Mixology

Dalle acciughe ai cetriolini, dal kimchi al jalapeño... Anche il Martini si sporca con gusti acidi e fermentati

La pckle mania si sposta anche alla mixology: la passione per i gusti acidi e fermentati trova un terreno privilegiato nelle rivisitazioni del Dirty Martini, un classico pronto per il futuro

  • 17 Giugno, 2025

C’è stato un tempo in cui il Martini era sinonimo di purezza cristallina: gin (o vodka), un’idea di vermut, un’oliva (o una scorza di limone), e nulla più. Ma oggi, nel pieno di una nuova era esperienziale della mixology, questo celebre cocktail sta vivendo un’evoluzione curiosa, sapida e virale. Dimenticate la sobrietà da James Bond: il Dirty Martini è tornato, e più “sporco” che mai, contaminato da cetriolini sott’aceto, jalapeño, salamoie casalinghe, e persino kimchi. Complice la tendenza dei giovani a virare su gusti aciduli e fermentati, carichi di umami. Intanto, per una versione “classica, ma non troppo” del Dirty, potete dare un’occhiata alla ricetta di Julian Biondi che utilizza sì la salamoia di olive, ma la vuole fermentata…

Dirty Martini: un cocktail fuori dagli schemi

Il Dirty Martini nasce nei primi decenni del Novecento come variazione del classico Martini dry, a cui si aggiunge la salamoia delle olive per intensificarne il sapore. L’idea era semplice ma rivoluzionaria: accentuare la parte salina e umami del cocktail, in netto contrasto con l’eleganza alcolica del gin e del vermut. Pare che già nel 1901 il bartender newyorkese John O’Connor sperimentasse con questa combinazione, inizialmente schivata dai puristi ma subito apprezzata da chi cercava un sorso più “carnale”, più sporco, appunto.
Per decenni il Dirty Martini è rimasto una scelta di nicchia, spesso bistrattata dai baristi old school. Poi, negli anni Duemila, il revival del cocktail ha riportato la variante salata alla ribalta, specie nei lounge bar di Manhattan e Los Angeles. Oggi, complice il potere virale dei social media e il gusto della Gen Z per gli abbinamenti eccentrici, il Dirty Martini è diventato un terreno fertile per esperimenti sempre più arditi.

Dai cetriolini alle acciughe: nasce il Filthy Martini

L’elemento chiave del Dirty Martini è la salamoia: acqua, sale, spezie, acidi. Ed è proprio questo concetto ad essersi espanso in modo creativo, fino a includere una sorprendente varietà di ingredienti. Su TikTok e Instagram impazzano varianti che al posto della classica salamoia d’oliva usano: salamoia di cetriolini sott’aceto (pickle brine) per una nota acidula, pungente e croccante; jalapeño in salamoia per un effetto spicy che ricorda i Margarita più decisi; kimchi e altri fermentati per una complessità umami spinta; pasta d’acciughe o miso per una nota marina che vira verso il sapido estremo. Il trend dei “Filthy Martini” — ovvero cocktail ancora più intensi e carichi di salamoia — è diventato un tormentone anche grazie a celebri influencer e bartender su TikTok, dove l’hashtag #dirtymartini ha superato i 39 milioni di visualizzazioni. In alcuni video, la lista degli ingredienti si legge come quella di una ricetta da brunch: cetriolini interi come garnish, olive ripiene di formaggio cremoso, lime bruciato, pompelmo rosa o cipolline in agrodolce. Del resto, già qualche anno fa, sul sito americano liqculture.com, scrive la bartender Monica Carbonell che si definisce “la vostra Fairy Barmother”: «Per i miei amici che amano il Dirty Martini, questo Martini è proprio quello che fa per loro. Unisce Pink Gin, Lillet Blanc, pompelmo e salamoia di Jalapeno per un eccezionale Picked Jalapeno Gin Martini. Non mi credete? Beh, immagino che dovrete agitarlo per vedere con i vostri occhi». Provare per credere…

Cultura pop, celeb e dirty drinks

A consacrare definitivamente la nuova era del Martini è intervenuta anche la cultura pop. Dua Lipa ha lanciato una bevanda virale a base di Diet Coke, cetriolini e jalapeño, che ha conquistato i social e ispirato reinterpretazioni cocktail “sporche” e provocatorie. Brand come Philadelphia hanno cavalcato l’onda lanciando olive ripiene di cream cheese pensate proprio per arricchire il Martini — ribattezzato per l’occasione Philly-tini.
Il messaggio è chiaro: il Dirty Martini non è più solo una bevanda, ma una tela bianca su cui ciascuno può lasciare la propria firma gustativa. Un simbolo di individualismo liquido e identità saporita, perfetto per l’era dei contenuti user-generated.

Italia e contaminazioni: il boom dei sottaceti

Anche in Italia la tendenza si sta facendo strada. Se un tempo i cetriolini erano relegati al ruolo di complemento di piatti vintage, oggi sono protagonisti del nuovo aperitivo “Z” insieme ad altri sottaceti come cipolline, carote e cavolfiore. I brand del food li propongono come snack da happy hour, e alcuni bar li impiegano per twist sul Martini che fondono tradizione e tendenza. L’“aperitivo in barattolo” diventa quindi ingrediente da cocktail, offrendo infinite possibilità di reinterpretazione salata.

La frontiera del gusto umami

Dietro questa tendenza non c’è solo voglia di stupire: c’è una ricerca precisa di un profilo gustativo che il palato contemporaneo trova sempre più intrigante. L’umami, il gusto “profondo” che caratterizza alimenti fermentati, brodi, alghe e formaggi stagionati, diventa protagonista nel bicchiere. E il Martini, con la sua struttura semplice e alcolica, si presta perfettamente ad accogliere queste variazioni.
In un momento storico in cui la mixology si muove tra il ritorno ai classici e la spinta verso l’iperpersonalizzazione, il Dirty Martini rappresenta una perfetta sintesi. È il cocktail ideale per chi vuole osare, raccontarsi, giocare col sapore senza dimenticare l’eleganza della forma. Che sia con cetriolini, jalapeño o acciughe, una cosa è certa: il Martini è ancora il re del bancone — anche (e soprattutto) quando è sporco.

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