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Generazione fatica

Studenti ansiosi, poco motivati e impauriti. Il lento declino degli istituti alberghieri

C'è un clima pesante negli istituti tra pressioni e tasso di conversione lavorativa marginale. L'inchiesta del Gambero Rosso in 23 scuole del Lazio

  • 13 Maggio, 2025

Qualcosa non torna nell’equilibrio tra domanda e offerta nel mondo del lavoro alberghiero, ristorativo e dell’accoglienza turistica. Che fine fanno i ragazzi che escono dagli istituti professionali e perché, a quanto pare, almeno la maggior parte di loro sparisce dai radar del mondo del lavoro?In Italia come nel mondo intero ci sono cucine giovani, capi partita ventenni e attività con due giorni di riposo che aspettano ragazzi con la voglia di lavorare e continuare a crescere. Che in due parole significa essere liberi, ma anche imparare lingue, conoscere luoghi e persone in ogni dove e tutto questo, grazie a una sola grande consapevolezza: la fatica è un effetto collaterale del divertimento. Sì, perché questo indirizzo di mestiere è divertente prima di ogni cosa, una certezza che ha solo chi lo sceglie, mentre tutto intorno è un continuo anteporre fatica. Un’ingerenza che arriva per buona parte non solo da amici e conoscenti, ma soprattutto dalle famiglie.

Siamo entrati in 23 scuole su 28 in tutto il territorio del Lazio, da Viterbo a Latina passando per Roma, Rieti e Frosinone incontrando migliaia di ragazzi che alla domanda “A quanti di voi hanno detto di lasciar perdere questo lavoro, perché vi richiede sacrificio mentre gli altri si divertono?” Tutti hanno alzato la mano con un ghigno misto tra sfida e frustrazione. Se da una parte si deve credere nel proprio futuro per resistere a chiunque lo metta in discussione, dall’altra la costante pressione delle famiglie, le stesse che non vogliono vedere andar via di casa quei ragazzi, diventa fortemente destabilizzante.

alberghieri lazio

Numeri impietosi

Se è vero che l’Italia punta tutto sul turismo e sul Made in Italy, il Lazio nell’anno accademico 2024/2025 si conferma la terza regione d’Italia per istituti di formazione professionale nel settore alberghiero e dell’accoglienza turistica e dopo Campania e Sicilia, vanta un podio che conta circa tremila ragazzi. Potenzialmente, un numero sufficiente a coprire l’offerta nel mondo del lavoro tra sala, cucina e accoglienza e sarebbe tutto perfetto fin qui, se non fosse che soprattutto alberghi e ristoranti continuano a denunciare una faticosa mancanza di personale in ogni ruolo. Insomma, quasi la totalità di quei giovani professionisti sparisce e il motivo, al netto di una naturale percentuale di dispersione, di primo acchito potrebbe sembrare scontato. In molti potremmo cadere nel banale senso unico della scuola scelta per ripiego, ma entrando dentro gli istituti e parlando con i ragazzi la risposta è molto più articolata di quanto si possa immaginare. In Italia, nell’anno accademico 2023/2024 si sono iscritte a scuole professionali a indirizzo nei Servizi 30.744 persone, circa il 47% di questi nel Centro-Sud secondo i dati Ministero dell’Istruzione e del merito.

L’eredità degli Istituti professionali è pesante, culturalmente pesante perché, se da una parte sono stati creati per introdurre immediatamente nel mondo del lavoro favorendo le attività laboratoriali, dall’altra hanno inevitabilmente attratto non solo chi non aveva voglia di studiare, ma neanche di lavorare. Il risultato finale è stato ed è tuttora quello di avere enormi serbatoi con una marginale percentuale di conversione finale studio/lavoro. Tra questi, per quanto riguarda gli Istituti Alberghieri e paritari, che posseggono il 10% degli iscritti sopra menzionati, dobbiamo necessariamente aggiungere altri due dati fondamentali, il primo è il crollo di più del 50% in dieci anni degli iscritti dal 2015 a oggi, mentre il secondo è una miscela esplosiva tra lo strascico soggiogante di almeno due generazioni che questi mestieri non li hanno scelti e l’ansia da prestazione generazionale che caratterizza fortemente il nostro tempo. Quest’ultimo fattore nel suo insieme, nelle aula magna degli istituti è il vero centro di ogni dibattito.

