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Il vero volto delle Marche nel cuore silenzioso dell’entroterra

Vi proponiamo un itinerario lungo la dorsale appenninica alla scoperta del volto autentico dell’entroterra marchigiano. Dall’antica Fabriano alla rocciosa Arcevia passando per le grotte di Frasassi e i vicoli di Serra San Quirico.

  • 11 Giugno, 2025

In collaborazione con regione Marche

La dorsale appenninica attraversa le Marche senza affacciarsi sul mare, non ospita grandi città d’arte e raramente compare sugli itinerari turistici. Eppure, lungo la fascia montana che da Fabriano sale verso Genga, attraversa Serra San Quirico e si apre su Arcevia, si snoda un itinerario che restituisce il volto più autentico della regione: quello dell’entroterra, dove il tempo scorre lento e il paesaggio racconta una geografia di transizione, stretta tra l’Umbria e l’Adriatico.

È una linea interna delle Marche in cui borghi in quota, pievi medievali, grotte millenarie e parchi naturali si alternano, ridisegnando i confini di territori che hanno saputo resistere allo scorrere del tempo, ma non sempre al declino demografico. Come in gran parte dell’Appennino, anche in quest’area lo spopolamento ha infatti svuotato borghi e costretto molte botteghe a chiudere i battenti. Ma sotto la cenere della crisi industriale e demografica si muovono oggi energie nuove: piccole imprese e attività artigianali che scelgono di ricominciare partendo proprio dal territorio.

Fabriano la bella

È soprattutto la città di Fabriano che dopo aver conosciuto i fasti dell’industria, esplosa durante la stagione dell’elettrodomestico, oggi risente delle conseguenze del suo tramonto, oltre che dello spopolamento in atto. Nonostante ciò, questa perla racchiusa nel cuore verde dell’appennino continua a custodire una bellezza autentica, declinata in molte forme, a cominciare da quella della carta, e della filigranatura dei fogli, invenzione introdotta dai mastri cartai nel XIII secolo che è valsa a Fabriano l’inserimento nelle Città Creative UNESCO.

C’è poi la bellezza artistica delle opere di Gentile da Fabriano, maestro del gotico internazionale, la cui memoria è custodita nella Pinacoteca Civica “Bruno Molajoli”; ma anche quella spirituale, racchiusa nell’Abbazia di San Salvatore in Val di Castro, fondata intorno all’anno mille in una remota valle ai piedi del Monte San Vicino.

A raccontare l’identità profonda di Fabriano, anche le sue tradizioni popolari: ogni giugno, fino al giorno 24, la città si anima per il Palio di San Giovanni Battista, una rievocazione storica in occasione della quale le vie del centro si popolano di hostarie, mentre artisti e compagnie mettono in scena il Convivio Errante. Le strade, infine, si vestono di colore con le infiorate, disegni realizzati a mano che ricoprono il selciato urbano trasformandolo in un mosaico di simboli e petali.

Salame e Verdicchio. Connubio perfetto

Ma Fabriano è anche una città dove la cultura materiale – quella che si tocca e si assapora – ha ancora un ruolo centrale e tra i prodotti più rappresentativi del territorio c’è sicuramente il salame di Fabriano, presidio Slow Food, di cui Giuseppe Garibaldi celebrò la qualità già nell’Ottocento. Qualche anno più tardi l’intellettuale marchigiano Oreste Marcoaldi ebbe a scrivere: «il salame è una specialità fabrianese, come di Bologna è la mortadella e di Modena lo zampone». Si tratta di un salume nobile, fatto macinando la parte più pregiata del maiale, in particolare coscia e spalla, impastate con lardelli di grasso, sale e pepe. Appesi a coppie, i salami asciugano qualche giorno al fuoco lento del camino, ma senza affumicare, e solo dopo 50-60 giorni di stagionatura sono finalmente pronti.

Al taglio il salame si presenta asciutto ma morbido, con un profumo evoluto e privo di sentori di carne cruda, mentre al gusto spiccano dolcezza, sfumature vanigliate e una lunga persistenza aromatica. A esaltare il sapore di questo salume un altro protagonista dell’entroterra marchigiano: il Verdicchio di Matelica. A differenza del più noto Verdicchio dei Castelli di Jesi, il Matelica cresce in un microclima unico, all’interno di una valle chiusa che favorisce escursioni termiche marcate e una maturazione lenta e regolare delle uve. Il risultato è un vino più minerale, teso e verticale, che conquista per la sua freschezza, per le note di fiori bianchi, di erbe di campo, di mandorla e per un’interessante sapidità rocciosa.

Le Marche sotterranee

Dopo aver esplorato Fabriano e percorrendo una strada panoramica che piega verso est, si raggiunge Genga, piccolo borgo medievale e porta d’accesso al Parco Naturale della Goladella Rossa e di Frasassi. Qui la natura ha scolpito uno dei complessi carsici più spettacolari d’Europa: le Grotte di Frasassi.

Il percorso alla scoperta di questo intreccio di cavità sotterranee che si dispiega per oltre 13 chilometri, si apre con l’imponente Sala Abisso Ancona, talmente vasta da poter contenere il Duomo di Milano, e si snoda tra stalattiti e stalagmiti che modellano un universo fatto di pietra e goccia. Ma questa zona è anche terra di ritrovamenti archeologici: è infatti qui che nel 2008 è stata scoperta la Venere di Frasassi, una minuscola statuetta femminile risalente al Paleolitico superiore.

A pochi passi dalle grotte si trova anche la suggestiva Abbazia di San Vittore alle Chiuse, perfetto esempio di architettura romanica marchigiana. Al suo interno è custodita la leggendaria Mela del Papa, una reliquia legata a Papa Leone IX che, secondo la tradizione, avrebbe donato proprio a questo luogo un frutto raro, appartenente a una varietà antica di mela locale che, dopo essere stata abbandonata per secoli, è oggi tornata a vivere grazie agli sforzi di recupero degli agricoltori locali.

Architetture antiche, sapori autentici

Lasciate le meraviglie sotterranee di Frasassi, l’itinerario prosegue verso est per arrivare a Serra San Quirico, un borgo dall’impianto medievale rimasto quasi intatto. Qui particolarmente
suggestive sono le Copertelle, passaggi coperti che corrono lungo le antiche mura, disegnando una galleria urbana sospesa tra ombra e pietra.

Originaria della zona di Serra è una delle ricette più identitarie dell’entroterra marchigiano: i calcioni, piccoli fagotti di pasta con un ripieno che gioca con il contrasto tra il dolce e il salato; è infatti a base di pecorino stagionato, uova, zucchero e un’aggiunta di scorza di limone. La forma è quella classica a mezzaluna, chiusa a mano, come si faceva un tempo nelle cucine contadine dove i calcioni venivano preparati in occasione delle festività, mentre oggi vengono proposti tutto l’anno.

Dalla porta di Serra, proseguendo verso sud costeggiando la Gola della Rossa, si arriva infine ad Arcevia, uno dei centri più spettacolari dell’alto marchigiano. Adagiata su un crinale che guarda la valle sottostante e protetta da una poderosa cinta muraria, Arcevia è famosa per i suoi nove castelli, ma anche per una gastronomia schietta e sostanziosa.

In tavola qui domina il coniglio in porchetta, piatto simbolo della cucina contadina marchigiana che nasce dall’arte di insaporire le carni bianche con gli stessi aromi usati per il maiale: finocchietto selvatico, aglio, pepe, pancetta e lardo. La carne viene poi arrotolata e cotta lentamente, fino a diventare tenera e profumata. Il risultato è un piatto saporito e al contempo delicato, che racconta il legame profondo tra la cucina e l’identità di un territorio schietto e autentico come quello dell’entroterra marchigiano.

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Regione Marche
Ancona
via G. da Fabriano, 9
www.letsmarche.it
fb: marche.tourism
IG: marche.tourism
Tik Tok: marchetourism

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