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La nuova vita dell'isola di Capraia, uno scoglio in mezzo al mare ricco di frutti e prodotti della terra

Sull'isola di Capraia, lontano dal caos di altri lidi dell’arcipelago toscano, abbiamo scoperto otto interessantissime aziende artigianali e i loro prodotti d'eccellenza, tra vino, olio, miele, formaggi (e non solo)

  • 13 Luglio, 2025

Neanche venti chilometri quadrati di roccia più vicini alla Corsica che al porto di Livorno, vette sui 450 metri e coste selvagge che sfoggiano le colorate stratificazioni dell’antico vulcano col tempo plasmate dal logorio delle onde e del vento. L’isola di Capraia, lontano dal caos di altri lidi dell’arcipelago toscano, è natura selvaggia e umanità rarefatta: per l’anagrafe sono circa 350 abitanti che diventano assai meno d’inverno, mentre d’estate si rimpolpano le fila con un turismo comunque morigerato.

Capraia una realtà agricola in fermento

Negli ultimi decenni si parla di spopolamento, ma non è la sola preoccupazione di un’isola in cui la colonia penale – a partire dal 1873 – fece il bello e il cattivo tempo cambiandone il volto, isolandola ancor di più ma anche animandola coi detenuti al lavoro e gli agenti di custodia che vi portavano le famiglie e vi crescevano i figli. Sistema autosufficiente ma con una funzione anche sociale: le produzioni agricole e i “servizi del carcere” (il vino, il formaggio, il barbiere e a lungo anche medico e fornaio) erano offerti anche per la sussistenza dei paesani. Chiuso nel 1986, abbandonati gli stabilimenti e i campi, su Capraia esplose il contenzioso tra Demanio e Comune per decidere la titolarità su tali beni: solo nel 2008 l’amministrazione locale è tornata a disporne per poi destinarli a uso civico, così che i cittadini possano usufruirne rilanciando la scommessa agricola e imprenditoriale dell’isola. Nonostante le mille difficoltà del farlo in uno “scoglio in mezzo al mare” (c’è chi racconta l’odissea per riparare un trattore, chi si lamenta per come è complicato cambiare uno pneumatico, ma anche chi rivela come l’e-commerce gli abbia cambiato la vita), le iniziative non mancano e il quadro delle aziende locali si fa sempre più interessante.

L’azienda che ha fatto tornare le capre a Capraia

A riportare le capre a Capraia, sparite dall’isola dopo la morte del pastore Elio Gambardella, ci ha pensato l’azienda agricola Il Saracello, che prese nome della sorgente presente nella prima stalla costruita. Fu fondata nel 2016 dall’isolano Massimiliano, dal bergamasco Iacopo e dal fiorentino Alessandro: «uniti dall’amicizia, dall’amore per il luogo e dalla follia del gesto», racconta quest’ultimo. Nessuno sapeva niente di caseificazione né di allevamento – «io avevo avuto solo un pesce rosso», sorride – ma grazie a «tanto lavoro, tanta incoscienza», al coinvolgimento di terzi, si è giunti a creare un caseificio in paese e una bottega al porto. «Abbiamo cominciato con 28 esemplari di razza camosciata», subito felici di godersi la profumata macchia mediterranea, «oggi le capre sono un centinaio, ma restiamo nell’ambito di un prodotto di nicchia, condizionato dai costi. Qua un veterinario non c’è, il fieno va importato ed è considerato materiale infiammabile: il trasporto costa più dell’erba». Al Saracello si producono yogurt, ricotta, formaggi che portano nomi dialettali (e vedremo che questa è anche una storia di nomi) come l’Aegylon (terra di capre in greco antico), con pasta molle e crosta sottile, oppure il Mursa, adagiato su cuscini di elicriso (da qui l’appellativo) per l’affinamento in orci di terracotta.

Il Saracello | via Assunzione, 22 | IG: ilsaracello

Il ritorno della vite grazie a un fisioterapista romano

La viticoltura a Capraia vi era tornata all’inizio di queesto millennio grazie a Stefano Teofili, fisioterapista romano di origine isolane che ereditò un terreno nel piano di Santo Stefano, unica zona pianeggiante dell’isola: da qui il nome dell’azienda, La Piana. «Nel 2007 io, mio padre Eros e mio suocero Giuseppe Gnaccarini, entrammo per sostenerlo a livello economico e commerciale», racconta Alice Bollani, che per anni si era occupata “solo” di formazione, vendita e marketing nella sua Modena. Teofili se ne andò prematuramente e lei si trovò in mezzo al mare, timoniera in un’avventura tutta nuova. «Ci siamo rimboccati le maniche e pian piano abbiamo realizzato quanto avevamo progettato con Stefano». Al vigneto di aleatico si è aggiunto quello sui terrazzamenti del carcere, vermentino, ansonica, ciliegiolo e sangiovese coltivati in biologico su terrazze ampie, altissime, che dalla valle di Porto Vecchio fanno planare lo sguardo fino al mare. La cantina nasce nel 2015 recuperando l’officina del penitenziario, vi nascono 6 tipologie di vino per 20mila bottiglie: «Raccontano il nostro amore per questa terra, ricca di minerali e baciata dal sole», sorride Alice. Il Rosa della Piana è l’Aleatico in purezza vinificato in rosato, mentre Palmazio è un Vermentino molto apprezzato nei ristoranti.

