Notizie / Attualità / Multe per chi serve “finto” Parmigiano al ristorante. Il Consorzio: “Frequente l’uso ingannevole del nome”

Il nome fa la differenza

Multe per chi serve "finto" Parmigiano al ristorante. Il Consorzio: "Frequente l'uso ingannevole del nome"

Nel menu compariva genericamente la voce Parmigiano, ma nei piatti finiva Grana Padano o altro formaggio. È successo in un ristorante a Merano e in un pub a Reggio Emilia

  • 04 Giugno, 2025

Sbagliare a scrivere Parmigiano o Grana nel menu può costare caro. Lo sa bene un ristoratore di Merano finito negli ultimi giorni al centro della bufera per aver servito Grana Padano pur indicandolo come Parmigiano Reggiano. E ora sanzionato con 4mila euro di multa. Un errore non da poco, a detta del Consorzio di Tutela, che riaccende il dibattito nazionale sulla corretta denominazione dei prodotti Dop nei menu dei ristoranti. Eppure il caso altoatesino non è isolato: anche a Reggio Emilia, cuore pulsante della produzione del celebre formaggio a pasta dura, i Nas hanno sanzionato un pub per la stessa infrazione, colpendo sia il locale che il fornitore del formaggio grattugiato non conforme.

L’episodio in Alto Adige

In un ristorante di Merano la dicitura Parmigiano Reggiano mascherava l’effettivo utilizzo di Grana Padano nei piatti del locale. Stando a quanto riportato dalle pagine del Corriere dell’Alto Adige, a scoprire l’irregolarità e infliggere la multa sono stati gli agenti del Consorzio Tutela del Parmigiano Reggiano, impegnati in controlli costanti per proteggere il marchio del celebre formaggio emiliano. Per il ristorante altoatesino la multa è stata di 4mila euro, ma poteva andare peggio. Per questo tipo di violazioni la legge prevede sanzioni che possono arrivare fino a 13mila euro nei casi più gravi. Un’ammenda light motivata dal mancato intento di truffa. «Non c’era intenzione di frodare o ingannare il cliente», ha dichiarato l’Unione Commercio turismo e servizi dell’Alto Adige, intervenendo in difesa del ristorante. «Il ristoratore ha semplicemente scelto una dicitura per far capire meglio al cliente di che prodotto si stesse parlando».

Il problema è che usare il termine “Parmigiano” come sinonimo generico di formaggio da grattugia, seppur comune nel linguaggio quotidiano, entra in contrasto con le rigide norme che tutelano i marchi registrati e le denominazioni di origine protetta. Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono entrambi prodotti di eccellenza riconosciuti a livello internazionale, ma la legge è chiara: solo il formaggio prodotto secondo il disciplinare Dop nelle specifiche province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna a sinistra del Reno e Mantova a destra del Po può essere chiamato Parmigiano Reggiano. Qualsiasi altro formaggio, anche di alta qualità come Grana Padano, Trenitingrana o affini, deve essere indicato con il proprio nome o con diciture generiche come “formaggio grattugiato” o “formaggio stagionato”.

Il caso di Reggio Emilia

Le sviste non hanno interessato solo la provincia di Bolzano. A Reggio Emilia, terra di produzione del Parmigiano Reggiano, un pub è finito sotto la lente dei Carabinieri dei Nas e del Consorzio di Tutela del celebre formaggio emiliano. Nel corso di un controllo, gli ispettori hanno rilevato l’uso improprio del nome “Parmigiano” sul menu, mentre veniva effettivamente servito un formaggio non conforme al disciplinare.

Parmigiano su tagliere

Per questa violazione, il titolare del locale è stato multato per 2mila euro e segnalato all’Ausl per una serie di carenze igienico-sanitarie: contenitori per i rifiuti non idonei, pavimentazione danneggiata, deposito disordinato, mancata comunicazione del magazzino alle autorità competenti e assenza della lista degli allergeni. Non solo: al fornitore del pub è stata contestata una sanzione di 4mila euro per evocazione impropria del marchio, a causa della fornitura di formaggio grattugiato non conforme alle norme Dop. Durante lo stesso giro di ispezioni, un altro ristorante della città è stato multato per carenze igienico-sanitarie nella cucina e nel deposito, con una sanzione di mille euro.

Quando la dicitura fa la differenza

I casi di Merano e Reggio Emilia sono solo la punta dell’iceberg di un problema diffuso. Il Consorzio del Parmigiano Reggiano è da tempo impegnato in una battaglia per far riconoscere e rispettare il proprio marchio, difendendolo dall’utilizzo casuale e generico che se ne fa. «La mancanza di trasparenza lascia il pubblico in uno stato di incertezza sulla qualità e sull’origine del formaggio che viene utilizzato come ingrediente o servito a tavola per completare un piatto. Serve sensibilizzare i protagonisti della cucina e il pubblico di appassionati e controllare di più le attività ristorative», ha detto a IlGusto il presidente del Consorzio, Nicola Bertinelli. Indicare con precisione le denominazioni  nei menu non è un dettaglio secondario, ma una questione cruciale per tutelare il consumatore e valorizzare le eccellenze italiane. In un mercato sempre più esposto a contraffazioni e italian sounding, la trasparenza è l’arma principale per difendere l’autenticità del Made in Italy. Un’opportunità non solo per raccontare menù autentici, ma anche per evitare multe salate.

TI POTREBBE INTERESSARE ANCHE...

Corsi per Appassionati

Corsi per Professionisti

University

Master

© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati.

Made with love by Programmatic Advertising Ltd

Made with love by Programmatic Advertising Ltd

© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati