In Cina il Covid è un ricordo lontano. E i ristoranti vanno alla grande

4 Nov 2020, 13:28 | a cura di
In Cina i focolai di Covid sono stati bloccati molto tempo fa, nonostante le megalopoli con la più alta densità di popolazione al mondo.

Sono passati circa 10 mesi e – soprattutto – oltre 85mila positivi e 4.500 decessi, da quando il primo caso di Covid è stato intercettato in Cina. Ma sembra passato remoto. E anche Wuhan, dove tutto è cominciato, non registra nuovi contagi da metà maggio. Ancor di più se si pensa ad altre zone. Merito di una coincidenza di fattori: la tempestività nell'isolare virus e città, la capacità di mettere in campo velocemente imponenti contromisure (basti pensare ai 14mila punti di controllo sanitari negli snodi dei trasporti pubblici), test a tappeto (circa 9 milioni in poche settimane, solo a Wuhan), creazione di spazi per positivi con sintomi lievi, controlli rigidi e forti limitazioni alla libertà di movimento con tanto di droni a controllare, e poi l'attitudine al rispetto delle regole e un senso di responsabilità diffusa – chiamiamola anche memoria – rispetto ai rischi epidemiologici, eredità lasciata dalla Sars 17 anni fa.

La famosa strategia delle 3T: testare, tracciare, trattare. Quella che ha permesso di riconsegnare alla Cina e ai suoi abitanti, una qualche normalità: “la sensazione che ho, parlando con i ragazzi che sono lì e vedendo l'andamento del lavoro, è che vivono la situazione che vorrei avere in Italia” dice Chicco Cerea, che poi spiega: “la gente circola tranquilla, è serena, le scuole sono aperte, i trasporti funzionano e, per quanto riguarda il mio settore, i locali sono pieni”. La famiglia Cerea si appresta ad aprire il suo secondo ristorante a Shanghai, un anno e mezzo dopo il primo Da Vittorio nella megalopoli cinese. Una città da 25 milioni di abitanti. “25 milioni di abitanti e 'solo' 2mila casi” aggiunge Ricardo La Perna, chef di Otto e Mezzo a Shanghai, pluripremiato ristorante di Umberto Bombana, che macina consensi su consensi in Oriente, a suon di tartufi e grandi vini. “Ci sono aree completamente incontaminate” continua, “per esempio nello Yunnan ci sono stati solo sei casi e anche altre zone sono passate quasi indenni”.

otto e mezzo Shanghai uovo e tartufo

Otto e Mezzo Shanghai

Shanghai. La chiusura e la ripartenza

Regole ferree, rigidamente osservate, sin dall'inizio: “qui a Shanghai c'è stata una chiusura di circa 20 giorni, con l'esercito in strada a controllare, verso la fine di gennaio”, in concomitanza con il capodanno cinese per il quale c'è una settimana di ferie. “Verso la metà di febbraio già in alcune zone si poteva riaprire. Bisogna considerare” spiega “che Shanghai è grande come mezza Lombardia, quindi la riapertura non è stata uguale per tutti, ma cambiava a seconda che ci fossero stati casi o meno nelle varie aree della città, magari” continua“eri libero di uscire ma non di lavorare e tenere aperta la tua attività”. Il nulla osta per Otto e Mezzo è arrivato intorno al 20 di febbraio “ma abbiamo aperto il 2 marzo, perché alcuni di noi erano fuori”.

Senza aiuti dallo stato - “ci sono state esenzioni dalle tasse e un supporto al 100%, ma soldi no” aggiunge La Perna - la ripartenza è stata lenta: “abbiamo sofferto un po' tutto marzo, ma poi siamo tornati in carreggiata, anche se con numeri diversi e una clientela diversa”. Il momento più critico è durato circa un mese e mezzo, ma dalla metà di aprile le cose hanno ripreso ad andare sia a Shanghai che a Pechino “dove però c'è stato un altro picco e un conseguente ulteriore semi lockdown”. I motivi? “qualcuno diceva che arrivava dal mercato del pesce”.

da vittorio shanghai.

Da Vittorio a Shanghai

Come cambia la clientela

“Si è tornati al ristorante, ma rispetto a prima vedo una piccola modifica nei consumi: ora si mangia più cibo cotto, perché c'è chi pensa che ci sia una relazione tra la diffusione del coronavirus e il pesce crudo” racconta La Perna “sono idee legate ad alcuni principi della medicina cinese” ma - a parte questo - i clienti ci sono, nonostante l'assenza degli stranieri: “ora però, stiamo facendo numeri come e più dello scorso anno, con una clientela locale, adesso qui c'è molto movimento”. Gli fa eco Cerea “i ristoranti sono frequentati come sempre, anzi abbiamo risultati superiori a prima”.

da vittorio shanghai. sala

Da Vittorio a  Shanghai

Le regole a Shanghai

“Dalla riapertura non abbiamo regole rigide, a parte l'obbligo di mascherina nel servizio in sala, poi ovviamente abbiamo sempre gli igienizzanti per le mani a disposizione dei clienti”. La temperatura viene presa ancora, ma da maggio la mascherina è facoltativa “si usa sui mezzi pubblici ed è obbligatoria in alcuni posti come banche e posta. E poi” aggiunge “è obbligatorio avere una app per il tracciamento”. Una delle 3 T. Indispensabile per tenere sotto controllo un'area così densamente abitata: “in una città grande come Shanghai” fa Cerea “nel dubbio isolano non solo la persona positiva, ma le mille che possono averla incontrata. Questa strategia di tracciamento e isolamento ha creato un'isola felice”.