La Piana | Via Roma, 25 | 3920592988 | fb: lapianacapraia

La Mursa

 

La maestra e il pescatore produttori di vino

Proprio nei locali de La Piana effettuarono le prime vinificazioni anche Francesco Cerri e Gianna Zito: lui isolano pescatore e aiuto prezioso per la bottega dei genitori, lei insegnante pugliese giunta qui per una supplenza che le ha cambiato la vita. Oggi la coppia guida l’azienda agricola La Mursa (torna il nome dell’onnipresente elicriso), vigneti piantati «su pendenze impegnative», come rammenta Francesco, «dove abbiamo scavato, ripristinato terrazzamenti e ricostruito muretti». I suoli sono ricchi di scheletro e danno linfa a un’originale versione di alicante da ceppo corso, coltivato ad alberello: «Volevamo fare vino rosso e la storia di Capraia ci ha condotto a queste scelte». I primi anni «ci mangiarono tutto, conigli e mufloni», ma grazie all’aiuto di persone sodali sono arrivati ottimi risultati com’è arrivata una nuova casa con cantina, «operazione difficile, visti i prezzi tanto alti che scoraggiano chi vuole vivere a Capraia». È di circa 3.000 bottiglie la produzione annuale: Alicante che esalta la territorialità nel Sulàna, fresco di mirto e di mare, affiancato dal più strutturato Ventigghjatu, da un metodo ancestrale e dal bianco Frasté.

La Mursa | Via Regina Margherita 12 | 3385808871 | lamursacapraia.it

 

Le birre di Orti Grandi

 

Orti Grandi, tra vino e birra

La genesi di Orti Grandi (qua si recupera un toponimo locale) è legata a Gabriella: lei ottenne i terreni per realizzare il sogno vitivinicolo a cui ha poi dato vita il figlio Federico insieme a due amici, Matteo e Samuele. Tutti impegnati in altre attività (anche sportive: pallanuoto i primi due, calcio il terzo), si partì da un impianto realizzato nel 2016 sfidando le alture e «recuperando terrazzamenti oramai scomparsi – come racconta Matteo – «avviluppati dalle piante infestanti: la natura si era ripresa il territorio, noi gentilmente glielo abbiamo sottratto». A quel territorio si dà voce con tre tipologie di ansonica, dalla più classica espressione isolana a una selezione da fermentazione spontanea, fino all’intrigante metodo classico che attende sui lieviti il tempo giusto per svelarsi. Cantina in località San Rocco, ma anche  birrificio a Quercianella, frazione di Livorno: perché agli Orti si producono anche quattro tipologie di birra. «Io ne facevo un po’ a casa, per gioco, così per gioco abbiamo anche piantato del luppolo a Capraia», sorride Matteo. La risposta è stata buona, «produzione bassa ma possibile», così Orti Grandi procede sui due binari utilizzando ingredienti prettamente isolani.

Orti Grandi
Cantina: loc. San Rocco (Capraia)

Birrificio: Quercianella (Livorno) – via G. Pascoli, 84
3401441453
IG: ortigrandibirrificio/ – IG: le_terrazze_degli_ortigrandi

In tavola la macchia mediterranea, tra bacche, fiori e frutti dimenticati

Arura è l’unità di misura di terra coltivabile stando agli etruschi ed è anche il nome della creazione di Susanna Casini, giunta a Capraia nel 1975 per insegnare alle scuole medie: è solo all’età della pensione che approda all’attività che unisce le sue passioni, «storia ed erboristeria». Ricette etrusche, romane, «recuperare i saperi e raccogliere ciò che l’isola offre per portare la macchia mediterranea nel piatto, nel bicchiere». Nel suo laboratorio (anche negozio), oggi condiviso con la figlia Adriana, ritroviamo l’elicriso nelle confetture e nei biscotti, nel preparato di miele Millefiori, nel liquore digestivo Cal’amaro come nella birra (in preparazione anche quelle al mirto e all’erba cedrina). «Siamo raccoglitori, prendiamo ciò che la natura offre» e quindi bacche, piante, fiori, frutti dimenticati, dalle sorbe ai fichi verdini, dalla rosa canina al lentisco (se ne ricava un olio che gli schiavi romani usavano «per aromatizzare le carni e illuminare le lampade»). Fuori dal meccanismo dei grandi numeri, il che significherebbe «dipendere da un mercato esterno che obbliga a produrre tanto, sempre».

