Quando si parla di Abruzzo oleario ci si riferisce a un territorio che si conferma tra i più interessanti in fatto di extravergine di qualità. Quello che però più stupisce è la grande destrezza e dinamicità con la quale l’Abruzzo è stato capace di mettersi in discussione negli ultimi 10-15 anni, operando una piccola rivoluzione nella produzione di olio. Quello che prima era un territorio dove l’autoconsumo era la regola, oggi è una delle zone più interessanti e vivaci che riesce a combinare una produzione di alta qualità con packaging accattivanti e una grande attenzione verso il consumatore finale. Qui le produzioni d’eccellenza assaggiate nell’ultima edizione della guida Oli d’Italia del Gambero Rosso, realizzata in collaborazione con Banca Monte dei Paschi di Siena.
L’ultima raccolta è stata caratterizzata da una significativa diminuzione della produzione, stimata intorno al -32% rispetto all’anno precedente, a causa di condizioni climatiche avverse. La qualità dell’olio prodotto però si è mantenuta elevata, con un alto contenuto di antiossidanti e bassa acidità, grazie a pratiche agricole più consapevoli e tempestiva molitura delle olive.? Gli ultimi dati ci dicono che la regione conta un totale di 293 frantoi attivi e una superficie olivicola di circa 38.500 ettari, rappresentando poco meno del 4% della produzione nazionale.
Al lavoro scrupoloso in frantoio si aggiunge lo studio costante sulle varietà autoctone, come Dritta, Gentile di Chieti, Toccolana e Intosso i cui oli anno dopo anno stanno incrementando la loro qualità media. La Dritta, quando è lavorata bene e dall’invaiatura appena accennata, si presenta con un fruttato medio e note olfattive che rimandano all’erba tagliata e carciofo, per poi esprimere potenza al palato nell’amaro e nel piccante. Più delicatezza, invece, per quanto riguarda la Gentile di Chieti, con la sua trama aromatica vegetale e di mela e le sensazioni amare e piccanti più contenute e morbide. Con la Toccolana si torna a fruttati di maggiore intensità che giocano sulle note di erba tagliata, carciofo e frutta secca che rimanda alla noce, seguite poi da una buona potenza gustativa. L’Intosso a livello di profumi si distingue in maniera più marcata dalle precedenti in quanto si caratterizza per i profumi di pomodoro, erbe aromatiche, ma anche erba tagliata e rucola, mentre al palato gode di grande equilibrio e persistenza.
Le prime tracce certe di coltivazione dell’olivo in Abruzzo risalgono all’epoca romana. Il riferimento all’olio d’oliva prodotto nel territorio dell’antica Regio IV Samnium, che includeva l’attuale Abruzzo, si può trovare in testi di illustri autori latini come quelli di Columella e Plinio il Vecchio, ma a confermare il consumo di oro verde ci sono anche ritrovamenti di anfore, frantoi rudimentali e iscrizioni che testimoniano la diffusione dell’olivicoltura già in epoca precristiana. Durante il Medioevo, la coltivazione dell’olivo venne mantenuta soprattutto nei monasteri e nei feudi dei signori locali. I monaci benedettini, in particolare, ebbero un ruolo importante nel conservare e tramandare le tecniche agricole, inclusa la spremitura dell’oliva.
In Età Moderna l’olivo si diffuse maggiormente lungo la fascia collinare costiera, favorita dal clima mite e dalla natura del terreno, e l’olio veniva utilizzato non solo come alimento, ma anche per l’illuminazione, nella saponificazione e nei commerci, specialmente verso Napoli e la costa adriatica. Con l’unificazione d’Italia, si ebbe una progressiva riorganizzazione del settore agricolo e l’olivo divenne una delle coltivazioni principali nelle province di Chieti, Pescara e Teramo. Dopo la crisi del Dopoguerra, l’olivicoltura abruzzese ha conosciuto un nuovo slancio dagli anni ’80 in poi, puntando sulla qualità, sulla produzione biologica e sul marchio Dop. In particolare, relativamente alle denominazioni territoriali, l’Abruzzo ha il primato di aver avuto riconosciuta la prima Dop dell’olio, Aprutino Pescarese, ottenuta insieme alla Sabina e a Brisighella nel 1996.
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