da vittorio shanghai. bancone

Chi arriva a Shanghai da fuori è sotto osservazione per due settimane, “anche io e mia moglie quando siamo tornati” racconta Riccardo “siamo stati in quarantena a casa, con un dispositivo sulla porta che segnalava ogni volta che veniva aperta, e dei medici che venivano in casa per controllare la temperatura due volte al giorno”. E la privacy? “tutti dicono che in Cina le realtà non si conosce davvero perché c'è un regime: io vivo qui da 13 anni, non ho questa sensazione, al contrario mi sento sicuro, e dico che questo monitoraggio serve, si fa quel che si deve senza possibilità di deroga alle regole, le persone sono responsabili. E” conclude “non dico che sia scomparso del tutto il virus, ma grazie a questo approccio si vive quasi normalmente”.

In uno luogo in cui transitano migliaia di persone al giorno, il controllo tempestivo e l'isolamento di potenziali focolai è fondamentale “la quarantena è obbligatoria, esistono anche strutture apposite e gratuite per passare il periodo di isolamento”.

Bottega Pechino

La sala di Bottega Pechino

Il Covid a Pechino

A Pechino da 7 anni, Daniele Salvo oggi ha 6 ristoranti di cui 2 aperti negli ultimi tre mesi. “Il primo è stato nel 2014, Bottega, un ristorante pizzeria con piatti napoletani di tradizione come rigatoni alla genovese e frittatina di maccheroni”. Nel 2016 il secondo, e poi da lì ha differenziato la proposta con un ristorante messicano, uno giapponese e gli ultimi due - ad agosto e a ottobre - di cucina romana, Forno. “Aprire un nuovo ristorante in questi ultimi mesi è stato diverso, c'è più ansia, gli investimenti non si fanno certo a cuor leggero in una situazione delicata come quella attuale, ma per il resto è stato come prima: stesse regole, stesse cose da fare”.

La situazione nelle strade

Per la strada si incontra ancora qualcuno con la mascherina “ma qui la indossavano anche prima, anche per un semplice raffreddore. Ormai” commenta “è parte della cultura”. In alcuni luoghi pubblici, qui come a Shanghai, ci sono ancora delle regole, “per esempio in banca o alla posta, controllano la temperatura e bisogna avere la maschera”, ma la situazione complessiva sembra essersi normalizzata. “Certo, abbiamo ancora i consueti dispositivi di protezione e facciamo attenzione alle persone quando entrano ed escono dai ristoranti, ma è tutto”. Ben diverso da qualche mese fa, quando gli accertamenti erano costanti: “essendo la capitale c'erano molti più controlli, veniva la polizia a verificare se tutti indossavamo le protezioni obbligatorie e a contare il numero di clienti”.

bottega Pechino pizza

Bottega a Pechino

Le regole per i ristoranti

“A Pechino obblighi severi non ci sono mai stati, neanche prima” racconta. “A gennaio abbiamo chiuso per una settimana per il capodanno cinese, poi non c'è stata nessun divieto, a parte un limite di capienza del 50% dei coperti abituali. Ma adesso non è più così”. Ma allora è andato tutto bene? “No, i primi due o tre mesi sono stati drammatici, perché anche se non c'era nessun divieto, la maggior parte della gente non usciva di casa”. E allora cosa è successo? “Abbiamo sfruttato quel periodo per rafforzare le aree in cui eravamo più deboli in alcuni ristoranti: standard, marketing eccetera. Ma comunque non era tutto fermo: qualcuno usciva, e noi facevamo un po' di cassa. E poi” aggiunge “abbiamo avuto delle agevolazioni dai proprietari dei locali”. Nessun fondo statale, invece.

forno Pechino

Forno a Pechino

Controlli agli ingressi

Il controllo per chi arriva continua ancora oggi, ma le frontiere si sono riaperte, con test all'arrivo e l'obbligo di quarantena “si viene scortati in strutture dove si sta per 2 settimane, a spese proprie”, per impedire il contagio di ritorno. “I focolai interni sono stati spenti, ma qui è più facile: c'è più responsabilità, le persone rispettano le regole. Ora si devono evitare nuovi casi da fuori”. Non solo. “Se in un volo almeno 5 positivi quella tratta viene bloccata per 2 settimane, se i positivi sono almeno 9, la tratta viene bloccata per un mese”.

Come vanno le cose ora

La pandemia non è passata senza danni nelle megalopoli del Paese del Dragone, dove la competizione è feroce: molte attività commerciali hanno chiuso, o hanno dovuto fare di tagli, ma chi è sopravvissuto ne è uscito più forte. In giro ristoranti e centri commerciali sono pieni. “Passata la tempesta il business è cresciuto: eravamo già in attivo, ma ora ancora di più”.

 

a cura di Antonella De Santis

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram