma confesso che ho sperato che il collega che stava assistendo mi difendesse in qualche modo, ma non lo ha fatto». Federica è sola, una solitudine che probabilmente solo le donne possono capire.

Molestie in cucina

Con il passare delle settimane, l’atteggiamento del sous chef è quasi messo in secondo piano dalle attenzioni che inizia a ricevere da parte del titolare. Anche lui fa uso di cocaina durante l’orario di servizio e quanto torna assume atteggiamenti molesti. Nel frattempo, beve alcol. «Mi toccava i fianchi mentre ero in postazione, mi si avvicinava da dietro mentre tagliavo le verdure e mi spingeva con i genitali». Succede tutti i giorni, succede sempre più spesso. «Sempre carezze non richieste, battute ammiccanti, ero perennemente a disagio». Anche andare in bagno a un certo punto diventa un problema: «Andavo e lui mi seguiva, entrava senza bussare, ero costretta a rivestirmi in fretta». E poi di nuovo in cucina, «si avvicinava e mi metteva le mani sul punto vita», non perdeva occasione di «strusciarsi addosso». Niente succedeva per caso, erano gesti volontari.

Disagio, disagio, disagio, Federica lo ha provato decine e decine di volte in quella cucina mentre un uomo con il doppio dei suoi anni, con un incarico molto più in alto, si approfittava del suo disperato silenzio. «Mi sembrava una violenza fisica, non so come spiegarlo, e non sapevo come comportarmi. Era solo nella mia testa?». Solitamente si tende a minimizzare, come se per comprovare una molestia servisse l’atto sessuale vero e proprio, eppure anche atteggiamenti come questi sono delle violenze a tutti gli effetti. «Mi bloccavo, non riuscivo a reagire». E lo chef non è l’unico che assume atteggiamenti ambigui, col tempo anche un altro cuoco prova a toccarla, a strusciarsi, a interagire fisicamente con lei. Se lo fa il capo, sono legittimarlo anche io a farlo. La logica è questa.

Soldi nelle mutande

In questo tormento, la giovane cuoca è stata anche costretta a tenere addosso soldi non suoi. Mazzette di contanti, «non ho mai avuto il coraggio di contarli ma erano tanti», chiusi in una busta che veniva riposta all’interno dei pantaloni, davanti le mutande. Pacchetti con banconote da 50 euro, alti 3-4 centimetri, «ho sempre sospettato che oltre a farsi, spacciava anche stupefacenti e che quelli fossero i soldi delle rendite». Non era un segreto poi che lo chef occasionalmente aveva rapporti sessuali con delle donne nel bagno di servizio.

Ti riaccompagno a casa

La situazione degenera quando il titolare inizia a farle pressioni per riaccompagnarla a casa la sera all’una di notte. Federica inizia ad avere paura: abita a pochi passi dal ristorante, non ha bisogno di nessun passaggio. Ma lo chef insiste, insiste, insiste. Lei rifiuta anche in questo caso, lui le chiede di uscire una sera, e lei rifiuta di nuovo. «Mi metteva ansia, avevo paura a uscire dal ristorante, così come avevo paura di entrarci la mattina». Torna a casa e si guarda intorno per timore di essere seguita a casa. «Non riuscivo a parlare con nessuno, ad avere reazioni, mi chiedevo come avrei potuto parlarne con altre persone». Se non bastasse, lo chef inizia a incattivirsi, a maltrattarla. Federica non ne può più, la mattina si sveglia con l’ansia, andare al lavoro le fa venire la nausea. Non mangia più. Prende coraggio e prova a dimettersi con una scusa, lo chef cerca a farla desistere facendole pressione con informazioni legate alla sua famiglia, in particolare alla malattia della mamma. Lei ha sempre più paura, inizia a piangere e si convince che deve parlare con qualcuno. E il giorno dopo in cucina si presenta il padre che non ha nessuna voglia di essere comprensivo. Il resto è un silenzio durato a lungo.

Federica porta con sé queste ferite difficili da rimarginare, ce le ha stampate in faccia quando parla, non ha avuto la forza di denunciare ma nessuno può e deve fargliene una colpa. Vent’anni, un lavoro massacrante da 15-16 ore al giorno, «iniziavo alle 9 del mattino e uscivo all’una di notte», niente contratto, solo promesse, miseri 700 euro al mese. Era un sogno, una cosa bella che non farà mai più. Molestata due volte.

Molestie in cucina: l’appello del Gambero Rosso

Il Gambero Rosso sta raccontando le storie di quanti lavorando in cucina hanno subito molestie fisiche e psicologiche. Scriveteci ([email protected] o su Instagram @rix_sonia), parliamone, raccontiamo insieme l’aspetto più controverso della cucina che non è accettabile, mai e in nessuna forma.

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