Le raviole bolognesi di San Giuseppe: cosa sono e come farle a casa con la ricetta di Gino Fabbri

18 Mar 2024, 13:05 | a cura di
A Bologna il 19 marzo è sinonimo di raviole: friabili dolcetti a forma di mezzaluna che racchiudono un goloso ripieno

In Emilia Romagna, soprattutto a Bologna e provincia, i dolci di San Giuseppe sono le tradizionali raviole, specialità di origine contadina che un tempo si preparava per festeggiare l’arrivo della primavera e l’inizio del lavoro nei campi.

Cosa sono le raviole di San Giuseppe

Le raviole sono una specialità di origine contadina che un tempo le ‘rzdore, le massaie, preparavano per festeggiare l’arrivo della primavera. Ormai appannaggio quasi esclusivo di forni e pasticcerie, rappresentano tuttora l’emblema della festa e sono immancabili sulle tavole dei bolognesi. Nel nome e nella forma a mezzaluna richiamano la pasta ripiena, dove la sfoglia all’uovo è sostituita da una sorta di pasta frolla, più morbida e rigonfia. Le raviole classiche sono ripiene di mostarda bolognese, una confettura scura e corposa che unisce note dolci e aspre e si realizza principalmente con mele cotogne e pere cotogne. Richiede una lunga preparazione per arrivare alla giusta consistenza e sapore, e la ritroviamo come ripieno pure di un altro dolce locale, la pinza.

Le raviole: i dolci della primavera tra sacro e profano

Sposo di Maria e padre putativo di Gesù, San Giuseppe in Italia si celebra il 19 marzo. Dichiarato dalla Chiesa cattolica già dal 1871 protettore dei padri di famiglia e patrono della Chiesa universale, viene omaggiato lungo tutto lo Stivale da riti e tradizioni che variano di zona in zona. Una data che coincide con l’equinozio di primavera, spartiacque che segna la fine dell’inverno e l’inizio della nuova stagione. Nelle zone rurali il risveglio della natura era omaggiato da feste, canti e balli con cui ci si augurava la prosperità del raccolto e si salutava l’inizio del lavoro nei campi, per molte famiglie l’unica fonte di sostentamento. È così che nasce la storia delle raviole, dolcetti di carattere e dal tipico sapore rustico, cui è legata un’usanza spettacolare. Era infatti tradizione appendere le raviole a dei fili con i quali si adornavano le siepi lungo le strade dei paesi creando scenografiche sfilate di dolcezza. Venivano messe a disposizione di chiunque passasse, adulti e bambini, che a piedi o in bicicletta - magari dopo la messa - potevano farne una scorpacciata. Oggi si consumano a ogni ora del giorno, ottime a merenda o a fine pasto, accompagnate da un buon bicchiere di vino.

Quella delle raviole è una tradizione molto sentita in borghi come Fiesso di Castenaso, dove ancora oggi vengono preparate dalle volontarie della Parrocchia di San Pietro e si possono acquistare anche su prenotazione. Va citata inoltre la secolare “Festa della Raviola” di Trebbo di Reno, in provincia di Castelmaggiore, arrivata alla 212sima edizione. Una sagra molto antica che risalirebbe addirittura al 1600, quando concludeva la celebrazione religiosa delle solenni Quarantore, nel cattolicesimo una pratica devozionale che consiste nell’adorazione per quaranta ore consecutive del Santissimo Sacramento esposto sull’altare a commemorazione del periodo nel quale il corpo di Gesù rimase nel sepolcro.

Le raviole bolognesi oggi

Le raviole si presentano con un involucro dorato e ricoperte di zucchero, ma anche “in rosso”, colorate dalla bagna all’alkermes. Eredità di un tempo, questa versione nasce come una sorta di “ricetta di recupero”. Le raviole, infatti, si conservano piuttosto a lungo, ma l’involucro esterno dopo qualche giorno tende a seccarsi. Per ammorbidirlo e renderlo nuovamente molto appetibile, il “trucco” era quello di bagnarle nell’alkermes, liquore che quasi tutti avevano in casa. Come spesso succede per i dolci dalla storia antica, anche in questo caso nel tempo si sono diffuse diverse varianti. Parlando di farciture, accanto alla tipica mostarda sono ormai entrate a far parte della tradizione i ripieni a base di altre confetture (soprattutto quelle di prugna o di albicocca) e di crema pasticcera, ma non mancano nemmeno le raviole al cioccolato o con crema di nocciola, e chi  le propone glassate al cioccolato.

Raviole: la ricetta di Gino Fabbri

La ricetta è per circa 25 raviole

Per le raviole

• 250 g di farina debole
• 8 g di lievito per dolci
• 1 g di sale
• 100 g di burro morbido
• 88 g di zucchero
• 1 uovo
• 25 g di panna
• 1,5 g di scorza di limone grattugiata
• 3 g di estratto di vaniglia
• 125 g di mostarda bolognese

Per la bagna all'alkermes

• 95 g di Alkermes
• 13 g di zucchero semolato
• 24 g di acqua

Procedimento

In una ciotola setacciate la farina, il lievito baking e il sale, poi unite il burro morbido e la panna. Quando la massa è amalgamata aggiungete le uova, la scorza di limone grattugiata e l’estratto di vaniglia. Impastate bene il composto fino a quando gli ingredienti saranno completamente incorporati. Ricoprite la pasta con la pellicola e lasciatela riposare in frigorifero per un paio d'ore circa. Stendete l'impasto fino allo spessore di circa mezzo centimetro, e con un coppa pasta di 10 cm di diametro ricavate dei cerchi. In una metà disponete un cucchiaino di mostarda bolognese, poi ripiegate a formare una mezzaluna facendo aderire bene i bordi. Cuocete le raviole in forno a 180° C per 12-15 minuti poi fatele raffreddare prima di inzupparle nella bagna all'alkermes.

Bagna all’alkermes

In una casseruola, realizzate uno sciroppo con l'acqua e lo zucchero: quando arriva a bollore togliete dal fuoco, e una volta tiepido aggiungete l'alkermes. Scaldare in seguito la bagna fino alla temperatura di 60-65 ° C (in questo modo le raviole la assorbiranno meglio), a questo punto immergete le raviole 4/5 minuti per lato, poi toglietele con l’aiuto di una forchetta (senza forarle) e appoggiatele su una griglia (oppure su carta da forno) e infine passatele nello zucchero semolato.

Mostarda bolognese

• 1 kg di mele cotogne
• 200 g di pere cotogne
• 2 arance
• Il succo di 1 limone e la sua buccia grattugiata
• 400 g di prugne essiccate
• 200 g di pere non mature
• 600 g di zucchero
• 1 l di acqua

Procedimento

Pulire la frutta e tagliarla a cubetti, unire gli altri ingredienti e lasciare riposare per 12 ore. Passato questo tempo, aggiungere l’acqua e cuocere fino a portare a una temperatura di 105°C (o una densità di 64 ° brix). Per capire quando la confettura è arrivata alla giusta consistenza, si può usare anche il vecchio ma sempre utile “sistema della nonna”: ponendo un cucchiaio di confettura su un su un piattino, questa non dovrà colare. Invasare e sterilizzare.

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