Pubblicata la nuova black list Usa: il vino italiano è di nuovo a rischio dazi

25 Giu 2020, 15:58 | a cura di
Da una parte l’indagine sulla digital tax, dall’altra il nuovo carosello relativo al contenzioso Boeing-Airbus: non c’è pace per il Made in Italy. Sul sito dell’Ustr sono aperte entrambe le consultazioni: ad agosto il verdetto finale

Se l’emergenza Covid avesse distolto l’attenzione dalle questioni geopolitiche, il calendario non sembra intenzionato a fare lo stesso e questa estate sarà decisiva per due questioni che riguardano entrambe il mercato statunitense e che potrebbero ripercuotersi sul comparto vino: da una parte il contenzioso Boeing-Airbus, dall’altra l’indagine sulla digital tax. Ma andiamo con ordine.

Il vino italiano nella lista del prossimo carosello dazi

Dove eravamo rimasti? Era febbraio quando - prima di essere travolti dalla pandemia- l’aggiornamento della lista dei prodotti colpiti da dazio Usa al 25% graziava il vino italiano, ma solo a “tempo determinato”. La formula del carosello, infatti, spingeva tutto in avanti con un “ci rivediamo ad agosto”. Promessa a quanto pare mantenuta: come preannunciato da Tre Bicchieri scorso, con l’articolo di copertina “Non solo Covid. In Usa torna l’incubo dazi”, è stata appena pubblicata la nuova lista dei prodotti che potrebbero essere colpiti dalle tariffe aggiuntive e il vino italiano, come si temeva, c’è. Praticamente la lista di questo terzo carosello è identica a quella dello scorso dicembre. Adesso si torna sul tavolo da gioco con le stesse carte e gli stessi giocatori: rischi e possibilità sono identici a quattro mesi fa.

I prossimi passaggi

Sul sito di Ustr (Rappresentanza Usa per il commercio) sarà attiva dal 26 giugno la pubblic consultation: la deadline per partecipare ai commenti è stata fissata al 26 luglio, mentre la decisione finale sarà presa entro metà agosto (la scadenza dovrebbe essere quella del 12 agosto). A dirla tutta, poi, l’Europa sta aspettando l’altra sentenza Wto contro gli aiuti di stato Usa a Boeing, attesa sempre per il mese di agosto, dopo il rinvio primaverile dovuto al Covid: se questa andasse a favore del Vecchio Continente, darebbe un’arma in più all’Europa che a quel punto potrebbe rispondere con dei contro-dazi o comunque usare la sentenza per avere voce in capitolo nel contenzioso.

Il rischio dell’effetto combinato dazi-Covid

Intanto, però, il momento è delicato per tutti e, complice il Covid, anche gli operatori e la ristorazione a stelle e strisce sono in ginocchio: colpire il vino, oggi più che mai, non gioverebbe a nessuno. “La possibilità di una nuova guerra commerciale con l’imposizione di ulteriori dazi da 3,1 miliardi di dollari” è il commento a caldo di Coldiretti “rischia di avere effetti devastanti sul settore agroalimentare Made in Italy già colpito lo scorso 18 ottobre da tariffe aggiuntive del 25% su circa mezzo miliardo di euro di esportazioni di prodotti agroalimentari nazionali (tra cui Parmigiano Reggiano, Grana Padano, mortadelle). Occorre impiegare tutte le energie diplomatiche per superare inutili conflitti che rischiano di compromettere la ripresa dell’economia mondiale duramente colpita dall’emergenza coronavirus”.

Digital tax: cosa rischia l’Italia?

Ma non è finita. L’altra questione che grava sulle esportazioni italiane risponde al nome di “digital tax”, ovvero il prelievo fiscale che colpisce i giganti dell’online, quali Amazon, Google, Apple e Facebook. L’Italia di fatto ha già adottato la misura nel bilancio 2020 (prelievo del 3% sui ricavi superiori a 750 milioni di euro), sebbene la tassa sarebbe valida solo dal 2021. Lo scorso 2 giugno il rappresentante del commercio Usa ha comunicato l’avvio di nuova indagine contro diversi Paesi (tra cui anche l'Italia, insieme ad Austria, Brasile, Repubblica Ceca, India, Indonesia, Spagna, Turchia e Regno Unito e anche Unione Europea al completo): se verrà stabilito che la tassa è discriminatoria, la rivalsa sarà avviata su una lista di prodotti resa pubblica nelle prossime settimane. Anche in questo caso, il vino sarebbe un obiettivo sensibile per colpire l’Europa e l’Italia. Lo scorso anno la minaccia era stata rivolta allo Champagne, poi esonerato dopo la rassicurazione del presidente Macron di trovare una soluzione a livello internazionale. Stavolta basteranno rassicurazioni di questo tipo? L’Italia che ha già adottato la misura, difficilmente vi rinuncerà, in un momento in cui il Tesoro ha bisogno di risorse per far fronte all’emergenza.

Le preoccupazioni e l’appello dell’Unione Italiana Vini

“Siamo preoccupati” spiega il segretario dell’Unione Italiana Vini Paolo Castellettiperché se gli Stati Uniti rispetteranno il calendario dello scorso anno – apertura delle consultazioni a luglio con chiusura a novembre – arriveremmo nel momento caldo delle elezioni americane e sappiamo quanto alzare la voce a livello internazionale possa essere, per un presidente in difficoltà, una carta importante da giocare in campagna elettorale. Vedremo”. Intanto, l’appello Uiv alle istituzioni europee è di “riprendere i negoziati con gli Usa: chiudere i mercati” conclude l’associazione “azzererebbe tutti gli sforzi fatti fino ad ora e sarebbe letale in aggiunta all’emergenza Covid”.

La lettera Fivi: “No a guerra dei dazi con gli Usa”

Anche Fivi si è rivolta alle istituzioni, scrivendo una lettera ai ministri Teresa Bellanova e Stefano Patuanelli proprio per richiamare l’attenzione sulla nuova minaccia relativa alla digital tax. La richiesta della federazione dei vignaioli è di posticipare l’entrata in vigore della tassa, attenendosi alla decisione collettiva all’interno dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) per evitare che prodotti italiani vengano tassati per rappresaglia. “In un quadro di commercio internazionale più ampio, crediamo che la strategia dei dazi e delle ritorsioni sia quanto di meno auspicabile per la ripresa dell'economia globale” ha scritto la presidente Matilde PoggiLa difficoltà economica e finanziaria è grande e non possiamo permetterci l’imposizione di nuovi dazi che metterebbero a rischio le esportazioni verso gli Usa, primo mercato estero per le nostre aziende”.

a cura di Loredana Sottile

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