
Nel corso dell’ultimo decennio la regione dell’Alentejo è stata sempre più caratterizzata da monocolture superintensive di olivi perdendo così qualsiasi legame storico con quello che era il paesaggio o la tradizione dei luoghi. Un impatto notevole per un territorio che, per oltre il 70% è in mano a gruppi stranieri, e che sta andando incontro a una devastazione ambientale e all’omogeneità della produzione olearia, perdendo ogni peculiarità varietale.
Le implicazioni di questo tipo di coltivazione, che prevede fino a 2500 piante per ettaro, per il territorio sono molteplici e interessano aspetti ambientali, economici e demografici. La trasformazione del terreno in un oliveto comporta la rimozione di tutto ciò che poteva esserci prima e la riformulazione in vista di favorire la piantagione, l’azionamento delle macchine e la raccolta. Le colture precedenti vengono sostituite dalla monocoltura, eliminando la biodiversità e alterando l’habitat di innumerevoli specie animali. La vegetazione preesistente e le comunità di uccelli vedono i loro habitat distrutti. La vicinanza di queste coltivazioni a nuclei abitativi, villaggi e gruppi di case obbliga la popolazione a convivere regolarmente con fitofarmaci e correttivi chimici provenienti da questi uliveti, che contaminano l’acqua. Una tendenza abbastanza insostenibile per gli abitanti di una regione sempre più colpita dalla siccità e da eventi meteorologici estremi.
In un recente articolo pubblicato su Euronews si fa presente come in tutto l’Alentejo le siepi uniformi di ulivi si estendono a perdita d’occhio e le piantagioni irrigue della zona si sono espanse rapidamente negli ultimi due decenni grazie all’approvvigionamento idrico del bacino di Alqueva, il più grande lago artificiale dell’Europa occidentale. Costruito con fondi pubblici, il bacino è stato progettato per favorire la crescita economica in una delle regioni più povere e aride del continente. Ma dell’irrigazione hanno beneficiato principalmente i grandi gruppi industriali che traggono profitto dalle piantagioni di ulivi superintensive. Secondo la società che gestisce il bacino, Edia, l’80% dell’acqua in esso contenuta viene utilizzata per irrigare i mandorleti e gli uliveti dell’Alentejo. Sebbene il sistema di irrigazione e le piantagioni intensive di ulivi di Alqueva si sono rivelati molto redditizi per gli investitori nel breve termine, stanno crescendo le preoccupazioni circa i costi ambientali. L’avvento della diga era stato esaltato come la soluzione allo spopolamento della regione, ma i dati riportano come tra il 2011 e il 2021 l’Alentejo ha perso 41mila abitanti. Uno studio della società di consulenza Agrogés prevede che il cambiamento climatico aumenterà la domanda di acqua per gli oliveti irrigati dal 5 al 21 per cento, mentre si prevede che gli afflussi medi annui al bacino di Alqueva diminuiranno dal 5 al 10 per cento entro il 2050.
L’invasione di fango verificatasi a Ervidel all’inizio di quest’anno, invadendo strade, case e cortili, è stata alla base di un recente incontro tra le autorità locali del comune di Aljustrel e un team del Ministero dell’Agricoltura e della Pesca. Tema principale dell’incontro è stato il problema innescato dall’impianto di un oliveto superintensivo nel dicembre 2024, nei pressi di Ervidel, che, a causa della sua vicinanza alle case – meno di 20 metri in alcune zone –, ha provocato, durante una forte pioggia nella notte del 6 gennaio, una piena di fango, che ha invaso strade, case e cortili nella parte bassa del villaggio, proveniente dal terreno smosso dai lavori di coltivazione. Sebbene esistano “buone pratiche raccomandate”, il sindaco ha sottolineato la necessità che queste diventino obbligatorie, sia per quanto riguarda la distanza minima tra le piantagioni e le sedi, sia per quanto riguarda la regolamentazione dei trattamenti chimici somministrati, richiedendo un successivo controllo di queste situazioni.
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