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Con le bacchette

"In Italia si affoga il sushi nella soia, ma è un errore. Come ricoprire gli spaghetti con il sale". Intervista a Hirotoshi Ogawa

Il direttore del World Sushi Skills Institute racconta come si degusta al meglio il sushi: "In Italia è diffusa una ristorazione che sotto un nome giapponese propone prodotti di scarsa qualità"

  • 26 Maggio, 2025

Quanti miti e leggende ci sono intorno alla cucina giapponese. Ne sa qualcosa Hirotoshi Ogawa, direttore generale del World Sushi Skills Institute (WSSI) e direttore dell’All Japan Sushi Association. Nel 2017 è stato nominato ambasciatore della cucina giapponese dal governo nipponico, ruolo che lo ha portato a viaggiare in oltre 60 paesi per diffondere la cultura del sushi attraverso workshop e seminari. In occasione della prima edizione dell’Italy  Sushi Cup, una competizione dedicata alla cucina nipponica e organizzata dall’AIRG (Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi), abbiamo fatto un po’ di domande al maestro-chef sulle abitudini dei giapponesi a tavola, sulle ragioni del successo globale del sushi e sui luoghi comuni legati al cibo nipponico più famoso al mondo. Risultato? Non sono poche le credenze da sfatare secondo Ogawa.

Hirotoshi Oragawa maestro di sushi

Il cibo è un elemento centrale della cultura giapponese. In questo gli italiani e i giapponesi hanno molto in comune. Noi ad esempio abbiamo l’abitudine di parlare di cibo mentre siamo a tavola, lo fate anche voi?

Ovviamente io parlo quasi sempre di cibo con i miei commensali, ma è una deformazione professionale perché il mio lavoro è la mia vita. In genere in Giappone si commenta brevemente il cibo se si tratta di un piatto per un’occasione speciale, oppure se si va appositamente in un certo ristorante, ma non è argomento di chiacchiera comune.

I costumi stanno cambiando e la frenesia quotidiana ci porta a vivere il cibo in una maniera meno conviviale e intergenerazionale. Succede anche in Giappone? Qual è il tempo della convivialità a tavola oggi nel suo paese?  

In Giappone da tempo è molto più raro mangiare tutti insieme in famiglia rispetto all’Italia, specie a pranzo e nelle aree urbane e metropolitane. Oggi poi in città molte più donne giapponesi lavorano rispetto al passato. Il momento della cena, seppur non più sentito come una volta, rimane invece molto apprezzato, cosa, ad esempio, che non succede in Cina.  C’è anche da dire che i giovani giapponesi escono molto più spesso a cena rispetto a quelli italiani; quindi, il cibo diventa anche un aggregatore di gruppo oltre che di famiglia. Nelle piccole cittadine di provincia, invece, la famiglia mangia più spesso insieme ed è un momento per raccontarsi la giornata. Se non c’è stato tempo di cucinare si va insieme al ristorante, c’è proprio un genere apposito chiamato “family restaurant”. 

Uno dei motivi per cui il Giappone è così tanto ambito come meta turistica è il cibo. Da cosa dipende il successo della cucina nipponica? Cosa fa davvero la differenza?  

Il cibo giapponese mediamente viene percepito all’estero come molto salutare (non per niente siamo tra le popolazioni più longeve al mondo), ma quello che lo fa davvero apprezzare è la sua bellezza: esteticamente la presentazione del cibo giapponese, anche il più semplice e casalingo, è sempre molto curata e le nuove generazioni di tutto il mondo, sensibili alla “instagrammabilità” di ogni aspetto della vita, trovano terreno fertile in moltissime specialità giapponesi, il sushi prima di tutte.

I turisti che tornano dicono anche che si mangia ovunque bene, cosa che non succede sempre in altri posti turistici. Come riuscite ad avere uno standard alto così diffuso?

In Giappone il rispetto per sé e per gli altri è uno dei valori principali, dunque nessuno si sognerebbe mai di fare male un lavoro, qualsiasi esso sia, perché a fine giornata vuole essere orgoglioso di come ha speso il proprio tempo. Quindi perché un cuoco dovrebbe cucinare male o usare prodotti scandenti, ingannando se stesso prima che i suoi clienti?

Veniamo al sushi: lei è un formatore da tantissimi anni: quali sono i paesi dove le sembra che le tecniche che insegna siano meglio apprese? Esclusi giapponesi e cinesi, chi sono i più bravi a occuparsi di sushi? E gli italiani come se la cavano?  

Le nozioni che insegno, che trattano di tecnica, di igiene e di stile del sushi, vengono molto ben comprese nel Nord Europa, come in Svezia e in Norvegia, dove anche le temperature delle acque marine sono simili a quelle giapponesi e il pescato ha caratteristiche comparabili. Non ritengo che in Cina ci sia una cultura gastronomica legata al sushi: nonostante si utilizzino alcuni ingredienti simili, come riso o salsa di soia, si tratta di due modi molto differenti di pensare la cucina. D’altro canto, anche voi italiani avete ingredienti in comune con i francesi, ma gli stili di cucina sono ben riconoscibili come frutto di culture differenti. Da quando, grazie ad AIRG, insegno anche in Italia, devo dire che mediamente ho trovato i vostri shushiman a un buon livello di partenza, tanto è vero che in molti hanno passato l’esame finale nei miei corsi e quest’anno c’è un sufficiente numero di candidati che partecipano all’Italy Sushi Cup.

