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Interviste

«Non è un sogno, è un obiettivo: rendere felici le persone» Gennaro Esposito e il mestiere di cucinare oggi all'indomani di Festa a Vico

Festa a Vico è un evento popolare, ma anche un momento di riflessione sul settore della ristorazione. Abbiamo fatto il punto con l'ideatore Gennaro Esposito, chef e patron de La Torre del Saracino

  • 13 Giugno, 2025

La Torre del Saracino è un locale storico, nato una trentina d’anni fa sul lungomare di Seiano, qualche centinaio di scalini sotto Vico Equense. Una zona incredibile, per bellezza del paesaggio e ricchezza di biodiversità. Un patrimonio di materie prime a disposizione degli chef di questo territorio che negli anni è diventato un mosaico di grandissime insegne capaci di tradurre la cucina mediterranea in un’esperienza elegantissima, ma sempre perfettamente legata a genius loci. Tra loro c’è Gennaro Esposito, chef e patron della Torre, con la sua sala luminosa e la torretta oggi trasformata in sala da musica. Incontriamo Gennarino – come lo chiamano tutti – durante Festa a Vico, la storica iniziativa benefica nata oltre 20 anni fa, che porta sul lungomare e tra i vicoli della Vico alcuni centinaia di chef e artigiani con l’obiettivo di raccogliere fondi per alcune onlus e condividere dei momenti di festa e confronto.

 

Partiamo dall’attualità: come sta andando questa festa Vico?

Noi non siamo mai pienamente soddisfatti, perché sappiamo che questa è una festa, è un appuntamento, è un happening, è un sacco di cose insieme, ma soprattutto è una roba enorme che in tre giorni e mezzo, regala una montagna di appuntamenti, un sacco di opportunità di degustazione, cene, anche molto diverse tra loro. In una macchina così grande spesso fai fatica a governare esattamente tutte le fasi, tutti i dettagli. Però tutti quanti portiamo a casa tanto da quest’evento, che è un po’ una fotografia della cucina italiana di oggi: dalla cena di gala dove cucinano gli chef più rinomati e con un percorso più lungo alle spalle, ai giovani che portano invece un bellissimo punto di vista più fresco, sempre ispirato ai grandi maestri da cui hanno lavorato ma comunque con tanta identità, tanta personalità.

Cosa l’ha colpito quest’anno del pranzo dei giovani?

La forte attenzione al sapore, all’eleganza, pur mettendoci sempre e comunque dentro tanta tradizione, tanto senso di appartenenza, tanta ricerca di ingredienti, combinazioni davvero molto divertenti.

Tirando le somme?

Sono molto contento per moltissimi aspetti, non solo per il successo della Repubblica del Cibo, della cena di gala e del Cammino di Seiano, che sono tre appuntamenti con numeri importanti, ma anche per le cose più piccole, come le degustazioni, che abbiamo fatto e che continueremo a fare: cercheremo di offrire agli appassionati e ai professionisti una palestra, un posto dove esercitarsi, dove scoprire, dove allenare il palato e soprattutto dove cercare di tutti quanti di crescere, c’era l’opportunità di stare con i produttori, fare domande, imparare un sacco di cose. Questo ci sembra importante ed è il nostro obiettivo, non abbiamo altri obiettivi. Però dispiace che la parte professionale alta della ristorazione e dell’hotellerie della zona, Costiera e Penisola, non è riuscita ad essere presente.

Come mai secondo lei?

Probabilmente perché siamo in un momento di alta stagione. Spero che sia solo per quello. Per me una degustazione di Florio di quella maniera e con quelle annate è un evento unico, imperdibile. Lo stesso per Bordeaux vs Bordò (un confronto tra tagli bordolesi) senza contare l’opportunità di stare con i produttori, fare domande, imparare un sacco di cose. Poi abbiamo fatto questa degustazione sui vini botritizzati. La cosa che mi ha soddisfatto di più è stata che sia i produttori di Bordeaux che quelli legati ai vini botritizzati – grandi nomi come Ego Müller, Château d’Yquem, Disznók?, Weingut Kracher, Castello della Sala – hanno detto di non aver mai fatto un evento così, che questo evento li ha molto arricchiti e ha creato un momento di confronto che non facevano da tanti anni. Sentirlo ti ripaga della fatica, i sacrifici, le ore dedicate a Festa a Vico e ci mette nelle migliori condizioni e motivazioni per l’anno prossimo.

