Negli ultimi giorni, due notizie hanno scaldato – è il caso di dirlo – il dibattito pubblico sul lavoro dei rider in Italia. La prima: Glovo annuncia un sistema di bonus economici per incentivare le consegne durante le ondate di calore. Qualche spicciolo in più. La seconda: il dietrofront. Per capire cosa significhi davvero lavorare in queste condizioni, basta leggere l’intervista pubblicata dal Corriere della Sera a un rider di Milano.
Ore 12 a Milano, piazza 24 maggio. Il termometro segna 33 gradi, i rider arrivano uno alla volta e cercano ombra sotto Porta Ticinese. Alcuni si svuotano bottiglie d’acqua sulla testa, altri si siedono a terra con il telefono in mano, in attesa della prossima consegna. Tra loro c’è Yousuf – nome di fantasia – 50 anni, pakistano, da sei anni in sella per una delle piattaforme più note di food delivery. Vive in un centro di accoglienza in zona Saponaro, nella periferia sud di Milano. Si sveglia alle nove, pedala fino a Porta Ticinese per iniziare il turno a mezzogiorno e smette solo alle tre di notte. Non ci sono festività. Le consegne – hamburger, pollo fritto, raramente qualcosa di più sano – scandiscono una routine alienante.
«Il caldo è pesante, sì. Ma il problema vero sono i soldi», dice. Ogni corsa gli frutta 2,50 euro lordi. «Il 2 per cento in più di una miseria è sempre una miseria. Parliamo di cinque centesimi», commenta riguardo ai bonus caldo poi ritirati da Glovo. «E comunque dobbiamo lavorare, non possiamo fermarci per il caldo. Il problema semmai sono le paghe da fame». Il sistema è crudele nella sua efficienza: chi non accetta ordini, viene penalizzato. Chi lavora troppo, si consuma. E chi cerca di difendersi, spesso viene ignorato. «Otto chilometri per 2 euro e cinquanta centesimi lordi mi sembrano eccessivi» afferma rifiutando un ordine diretto verso la periferia nord.
La sua bici, comprata usata a 890 euro, è a sue spese anche quando si rompe: «L’azienda non copre nulla». Conosce le strade di Milano a memoria, il navigatore non lo apre più. Ma anche la fatica quotidiana è diventata automatica. «Una volta mi hanno pagato con una banconota da 50 euro falsa. Ora accetto solo ordini prepagati tramite app», racconta. Di notte evita certe zone dopo che «alcuni ubriachi mi hanno preso a bottigliate, giusto per divertirsi». Alle tre del pomeriggio, dopo tre ore e quattro consegne, ha guadagnato 10 euro e 26 centesimi, mancia compresa. Si siede all’ombra di un portico per rifiatare, ci sono 35 gradi.
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