In Italia metà dei lavoratori nel settore della ristorazione vive sotto la spada di Damocle della precarietà. Non solo. Molti sono vincolati da contratti pirata, forme irregolari che li condannano a stipendi inferiori anche di 7 mila euro l’anno rispetto ai colleghi con contratti regolari. È questo il quadro allarmante emerso dalla tre giorni della Uiltucs a Firenze, che ha acceso i riflettori su un settore dove il lavoro povero è ormai la regola, non l’eccezione.
Lo ricorda bene il Corriere della Sera. Il settore dei servizi, che occupa circa 16,7 milioni di persone (il 69,9% dei lavoratori italiani), vede una presenza femminile predominante (51,7%) e una precarietà contrattuale che interessa il 33% dei lavoratori, ma che nel comparto della ristorazione arriva quasi al 50%. Inoltre, il tasso di copertura contrattuale nel terziario è inferiore all’80%, lasciando una “zona grigia” di quasi 2 milioni di lavoratori privi di adeguata tutela legale, con contratti spesso non chiari o non conformi ai contratti collettivi nazionali.
Dati, quelli presentati all’assemblea nazionale dell’11 giugno della sigla della Uil, che indicano una crescita significativa della precarietà. Tra il 2015 e il 2023, i contratti a termine nel terziario sono aumentati del 70%, trainati soprattutto dai contratti stagionali e a tempo determinato, mentre i contratti stabili sono cresciuti solo del 9,5%. La precarietà colpisce in modo più marcato le donne, con un incremento del 75,3% dei contratti precari, e i giovani under 35, che registrano un tasso di precariato del 46,7%. A livello geografico, la situazione è più critica nel Sud Italia, dove i lavoratori atipici rappresentano il 38,5% del totale, rispetto al 32,1% del Centro e al 30,7% del Nord.
Il nodo centrale, tuttavia, è quello salariale. Nel settore terziario, il potere d’acquisto delle retribuzioni è calato del 9% rispetto al 2015, con una media annua di circa 21 mila euro nel 2023. Nel comparto della ristorazione, i lavoratori stabili guadagnano 10 mila euro lordi annui, mentre i precari si fermano a quasi la metà. Anche da questo punto di vista, le differenze di genere sono evidenti: le donne precarie guadagnano mediamente poco sopra i 9 mila euro lordi all’anno contro i quasi 11 mila euro degli uomini.
I contratti pirata, vere e proprie forme di dumping contrattuale, costituiscono un problema aggiuntivo. Lavoratori con le stesse mansioni e condizioni possono percepire salari molto diversi a causa di contratti illegittimi o firmati da sindacati non riconosciuti. La differenza salariale annua può superare i 7 mila euro tra un lavoratore con contratto regolare e uno con contratto pirata.
Per contrastare questa situazione, la Uiltucs ha avanzato la “Proposta 25-50-100”. che punta a garantire un minimo di 25 ore settimanali e maggiorazioni salariali fino al 100% per le domeniche e i festivi, con l’obbligo per le aziende di dichiarare esplicitamente quale contratto collettivo viene applicato, per eliminare l’incertezza e gli abusi. Il sindacato lancia un allarme e una sfida: restituire dignità e tutele a milioni di lavoratori invisibili ma indispensabili per l’economia italiana. Come sottolineato da Paolo Andreani, segretario generale della Uiltucs, «il lavoro grigio e precario ruba i sogni di tante persone, per gli orari impossibili e le poche ore di lavoro che condannano 600 mila part-time involontari, in prevalenza giovani e donne, alla povertà». Ecco perché è necessario garantire condizioni di lavoro dignitose, salari adeguati e trasparenza contrattuale in un mercato del lavoro che, al momento, appare disordinato e lento nel fornire risposte concrete.
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