Dopo la riapertura, nella nuova scintillante sede, de I Pupi, il 9 maggio scorso, Tony Lo Coco e Laura Codogno hanno completato, con l’avvio, lunedì 16 giugno, di TuMa – Osteria di nuova generazione – la ridefinizione delle attività di famiglia sul fronte dell’offerta gastronomica: da una parte c’è, più bello e funzionale che mai, il locale del fine dining, quello che ha fatto la fama (meritata) della coppia, dove si porta avanti as usual la cucina di ricerca e sperimentazione, quella “alta” che piace a una certa clientela, dall’altra si propone una selezione di piatti più semplici e ancorati alle tradizioni. Golosi di tutte le forme di manipolazione del cibo (alte e basse, per capirci), laici e senza pregiudizi, poco inclini a lodare e biasimare senza adeguate motivazioni (fatto salvo il rispetto assoluto per chi lavora), siamo andati a dare un’occhiata (e a mangiare).
Qualcosa, intanto, sugli spazi: TuMa occupa quelli raffinati della prima versione de I Pupi, poco più di venti posti raccolti nella saletta e altrettanti nel piacevole dehors coperto, con tavoli ben distanziati e comodi e mise en place di design, sobria e lineare. E come osteria di nuova generazione, come è opportunamente definita, è una gran bella sorpresa e un gran passo in avanti. Premesso che la carta delle vivande segue le stagioni e dipende dalle consegne di casari, pescivendoli, ortolani e allevatori (tutte le materie prime sono impeccabili), si notano (ha la sua rilevanza: è il primo elenco di piatti in assoluto all’apertura) 9 antipasti, 7 primi piatti e 6 seconde portate, fra carne e pesce (oltre a non pochi contorni e dessert), un numero ben calibrato per chi vuole fare cucina di qualità.
Ma entriamo nel merito: le proposte (almeno al momento), si rifanno a pietanze ancora abbastanza consuete (non troppo!) nelle famiglie palermitane e bagheresi (Tony è di Palermo, Laura bagherese) con qualche allegra e giocosa divagazione (vedi il vitello tonnato, di sicuro non ereditato dalla dominazione piemontese della Sicilia fra il 1713 e il 1720, quando capitale era Torino e regnava Vittorio Amedeo II di Savoia, e tenuto altresì conto che la carne, sino agli anno ’60 del Novecento, era roba esclusiva per ricchi e nobiltà!). E arrivano a tavola, pertanto, il profumato caciocavallo ”all’argentiera”, le melanzane alla parmigiana, le saporite sarde “allinguate” con maionese di capperi e cipolla agrodolce, la stuzzicante zuppa di cozze delle tavolate fra amici. Sulla stessa falsariga, fra echi di tradizioni (perdute) e cibo contemporaneo: da encomio la margherita all’anciova, gli spaghetti al nero di seppia, il grano spezzato con zuppa di pesce, i mezzi paccheri con salsiccia, la pasta fritta. Non sono da meno i secondi, dalla grigliata di pesce del giorno al tonno “ammuttunato”, dalla tagliata di bovino ai gomitoli di maiale nero dei Nebrodi.
In questo sommario elenco c’è qualcosa che funge da fil rouge – e che in questa tipologia di ristorazione (osteria-trattoria) sovente fa difetto: gli oli sono molto buoni (non sempre accade) e i piatti beneficiano di una tecnica perfetta, non raffazzonata (la scusa: “tanto è cucina casereccia!”). Dessert in numero adeguato e goduriosi, come si addice “alla parte lirica del pranzo”. Si spendono in media, piluccando 4 portate (dall’antipasto al dolce), poco più di 40 euro, prezzo decisamente ragionevole. L’intelligenza di Laura e Tony ha previsto però una formula allettante per chi volesse provare piatti in abbondanza e non ha troppi timori di capienza: il menu condiviso a 38 euro, che prevede tutti gli antipasti (ripetiamo 9!), un primo o un secondo a scelta e un dessert (per inciso: le porzioni sono oltremodo generose, si arriva alla fine ben satolli!).
Non mancano, ovviamente, le birre; sul fronte vino sono contemplate, in carta, delle buone etichette che non superano quasi mai i 25 euro (ma anche qui sovviene l’intelligenza dei titolari: si possono avere, anche al calice, dalla monumentale cantina de I Pupi, altre referenze, secondo voglie ed esigenze, anche quelle – lecite, anzi sempre molto lecite – da enofighetti ed enofili impenitenti! TuMa – è giusto precisarlo – ha al momento un suo team dedicato di 5 unità, in cucina l’impostazione è stata tutta di Tony Lo Coco, che vi ha piazzato come sua longa manus e responsabile il sous chef Domenico Margarese, cuoco di talento (e questo esplicita appieno l’importanza data dalla proprietà alla nuova creatura); in sala il servizio (poliglotta) ha il suo baricentro in Rosario Giunta, affabile, puntuale, molto garbato.
Piccola considerazione conclusiva: Bagheria ha avuto (ha) una tradizione consolidata di osterie, trattorie e “putie” di vino con radici precedenti alla II Guerra mondiale, quando il grosso centro divenne importante realtà economica, non solo provinciale, per l’enorme commercio degli agrumi, attirando prima carrettieri e operatori economici e poi semplici palati in cerca di esperienze, aprendosi, fra le prime realtà isolane, al pranzo fuori porta. Diverte pensare che la Storia possa ripetersi: con TuMa – Osteria di nuova generazione – questo ruolo innovativo, di apripista del nuovo che prende forma, seppur saldamente collegato a tradizione e tipicità, pare che tocchi ancora alla stessa celebre cittadina tanto cara a Buttitta, Guttuso e Peppuccio Tornatore.
TuMa – Bagheria (PA) – via del Cavaliere, 59 – 091 902579 – ipupiristorante.it
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