
D’estate, quando il caldo si fa opprimente, il desiderio di qualcosa di fresco è universale. In Italia pensiamo subito a una granita siciliana o a una grattachecca romana. In Giappone, invece, il re dei dessert estivi si chiama kakigori: un dolce a base di ghiaccio finemente tritato e addolcito con sciroppi, frutta o ingredienti più elaborati.
Il kakigori risale a oltre mille anni fa. Le sue prime tracce documentate appaiono nel periodo Heian, tra il VIII e il XII secolo, un’epoca in cui il Giappone era dominato da una raffinata élite culturale. Solo gli aristocratici potevano permettersi il lusso del ghiaccio, che veniva conservato in apposite casse dette himuro. Nel periodo Meiji, verso la fine dell’Ottocento, grazie allo sviluppo delle tecnologie di refrigerazione e alla nascita delle prime attività commerciali di vendita del ghiaccio, il kakigori abbandonò l’esclusività della corte per diffondersi tra la popolazione. La sua popolarità crebbe a tal punto che, nel dopoguerra, divenne uno dei simboli dell’estate giapponese. Ancora oggi, il kanji per “kori” (ghiaccio) è appeso all’ingresso di molti negozi e segnala la disponibilità di kakigori, spesso preparati al momento con macchine manuali o elettriche.
Foto Credit: TikTok @ordatwins
Negli ultimi anni il kakigori ha vissuto una seconda giovinezza grazie a una nuova generazione di pasticceri giapponesi. Nelle grandi città come Tokyo, Osaka o Kyoto, si trovano veri e propri atelier, dove si sperimentano abbinamenti inediti e si curano i dettagli estetici come in alta pasticceria.
La principale caratteristica che distingue il kakigori da una granita o da una grattachecca è la consistenza. Mentre in Italia il ghiaccio viene tritato grossolanamente, nel kakigori viene grattato così finemente da diventare impalpabile, simile alla neve fresca. Questo effetto si ottiene grazie a speciali rasoi – un tempo azionati a mano, oggi spesso elettrici – che tagliano il ghiaccio in micro-lamelle sottilissime, che inglobano aria e si sciolgono appena toccano la lingua.
Foto credit: Instagram @monsterkakigori
Il ghiaccio utilizzato non è un semplice cubetto da freezer: viene spesso prodotto con acqua purificata e lasciato congelare lentamente per ottenere un risultato più trasparente, privo d’impurità. Una volta pronto, viene servito in ciotole o bicchieri alti e decorato con una varietà infinita di topping e sciroppi. I gusti classici includono fragola, melone, limone, cola e tè verde matcha, ma non mancano versioni più complesse, come l’ujikintoki (in foto d’apertura, credit Instagram @tokyo_gov), con matcha, fagioli rossi azuki e mochi, o lo shirokuma, con frutta sciroppata, gelato e latte condensato. Alcune varianti gourmet utilizzano anche cioccolato fondente, mousse di frutta, panna montata, caramello o persino ingredienti salati.
Foto credit: TikTok @mizzy_ontherun
Negli ultimi anni, il kakigori ha acquisito anche una forte dimensione estetica. Molti locali puntano su forme scultoree, altezze vertiginose e colori vivaci per attirare l’attenzione sui social. Esiste persino lo yakigori, una versione flambé in cui si versa il brandy sulla montagna di ghiaccio e poi si caramella alla fiamma, creando uno show perfetto per Instagram e TikTok. Altre versioni includono uno strato di meringa su cui viene versato il rum.
Nonostante le somiglianze apparenti, il kakigori e la granita italiana sono due dolci profondamente diversi, che riflettono sensibilità culturali opposte. La granita, soprattutto quella siciliana, nasce da una miscela di acqua, zucchero e frutta, che viene congelata e mescolata più volte per ottenere una consistenza cristallina ma morbida. È pensata per essere densa, fresca e saporita, spesso servita con panna o accompagnata da una brioche. La grattachecca romana, invece, parte da ghiaccio compatto grattugiato e condito con sciroppi: più rustica e immediata, conserva una consistenza più ruvida.
Il kakigori, al contrario, è leggero, quasi impalpabile. La sua consistenza vellutata deriva dal fatto che non viene congelato con aromi all’interno: il ghiaccio è neutro e viene aromatizzato solo dopo, permettendo una maggiore varietà e una presentazione stratificata. In Giappone, inoltre, l’attenzione ai dettagli visivi è centrale: ogni kakigori è pensato per essere anche bello da vedere, non solo buono da mangiare.
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