Per sua esperienza, tutto ciò che c’è da sapere sul sushi in Italia è chiaro o c’è ancora molto da capire?  

Purtroppo anche in Italia come nel resto del mondo molto c’è ancora da fare: se in paesi come l’India il tema è legato all’igiene o in Brasile è una questione di gusto locale, in Italia la disinformazione è dovuta prevalentemente a una diffusa ristorazione che sotto un nome giapponese propone prodotti di scarsa qualità e molto lontani dai nostri standard locali. Con AIRG s punta a fare proprio questo, a formare nuove generazioni di cuochi più consapevoli ed informati e ad abituare il consumatore finale a comprendere le caratteristiche peculiari del sushi autentico.

Quali errori noi italiani continuiamo a fare con il sushi che non andrebbero fatti ?  

Esistono molte varietà di sushi, in Italia si conoscono quasi solo nigiri, maki e poco altro e vengono richieste solo poche varietà di pesce. Detto ciò, l’errore più comune che fanno in molti è affondare completamente questi bocconcini nella salsa di soia: il sushi non è solo pesce crudo e riso, ma contempla altri ingredienti che lo chef dosa accuratamente per dare al palato un’esperienza equilibrata e soddisfacente. Se voi in Italia copriste un piatto di spaghetti con il sale prima di mangiarlo, rovinereste tutto l’impegno che il cuoco ha messo nel calibrare il piatto. Invito gli italiani a gustare i nigiri intingendone solo una punta nella soia, dalla parte del pesce e i maki intingendone solo un angolino. Se si evita di coprire il sushi con condimenti, salse, fritture ed altri elementi che non esistono in Giappone, garantisco che scoprirne il vero sapore e consistenza sarà un’esperienza gratificante.

Parliamo di materie prime. Penso al riso innanzitutto che sta vivendo un momento complicato in Giappone a causa degli alti costi. È un problema sentito nel paese?

Si tratta di una leggenda metropolitana: in Giappone il governo ha un sistema molto ben calibrato di approvvigionamento e di scorte e controlla il mercato del riso con un metodo simile al vostro monopolio del tabacco. L’agricoltura giapponese riesce da sola a soddisfare la domanda interna e ad accumulare scorte, così che il prezzo nei negozi di riso che voi potreste chiamare “spacci statali”,  non vari di molto. Ovviamente negli ultimi anni è particolarmente cresciuta la domanda mondiale di riso giapponese, per questo il riso da esportazione è costoso, perché noi facciamo scorte di riso invece che venderlo all’estero.  In Giappone, comunque, se la domanda estera di riso nipponico cresce, quella interna sta lentamente calando, cosa dovuta al fatto che le nuove generazioni sono molto attratte dalla cucina occidentale, dove prevalgono altri tipi di amidi come pane, pasta, pizza e dolci lievitati.

Invece cosa pensa dell’abuso di salmone di allevamento che si fa soprattutto nella preparazione di sushi, sashimi e i  maki che vanno così tanto in Italia, È così anche in Giappone?  

Sushi significa “riso condito con aceto” e ogni località giapponese ha le proprie varianti sia di forma che di ingredienti, che non contemplano solo pesce crudo. Maki, nigiri, gunkan, chirashi, temaki  hanno in comune il riso condito con aceto, questo li fa definire “sushi” anche se al riso si accompagnano ingredienti vegetali, uova, carne o pesce cotto. Solo il sashimi è per definizione “pesce crudo”. E in Giappone né per il sushi né per il sashimi si utilizza il salmone, tranne che in alcune particolari aree del nord, poiché ritenuto un pesce troppo “grasso” per il delicato palato giapponese e lo si preferisce cotto. Ultimamente, sempre per influenza occidentale, anche in Giappone lo si comincia a utilizzare crudo, ma solo se la provenienza è da pescato selvaggio e da mari molto freddi, come i mari dell’Hokkaido o dell’Alaska. Pochi in Giappone usano crudo il salmone di allevamento, prevalentemente destinato ai bambini o agli stranieri che lo richiedono.

Ci dice un piatto giapponese abbastanza diffuso in Giappone che non conosciamo ancora e che potrebbe diventare un prossimo trend?  

Mi dicono che in Italia viene considerato giapponese il poke, che è in realtà è hawaiano e non può essere considerato un sushi, come invece è il chirashi, perché nel poke non si usa il riso condito con l’aceto ma semplice riso bianco. Molte richieste di clienti italiani sono legate ai cibi che vedono in anime e manga: ramen, okonomiyaki, onigiri e da poco anche omuraisu. Ma so che in Italia sono quasi tutti già presenti. Mi piacerebbe che fosse conosciuto il sushi autentico, ovvero tutte le infinite, meravigliose, diversissime forme di sushi regionale, tanto note e apprezzate in Giappone. 

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