Quando l’amministrazione Trump ha innalzato i dazi su tè e caffè importati, in pochi avrebbero immaginato che a beneficiarne potesse essere una pianta antica, spesso trascurata e quasi dimenticata. Si tratta dello yaupon, l’unico arbusto contenente sostanze stimolanti made in America. Una sorta agrifoglio, radicato nella tradizione indigena degli Stati Uniti meridionali già prima dell’arrivo degli europei, che negli ultimi mesi sta vivendo una vera e propria rinascita proprio grazie a quella che inizialmente appariva come una serie minaccia per il mercato delle bevande naturali energizzanti. Le tariffe introdotte hanno infatti colpito in modo particolare Brasile e Colombia, principali fornitori di caffè arabica per gli Stati Uniti, spingendo il costo di una tazza di caffè al bar a oltre i 6 dollari. In parallelo, si sono alzati i dazi sul tè importato da Cina e India, creando un vuoto nel palato degli americani. Un contesto che ha favorito l’affermarsi del tè prodotto da questa pianta autoctona, imponendosi come alternativa al tè matcha o al chai tea.
Non si tratta di una novità assoluta. Lo yaupon, che cresce spontaneamente dal Nord Carolina fino al Texas orientale, era già popolare tra i colonizzatori durante la rivoluzione americana, basti pensare al famoso Boston Tea Party del 1773. Mentre si gettava a mare il tè tassato dagli inglesi, i ribelli americani sorseggiavano tisane di piante locali, tra cui proprio lo yaupon. Fu così che questa pianta si affermò come simbolo di resistenza culturale e politica, pur tornando in secondo piano poco dopo la guerra per via del commercio globale e della disponibilità di tè straniero.
Oggi, dopo oltre 250 anni, questo antico tè potrebbe finalmente ottenere il giusto riconoscimento. Merito di un piccolo ma appassionato gruppo di produttori – gli “yauponers” – che coltivano la pianta e la trasformano in bevanda grazie a tecniche che ricordano quelle tradizionali del tè verde e nero. Ne è un esempio CatSpring Yaupon in Texas, fondata da Abianne Falla, che, come raccontato dal Washington Post, sfrutta collaborazioni con ranch locali per combattere l’idea che questa pianta sia semplicemente un’erbaccia da eliminare. Una produzione artigianale, che si sta facendo spazio, aggiungendo opzioni biologiche e confezionamenti made in Usa, per sottolineare la loro differenza rispetto ai prodotti importati.
Nonostante le ottime premesse, la sfida più grande resta quella culturale. L’americano medio è infatti abituato a caffè e tè importato, spesso consumato on the go. Difficilmente conosce la bevanda a base yaupon, non sa come prepararlo. Figurarsi integrarla nelle abitudini quotidiane. Molti addirittura ne ignorano le vere proprietà, offuscati dal nome botanico Ilex vomitoria che ha promosso errate idee sulla tossicità e sugli effetti collaterali della pianta. È anche per questo che gran parte dell’industria del tè prodotto da queste piccole bacche rosse investe nell’educazione del pubblico e nella diffusione delle tradizioni indigene legate a questa bevanda. Grazie a campagne come quelle di Project CommuniTea di Crystal Stokes, e con l’ingresso in listino di marchi come Harney & Sons – l’azienda americana specializzata nella produzione e vendita di tè di alta qualità, che lo propone come blend locale – la situazione sta cambiando. Una spinta verso il locale, che, per colpa di Trump, potrebbe finalmente far diventare questo storico tè la star che attendeva da secoli.
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