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Il personaggio

La cucina ribelle di Eugenio Finardi: "Basta fuffa e piatti da instagram"

Paragona la musica alla cucina contemporanea, Eugenio Finardi, e fa una critica feroce: "Basta coi piatti instagrammabili e con le solite fuffe", dice l'autore di Extraterrestre e di Musica Ribelle

  • 22 Giugno, 2025

La presentazione del suo ultimo albu, Tutto, è l’occasione per Eugenio Finardi di togliersi un sassolino dalle scarpe sul fronte del gusto e del piacere… Nel brano  “La mano di uno che sa”, il musicista canta : “Tu non sai quanto vorrei sapere quello che sai / Sapere suonare col solo toccare / La mano di uno che sa: i sapori, i colori, e tutti gli odori che sentono i cani”. Parliamo di cani o anche di umani, Finardi? E quella mano che tocca la chitarra è anche quella che cucina?  «Il riferimento non è solo alla cucina, ma anche alla cucina – sorride il cantautore milanese – Il problema è che non sappiamo più sentire le cose, vibrare insieme a loro, cioè con l’universo, odori e sapori compresi». Insomma, tramontato il periodo della passione politica – «Mi ha profondamente deluso, le ideologie hanno finito per soffocare i bisogni degli individui», confessa sconsolato –  l’autore di Extraterrestre sembra essere però sempre alla ricerca del “Sugo” delle cose che, non a caso, è il titolo di uno dei suoi migliori album, datato 1976.

Dalla musica ai piatti: “Solita minestra”

Parlando del suo ultimo album, lo storico autore di Musica Ribelle, per avvalorare una sua dichiarazione forte («Viviamo in un’epoca di fuffa, ma proprio gigantesca»), ha usato la metafora della cucina contemporanea: «Più attenta all’instagrammabilità dei piatti, alle apparenze, che al reale (vecchio) gusto estetico».

 

La fuffa nei menu che raccontano il nulla

Eugenio Finardi ama la buona cucina, e la frequenta, diversamente non si sarebbe lanciato in questo parallelismo società contemporanea/tavola, un tema che neppure pensavamo di poter trattare con lui.  «Oggi abbiamo l’abitudine di inventare delle espressioni non per esprimere qualcosa di nuovo, piuttosto per ridire cose già ben note, magari sotto altte sembianze: perché poi si tratta sempre della stessa minestra. Un esempio: i nomi dei piatti nei ristoranti, e le loro descrizioni. L’espressione “su un letto di“, ad esempio, è la metafora del vuoto, mi fa incazzare». Oramai è da anni che questa dicitura viene usata poco, ma il concetto espresso da Finardi è comunque chiaro, soprattutto quando nei menu le portate hanno un titolo lungo una poesia, spesso neanche bella, per alludere a un semplice piatto di spaghetti al pomodoro. «È questa la fuffa, la promessa di un piatto nuovo che non esiste, perché è lo stesso di sempre», spiega Finardi. E aggiunge: «Basta poi con questi fiumi di parole pseudo erudite che raccontano il nulla, svelando una verità tanto semplice, quanto tragica: tu giornalista, o blogger, o chicchessia, ti stai nascondendo perché non hai voglia di parlare a me che sono il tuo lettore».

“Basta con le foto ai piatti: mangiateli”

«Un’altra cosa che non sopporto è vedere la gente che nei ristoranti fotografa di continuo i piatti: vuoi mangiarlo o fare solo il guardone? Eddai, su!». Letta così sembrerebbe che Finardi abbia paura della tecnologia, o della modernità: l’autore di Extraterrestre, invece, ha realizzato l’ultimo disco, “Tutto”, campionando i suoni dei suoi 19 album precedenti, in più ama fare delle foto ai paesaggi, che abbiano visto e sono pure bellissime. «Non c’è bisogno che tu mi faccia vedere dei piatti che non potrò mai assaggiare, dimmi soltanto: era buono oppure no? Perché, concentrato com’eri sulla foto, forse neanche hai capito se quel piatto ti è poi piaciuto. O, peggio ancora, non riesci a trovare il modo di dirmelo».

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