Generazione Ansia

L’età media degli iscritti alle classi quarte e quinte va dai 17 ai 19 anni e a quell’età, sentirsi condizionati da chi non ha scelto il mestiere dell’accoglienza o della cucina in ogni sua sfumatura (spesso anche lavorandoci), significa sovvertire seriamente il processo di motivazione. Ed in questa fase che si amplifica l’ansia e la paura. Hanno (quasi) tutti paura di sbagliare. Una sensazione che non si ferma semplicemente al sano timore che serve a tenere alta l’attenzione, ma che diventa spesso paralizzante. C’è chi vuole diventare un grande cuoco e chi sogna di essere il direttore di un albergo di lusso e i modelli di riferimento sono alti, molto alti e quasi sempre suggeriti dalla televisione. Lo sport funziona nello stesso modo e chi inizia a tenere una racchetta in mano lo fa per diventare Jannik Sinner e in questo caso Cannavacciuolo, per dirne uno, è il cuoco più conosciuto in assoluto, Villa Crespi il luogo di lavoro più desiderato. Il problema è chi esce da scuola vuole diventare subito un top player e il motivo si nasconde dietro quel pressante “sei sicuro di voler fare questo lavoro?” Sentono l’obbligo di dover rispondere con quell’idea di realizzazione professionale. Come se non avessero altra possibilità di risposta, come se esistesse solo quella possibilità, essere Antonino o il fallimento di risposta chi poi dirà “te l’avevo detto!”. A tutto questo si aggiunge un altro fattore, le esperienze di stage.

Va detto che non tutta la ristorazione è un idillio di imprenditorialità e che esistono attività, spesso scelte per comodo da scuole o famiglie, dove ancora sopravvive un retaggio culturale svilente. Esistono ancora cucine e mentalità patriarcali, maschiliste e insensatamente avvezze a un approccio punitivo gratuito fatto di cameratismo spicciolo. Un retroscena che riguarda anche realtà importanti e di cui molto spesso non si parla, per pudore o per mancata conoscenza dei fatti, che invece qualche studente non ha timore a raccontare (anche se senza fare nomi). Esperienze di ragazze e ragazzi raccontate a volte con rabbia, altre con frustrazione, che riguardano flessioni, canzonamenti, battute spinte, scenette ridicole e vessazioni.

Insistere sull’imprenditorialità

In uno scenario come questo si inserisce virtuosamente la Regione Lazio con l’attività Start-up School Food, all’interno della misura più ampia Start-up School Academy applicata da Lazio Innova. È grazie a questo programma, di fatto una stimolante competizione all’imprenditorialità, che in meno di tre mesi sono entrato in 23 scuole su 32 in tutto il territorio del Lazio, per poi portare a casa il risultato di questo stato dell’arte. Rimane impressionante come a prescindere dalle direzioni illuminate dei direttivi in carica di alcuni istituti, Velletri su tutti è un vero gioiello, i ragazzi di ogni provincia si raccontino esponendo le stesse barriere tra loro e il futuro, nello stesso modo.

La famiglia è un’altra scuola dell’obbligo, sono meccanismi che vanno avanti nonostante qualcosa non funzioni, ma il mondo del lavoro (che ricordo significa libertà) è un’altra cosa e dipende solo da noi. Essere imprenditori di sé stessi, non necessariamente di un’attività propria, è un obiettivo da imporsi con consapevolezza ed è questo il messaggio più forte che nei 23 incontri è stato percepito dal futuro della ristorazione e dell’accoglienza italiana. Qualche iscritta diventerà tatuatrice, qualcun altro si innamorerà strada facendo della mixology e chissà dove c’è un liceale che diventerà un cuoco, il vero dato che resta è che serve un impegno collettivo per recuperare la motivazione di chi aspira a crescere. Famiglia, scuola e Stato sono chiamati a investire nell’entusiasmo di una nuova generazione a cui va tolta la paura di essere sé stessa.

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