Arura | via Assunzione, 83 | 3383638994 | aruraisoladicapraia.it

 

Il miele che «profuma di Capraia»

L’azienda agricola San Rocco racconta la storia di un’altra insegnante, Roberta Bonomo, laureata in scienze agrarie e docente nella sua Verona, occasionalmente a Capraia dove il suocero Giuseppe Ferrarini curava per diletto «una ventina di alveari». Quando lui morì in circostanze tragiche, perso nella macchia isolana, Roberta si sentì in dovere di raccogliere la sua eredità: «delle api – racconta la prof – ci si appassiona, ci si innamora». Ma è un lavoro difficile per una pendolare, tanto che dopo il fatale lockdown del 2020 Roberta scelse di restare sull’isola, «anche se quando pensavo di cambiare vita non immaginavo certo una scelta così forte». L’attività apistica ha grande rilievo storico per il luogo e Roberta l’ha interpresa con dedizione, «puntando a far le cose per bene, non a produrre souvenir»: miele che «profuma di Capraia» da fioriture di erica, rosmarino, asfodelo, cardo, cisto, lavorato in una bella struttura «realizzata con l’intento di creare attività, qua dove i problemi sono il lavoro e lo spopolamento». A San Rocco si producono gelatine con la frutta coltivata qui e con sale alle erbe aromatiche, si organizzano visite in apiario aperto e passeggiate lungo il percorso botanico: «non business, ma restituzione creando qualcosa di importante per una terra che amiamo».

San Rocco | via Assunzione, 21 | sanroccocapraia.it

La passione per capperi ed extravergine di una coppia emiliana folgorata sulla via di Capraia

Daniele Molinari e Angela Malaguti, originari dell’Emilia, all’inizio degli anni Novanta vennero folgorati sulla via di Capraia dove si innamorarono della «formaggera», il caseificio dell’ex colonia penale poi divenuto la loro gioiosa casa gialla e rosa. «Custodisce una sorgente d’acqua al suo interno, particolarità unica per l’isola». Da qui il nome della loro azienda agricola, La Sorgente, la cui origine è rintracciabile nei primi ettari di terreno presi in gestione dal 2013 avviando il ripristino dei terrazzamenti e il recupero di una sessantina di vecchi olivi «soffocati dalla macchia». Al loro fianco nuove piante di varietà Frantoio, Maurino, Leccio del corno e Taggiasca, mentre da altre sperimentazioni è emerso il vigore del cappero, «arbusto impegnativo» come impegnativa è la raccolta del suo frutto effettuata «in ginocchio, al mattino, da fine maggio a inizio settembre». Nel 2022 le prime confezioni di capperi sotto sale, cucunci sott’aceto e olio extravergine di oliva, il tutto prodotto «nel rispetto dei cicli naturali e dell’ambiente, senza utilizzare pesticidi, perseguendo la qualità». Ogni gesto è compiuto «con amore e passione, quella che vogliamo tramandare a nostro figlio Teo, nella speranza che la tecnologia non allontani del tutto le nuove generazioni dalla nostra storia». Il che pare un buon auspicio per continuare a monitorare sogni e progetti avviati sullo “scoglio” di Capraia.

La Sorgente | via Lamberto Cibo, 9 | 3356569144

 

La “fattoria del mare”,  tra orate e branzini coltivati nelle acque del Parco Nazionale Arcipelago Toscano

MARICAP (Cooperativa Maricoltura e Ricerca) nasce 2005 dalla visione del mai dimenticato Vincenzo, per tutti Enzino, pescatore innamorato dalla sua Capraia che ben pensò di rilevare un’attività di allevamento ittico nata come sperimentazione nel 1998. Per farlo unì gli sforzi degli amici lucchesi Fabio e Stefano, che oggi guidano assieme a suo figlio Giorgio quella che è divenuta l’azienda più strutturata dell’isola. «Una fattoria del mare», come amano definirla, «orate e branzini coltivati nelle privilegiate acque del Parco Nazionale Arcipelago Toscano», come racconta Giorgio. «È questo che ci caratterizza», «un ambiente incontaminato che permette di portare sulle tavole un pesce di eccellenza», certificato bio e libero da uso di antibiotici. Otto gabbie circolari galleggianti per circa 4800 metri cubi di volume l’una, collocate a mezzo miglio dalle rive di Porto Vecchio dove «non abbiamo mai avuto necessità di somministrare medicamenti, di ossigenare o riscaldare le acque: il metabolismo del pesce resta inalterato come accade per le specie selvagge». Circa 250 tonnellate di prodotto annuale, perlopiù acquistabile sui banchi della grande distribuzione toscana, dove la sfida diviene quella di «differenziarsi dagli allevamenti intensivi».

Maricap | via del Semaforo | 0586905931 | maricolturacapraia.it

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