Che la produzione agricola nella Pianura Padana sia in crisi lo dice un bell’articolo della rivista settimanale Internazionale uscito online il 3 ottobre scorso, ripreso dal Gambero Rosso pochi giorni fa. Numero delle aziende agricole più che dimezzate negli ultimi 25 anni – con una flessione del 63,8% se partiamo dal 1982 – a fronte dell’aumento delle dimensioni delle realtà rurali, mediamente più che raddoppiate in termini sia di Superficie Agricola Utilizzata sia di Superficie Agricola Totale. Questo vale soprattutto per la Pianura Padana, enorme triangolo di terra fertile dell’Italia settentrionale, quasi 48mila chilometri quadrati compresi tra Alpi, Appennini e Mar Adriatico che abbracciano 5 regioni – Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli-Venezia Giulia – e decine di province. Vediamo alcuni dei motivi di questa crisi.
In pole position c’è il cambiamento climatico, da una parte alluvioni e inondazioni – centinaia dal 2000 a oggi, soprattutto nel 2022 e 2023 – che hanno spazzato via frutteti, raccolti e vite umane, dall’altra la siccità che ha lasciato a secco il terreno, cambiato il paesaggio e costretto i piccoli agricoltori a lasciare i loro campi, a vendere ad aziende grandi e a cambiare mestiere. In pianura ma anche in montagna. «Rispetto a 20 anni fa produrre foraggio di qualità è sempre più difficile – spiega Carlo Minetti, che insieme al padre Giovanni e al fratello Luca produce a ciclo chiuso parmigiano reggiano nell’azienda agricola di famiglia Malandrone 1477 a Pavullo del Frignano, sulla montagna modenese – i capricci del clima riducono i tempi di raccolta, le finestre di bel tempo sono sempre più strette: devi fare il più possibile in poco tempo e se a maggio piove non riesci ad asciugare l’erba tagliata».
Sono le due piaghe del mondo occidentale, in tutti i campi del mondo del lavoro, non solo nell’agricoltura. «Se le aziende non guadagnano i giovani vanno altrove: chi glielo fa a fare di rimanere in realtà rurali che hanno un futuro incerto?» commenta Massimo Spigaroli, chef titolare dell’Antica Corte Pallavicina, realtà poliedrica della Bassa Parmense con campi di seminativo, orti, allevamento di suini, laboratorio di salumi, relais, ristorante stellato e trattoria.
Sei hai un collaboratore valido te lo devi tenere stretto. «I dipendenti vanno coccolati, curati, seguiti, coinvolti, lasciati crescere – dice Dino Massignani, direttore di Riserva San Massimo, il miglior produttore italiano di riso Carnaroli Classico coltivato in 120 ettari all’interno del Parco della Valle del Ticino – se hanno delle qualità vanno riconosciute, non solo economicamente: bisogna formarli, ad esempio. Quello che dai in più ti ritorna in velocità, quantità e qualità del lavoro».
Gli aumenti dei costi energetici cominciati con la guerra in Ucraina, insieme a quelli di gestione, hanno peggiorato la situazione. Anche se negli ultimi anni molte aziende agricole hanno investito in fonti di energia rinnovabili, soprattutto da pannelli solari, impianti fotovoltaici e a biogas. Mentre è sempre più una spina nel fianco la burocrazia. «Le regole non sono sempre chiare e ogni due per tre ce n’è una nuova – fa Stefano Bettella, insieme al padre Giuseppe titolare dell’azienda di famiglia nella Bassa Cremonese che ha legato il suo nome al Maiale Tranquillo», poi ci sono le norme di etichettatura, quelle della tracciabilità degli animali… per stare dietro alle carte ci vogliono figure professionali dedicate che, se sei piccolo, non puoi permetterti».
Non è una crociata contro le regole quella delle aziende agricole, «sono una cosa giusta per la sicurezza, ma sono troppo complicate – aggiunge Dino Massignani –. Servono controlli e corsi, dall’antincendio all’uso di un trattore, un muletto, un escavatore o una motosega. Ciascun corso, che va rinnovato ogni due anni, costa 250 euro a persona, più l’abbigliamento adeguato e le attrezzature. Senza contare lo svecchiamento del parco macchine, il controllo degli estintori ogni sei mesi, le norme che cambiano continuamente. A tutto questo si aggiungono altre certificazioni che le piccole aziende fanno fatica a sostenere, sia da un punto di vista economico, sia a livello organizzativo. Ma una piccola azienda condotta da una coppia anziana come fa?».
In questa tendenza verso la scomparsa delle piccole realtà rurali, l’affermazione dell’agroindustria e la lavorazione della terra concentrata nelle mani di poche aziende sempre più grandi, in questa crisi dell’agricoltura e del suo ruolo, rimane a galla chi riesce nel gioco di equilibrio, sempre più difficile, tra visione aperta e artigianalità, mantenendo la barra dritta e la propria identità, «senza seguire i grandi flussi, senza copiare le altre aziende ma conservando un’autonomia di immagine, strategie, produzione e vendita – afferma Massimo Spigaroli – l’unicità è la carta vincente».
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