Quale è la prospettiva?

Noi vorremmo avere tutti i player della comunicazione a questo tavolo che vuole semplicemente parlare di cultura, di cibo, di vino; tutti dovrebbero portare qualcosa e prendere qualcosa in termini di contenuti e di opportunità di relazione. Noi faremo la nostra strada, non vogliamo affiliarci a nessuno ma essere un luogo dove dialogare serenamente di cibo: non vendiamo niente, non compriamo niente, siamo molto liberi e molto aperti. Ho parlato con molti giornalisti e persone che orbitano in questo mondo dal lato del racconto e confido che con loro si possano aprire diversi tavoli di dialogo.

In che modo?

Non chiedo articoli per me, ma voglio essere responsabile di quello che faccio e tra le mie responsabilità sento di avere anche quella di alzare l’asticella, per aumentare il livello di conoscenza, per gratificare il pubblico degli appassionati. Non mi riferisco ai miei clienti che avrei potuto invitare per fare loro un regalo; ho cercato di giocare con tutti, di fare uno schema il più largo possibile.

Ma è cambiato in questi anni Festa a Vico?

Noi siamo cambiati, ci siamo messi a fare tanti ragionamenti, ma non vogliamo essere una festa e basta. Uno dei nostri obiettivi è essere trasversali: non vogliamo che il cibo sia raccontato solo per chi ha più possibilità o disponibilità, vogliamo creare degli appuntamenti dove anche mia zia o la signora Maria vanno ad assaggiare i tortellini del Mirasole o lo gnocco fritto dei Due Platani. Così per una sera si regala un momento speciale così le nostre onlus riescono a sostenere i loro progetti.

Qual è l’obiettivo della raccolta quest’anno?

Sono diversi in realtà, perché noi appoggiamo 5 onlus più altre 2 o 3 locali, dalla parrocchia che vuole ridipingere il muro all’oratorio che vuole comprare le giostre per i bambini, a grandi progetti come quello della Fondazione Veronesi, Alts, San Patrignano.

Come cifra casa si aspetta?

Abbiamo sempre raccolto tra i 250 e i 300 mila euro. Oggi sento l’obiettivo 300mila molto vicino, poi vediamo.

Finora abbiamo parlato con il Gennaro Esposito organizzatore della Festa.  Invece per quanto riguarda Esposito chef de La Torre del Saracino, cosa sta cambiando?

Siamo molto contenti perché abbiamo lavorato molto sulla squadra, abbiamo preso delle decisioni anche molto forti su chi dovesse avere il governo dei vari reparti, abbiamo dato molta fiducia ad alcune figure che ci hanno ripagato tantissimo. Il team è fondamentale per la continuità, perché devi mantenere sempre un certo livello, ci deve essere sempre la stessa linea alta di esperienza. È molto importante formare i ragazzi che si inseriscono mano a mano e avere quei punti saldi sui quali appoggiare tutta la struttura.

Come sta andando?

Devo dire la verità: siamo molto contenti delle presenze e molto contenti della qualità dei clienti in termini di curiosità. Facciamo un servizio molto coerente su dove siamo, su chi siamo. E la ricerca sui prodotti è ossessiva tutti i giorni, anche grazie a Giuseppe che da 15 anni lavora con me: lui ha ereditato i 20 anni di prima di Torre del Saracino e da lì poi insieme abbiamo costruito il lavoro con il nostro pasticciere Michele Cannavacciolo, Graziano e tutti i capi partita. Ogni menu lo discutiamo, commentiamo, valutiamo insieme, coinvolgendo le figure della sala, anche perché raccontiamo molto bene l’arte dell’abbinamento cibo-vino. Abbiamo un bravissimo sommelier, Gianni Piezzo che secondo me ha un grande talento sull’abbinamento.

Ma dove sta andando adesso la ristorazione del suo complesso in Italia?

Abbiamo vissuto un momento di grande paura, poi un momento un po’ di follia, nel senso che l’isterismo dei consumi del post-Covid ci ha confuso ancora di più. Poi da lì oggi cerchiamo delle sicurezze.

Quali sono le sicurezze?

Sono quelle delle tue verdure, dei tuoi contadini, dei tuoi fornitori artigiani ai quali ti rivolgi con un senso di tranquillità. Hai la sicurezza di avere a spalle una persona che supporta concretamente il tuo lavoro, ti aiuta tutti i giorni, ascolta quello di cui hai bisogno. L’Italia è il paese dei fagioli, delle patate, delle cipolle, il futuro sarà sempre più basato su prodotti autentici della terra e i piatti saranno sempre più pensati per essere gratificanti, soddisfacenti, gustosi, fatti con prodotti che possiamo dire che sono davvero super autentici.

