Tendenze

Arriva il pane che non si butta mai e che può essere mangiato anche dopo 20 giorni

Ultima frontiera dei panificatori d’avanguardia: il pane affinato in madie di legno che può essere mangiato anche dopo settimane

  • 31 Luglio, 2025

«Un modo di dire milanese, ormai desueto, è pan pos fa i oss, il pane vecchio fa le ossa. E se ci penso, un tempo il pane non lo si buttava: quando diventava raffermo, ci si faceva colazione inzuppandolo nel latte», racconta il fornaio Davide Longoni che ha sempre puntato sulla lunga fermentazione da pasta madre e ora si sta interrogando se sia possibile affinare il pane. Un discorso che va oltre il “semplice” no waste, Longoni vorrebbe rilanciare, rivalutare il pane vecchio, anche solo cambiandogli aggettivo: invecchiato, stagionato, affinato, come succede per i vini o i formaggi. Come Longoni, sul tempo, la temperatura, la texture del pane, hanno ragionato, stanno ragionando in molti.

Galeotto fu un errore di spedizione

«Tutto nasce da un errore di spedizione, dovevamo spedire il nostro pane Da Lucio e invece di recapitare il pacco a Rimini, questo è finito in Spagna per una lettera sbagliata. Il pane ha vagato per giorni per poi tornare a Milano», racconta Davide Longoni, panificatore di lunga data con all’attivo la rivista letteraria L’integrale, il Circolino del pane (dove attualmente Christopher Giese sta producendo il “tamari” di pane raffermo) e parecchi punti vendita, principalmente a Milano, inutile dare numeri perché il suo obiettivo è continuare ad aprirne. «Invece di buttarlo, l’ho bagnato leggermente e rimesso in forno per 15/20 minuti: il pane sembrava rinato». Chi ha un minimo di preparazione sul tema saprà che alla base del pane raffermo ci sono la perdita di umidità e la retrogradazione degli amidi, in parole comprensibili ai più, uno dei costituenti dell’amido (l’amilosio) tende ad aggregarsi in cristalli ordinati diventando meno elastico. Ma se il pane riacquista umidità e viene scaldato – in gergo “rigenerato” – «il pane acquista una seconda vita. Molti grandi ristoranti fanno il pane una volta a settimana o ogni 10 giorni e lo rigenerano di volta in volta, portandolo al tavolo caldo. È quasi meglio del pane appena sfornato», commenta Longoni.

Longoni: dal rigenerato all’affinato

Ma il fornaio milanese è andato oltre, dal rigenerato è passato al pane affinato. «In maniera provocatoria, se ora il nostro pane lo vendiamo a 8 euro al chilo e quello che avanza lo doniamo a chi ne ha più bisogno, in futuro mi piacerebbe aprire un negozio dove vendere il pane stagionato per poi devolvere l’intero ricavato a un’associazione. Questa è la mia ambizione». Questo il tema che sta cercando di sviluppare: «Il pane, legato in un telo, può essere stagionato all’interno di madie di legno ed è ancora buono anche dopo 15-20 giorni. Ora sto facendo prove per capire come allungarne ulteriormente la vita: è un gioco di equilibrio tra umidità e mancanza di aria», spiega. «Sogno un negozio che venda solo pani affinati, magari in diversi luoghi, prendendo come modello ad esempio le cantine degli Spigaroli con migliaia di culatelli appesi, simbolo tangibile di quanto siano bravi a incrementare il valore dei loro salumi con e attraverso il tempo».

L’idea nasce da pane e frittata

Forse non è un caso che tra i primi a parlarci del pane affinato, anni or sono, sia stato lo chef di Mammaròssa Franco Franciosi. Un concetto, il suo, nato pensando al “pane e frittata” – «quello che ti portavi dietro quando andavi a sciare, fatto con un pane morbido e spesso di qualità discutibile, ma al tempo stesso di grande coerenza con la frittata dal punto di vista del morso» – e a quelle fette di pane tagliate sottili sottili dalla zia: «un pane indubbiamente e inconfondibilmente affinato», ricorda Franciosi che da anni nel suo ristorante ad Avezzano sforna alcuni tra i pani più interessanti d’Italia. «Non tutti i pani sono però idonei a essere affinati: l’affinamento si presta bene con pani da farine “difficili”» (le farine cosiddette deboli, ndr).

L’eleganza del pane secondo Franciosi

«Oggi, per esempio – spiega Franciosi – sto cuocendo pani di farro, una farina che se utilizzata in purezza va inevitabilmente in liquefazione:  cercare di tenere unito l’impasto è una delle cose più difficili. Sono pani bassi, lontani da quella dinamica alveolata che tanto va di moda adesso: ecco, sono questi che ben si prestano all’affinamento». Pagnotte che, una volta affinate in madie di legno – «madie che nel corso del tempo si trasformano in specie di ecosistemi» – diventano, a detta dello chef abruzzese, più eleganti: «Come il Montepulciano d’Abruzzo: se lo bevi dopo due o tre anni, può risultare brusco, rude, un po’ come un cavallo appena sellato difficile da montare. Ma con il passare del tempo migliora il carattere, così un pane». Oltre all’eleganza e a un’evoluzione traducibile in complessità del sapore, tanto cambia nella texture. «Ritornando al ricordo del pane e frittata, quest’ultima ha un morso estremamente morbido, affondare i denti in una frittata richiede una forza esigua, e quando arrivi al pane, questo dovrebbe avere la stessa consistenza». La coerenza nel morso. «Mi sono accorto che i pani affinati permettono di avere un abbinamento tattile completamente diverso a seconda dei giorni di stagionatura, e dunque consentono di avere un abbinamento tattile di volta in volta diverso, coerente con quello che stai mangiando. Ad esempio un pane affinato, tagliato sottile, si abbina alla perfezione con un salume», propone Franciosi. A voi la prova…

credits:

le foto del pane di David Longoni sono di Savour/Stefania Zanetti e Matteo Bellomo 
le foto dei pani di Franco Franciosi sono di Ivan Masciovecchio per Tesori d’Abruzzo

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