Facile per lei, qui in costiera…

Mah… cominciamo ad avere molta difficoltà a trovare nella carne, prodotti etici, sostenibili, gustosi, però anche lì c’è qualche eroe. Te lo devi andare a cercare, e per fortuna qualcuno l’abbiamo trovato. Sul pesce, se parliamo di prodotti veri, fare la spesa equivale a fare 10 capriole: abbiamo 4-5 pescherie, chi ci dà 3 triglie, chi 2 seppie, alla fine mettiamo insieme tutti i giorni la nostra spesa. È chiaro che ci sono prodotti alternativi al fresco che sono formidabili oggi grazie alla tecnologia, ma non sono il fresco, questo va detto; vogliamo sentirci con la coscienza a posto: vogliamo sapere che meglio di quello che abbiamo comprato non potevamo comprare. Per questo abbiamo voluto premiare gli artigiani anche a Festa a Vico: gente malata del proprio lavoro, appassionata; quando vedo queste persone sono rassicurato che la cucina italiana può avere un futuro. È un messaggio di positività, di valore straordinari: dal pomodoro, dai salumi, c’è un mondo vero che ci meritiamo, che meritano i nostri clienti e che può rendere l’esperienza al ristorante ancora più unica.

Quali sono le difficoltà maggiori?

Dobbiamo imparare a ragionare più semplice. Dobbiamo recuperare il senso: fare la spesa, preparare, mettere a tavola, questo è il sistema vero, tutto il resto è un modo per ingegnerizzare, ottimizzare e anche se in qualche caso si ha bisogno pure di quello, chi viene da noi si aspetta un sistema semplice di ragionamento, di approvvigionamento, di qualità, di origine.

Cambiamenti qui alla Torre? Novità?

Tantissimi, stiamo aspettando di sistemare burocraticamente alcune cose, vogliamo creare un altro tavolo di lavoro con il Comune per avere un po’ di sostegno: bisogna mettere davanti le priorità del nostro paese, quelle legate all’estetica, alla cura, alla logistica, ai servizi. Dobbiamo pensare come pensa un moderno viaggiatore: non potremo mai avere il grande hotel piazzato tra le nostre colline o in mezzo al nostro Paese, ma possiamo avere una meravigliosa ospitalità diffusa, fatta da famiglie, da persone che accolgono gli ospiti, forse recuperando un concetto legato all’ospitalità.

Quindi il sogno sarebbe di un albergo diffuso?

Vorrei costruirlo con i tanti giovani che oggi fanno ospitalità, partendo da un concetto spontaneo, semplice, però mettendoci quel quid in più. Portando il cliente a vedere qualcosa che si ricorderà tutta la vita, prendendosi cura dei suoi bambini, facendo tutto quello che può avvolgere piacevolmente una persona che sta in vacanza. Non è difficile, basta solo mettersi dall’altra parte.

Nessun altro desiderio?

Mi piacerebbe fare una trattoria, però con calma, ora abbiamo tante cose da fare. Una trattoria un poco diversa dall’immaginario collettivo: una trattoria dove non si deve venire con l’idea che si paghi poco, si deve venire con l’idea che si mangi bene.

Al di là dei traguardi economici, quale è il punto di arrivo che tu desideri tantissimo e che non è ancora arrivato.

Non ci sarà mai un vero e proprio punto d’arrivo. Perché se io ti dicessi le tre stelle Michelin sappiamo bene che il minuto dopo hai 10.000 punti di arrivo piuttosto che magari se ce n’è uno oggi. Noi siamo molto soddisfatti del lavoro che stiamo facendo, ma sappiamo che possiamo fare molto meglio però vogliamo riuscire sempre a far felici le persone quando vengono qua. Poi è un obiettivo, sinceramente non è tanto un sogno, è un obiettivo che si può costruire. Dobbiamo imparare bene a gestire le risorse umane, a capire come si può ritagliare un lavoro su misura d’uomo per ognuno di loro, ognuno ha le sue esigenze. Però noi abbiamo bisogno di personalità importanti, di gente che ha capito cosa stiamo facendo ma soprattutto che ci dà la continuità che ti dicevo.

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