
Abbiamo passato qualche giorno con Manna e Chizu, ospiti del loro ristorante Manmi Yakinku a Nago, specializzato in piatti a base di maiale, e nella loro casa a Nakijin per farci raccontare la cucina di Okinawa. Manna ci spiega che, a differenza del resto del Giappone, dove l’allevamento degli animali da carne è stato vietato per circa un migliaio di anni, fino all’apertura con l’Occidente nel secondo Ottocento, a Okinawa la cucina di maiale è il cuore gastronomico dell’isola. Questa particolarità è dovuta essenzialmente a due fattori: la religione e la necessità. Per quanto riguarda la religione, le ragioni sono piuttosto chiare: mentre in Giappone la forte presenza buddista imponeva precetti sempre più rigidi nel confronto dell’uccisione e del consumo di animali, a Okinawa non riusciva a scalfire l’antico nucleo della religione tradizionale.
Alla base della spiritualità okinawense si trova un sistema religioso autoctono che costituisce il cuore identitario dell’arcipelago. Questo insieme di credenze si fonda anzitutto sul culto degli antenati, che vengono onorati attraverso rituali presso le tombe familiari o tramite offerte quotidiane poste sugli altarini domestici (butsudan). Di particolare rilievo è il ruolo centrale attribuito alle donne, custodi del rapporto con il mondo invisibile: tra queste spiccano le noro, sacerdotesse ufficiali con compiti rituali, e le yuta, sciamane o medium che fungono da tramite con gli spiriti. La sacralità del territorio si esprime inoltre nella presenza degli utaki, luoghi naturali — boschetti, grotte, formazioni rocciose — ritenuti dimora delle divinità e degli spiriti ancestrali, dove ancora oggi si svolgono cerimonie e pratiche votive. All’interno di tutto ciò, la pratica di sacrificio del maiale ha conservato un carattere sacro, preservando l’antica tradizione che si riflette nella cucina di Okinawa.
La necessità di allevare il maiale si è conservata anche a causa della politica agricola imposta per secoli agli abitanti di Okinawa. Grazie al clima tropicale dell’isola, qui era infatti possibile coltivare prodotti molto apprezzati: tra tutti la canna da zucchero. Questa coltivazione ha rappresentato, per Okinawa, non solo una fondamentale risorsa economica, ma anche un tratto identitario e simbolico della sua storia agricola. Sviluppata in maniera significativa a partire dal periodo del Regno delle Ry?ky? (1429–1879), si è intensificata in modo ancora più marcato durante l’epoca Meiji e Taish?, in seguito all’annessione dell’arcipelago al Giappone nel 1879.
In questo periodo Okinawa fu spinta dal governo giapponese verso una monocoltura sempre più intensiva della canna da zucchero per rispondere alla domanda crescente dell’industria nazionale. Furono costruite numerose raffinerie, spesso controllate da capitali giapponesi, causando conseguenze critiche per le popolazioni locali: i contadini okinawesi si trovarono spesso in condizioni di sfruttamento e povertà, con margini di guadagno ridottissimi, in un contesto che molti storici hanno descritto come una vera e propria “colonizzazione interna”. Durante il periodo Sh?wa e soprattutto nel secondo dopoguerra, quando Okinawa fu sotto amministrazione statunitense (1945–1972), la canna da zucchero mantenne un ruolo centrale nell’economia agricola dell’isola. Nonostante alcuni sforzi di modernizzazione, l’arcipelago rimase per decenni fortemente dipendente da questa coltivazione, che costituì ancora negli anni Settanta una delle principali fonti di reddito agricolo per la popolazione locale. In questo contesto, l’allevamento dei piccoli maiali autoctoni, chiamati Aguu, era diventata la chiave di sopravvivenza per le famiglie e uno dei pilastri dell’economia domestica.
Un fitto pelo nero, lungo e arruffato ricopre il corpo dell’Aguu,il maiale autoctono di Okinawa. Questo suino presenta un ventre prominente e pendente, zampe corte e robuste, un muso rugoso e orecchie cadenti. Di taglia più piccola rispetto ad altre razze, raggiunge un peso adulto di circa 100 kg, tuttavia, ha il vantaggio di raggiungere la maturità rapidamente, in circa 100 giorni. L’Aguu è apprezzato per la qualità della sua carne: il grasso ha un basso punto di fusione associato a un contenuto lipidico moderato, un profumo delicato e un sapore ricco.
Nel corso del XIX secolo furono importate razze di maiale bianco, dando origine a numerosi incroci. Ma è durante la Seconda Guerra Mondiale, quando Okinawa divenne uno dei principali teatri di battaglia nel Pacifico, che si verificò una drastica riduzione: oltre il 90% delle razze locali scomparve. Oggi sopravvivono un numero limitato di Aguu, nell’isola, soprattutto grazie a programmi di conservazione della razza, ma continuano a essere usati e apprezzati nella cucina tradizionale.
La maggior parte dei piatti tipici contiene maiale in varie forme, come il soki (zuppa di costine), il nakami (zuppa di interiora) e il chiricha (piatto saltato con sangue di maiale). Tra i derivati, il su-chikaa è carne di maiale conservata sotto sale, mentre uwaa-andaa indica il lardo. Sebbene sia diffusa in tutto il Giappone, la zuppa di soba (gli spaghettoni nipponici) qui prende un’altra forma e il brodo viene fatto con la pancetta, le ossa e altre parti del maiale cotti a lungo. A questo viene aggiunto un secondo brodo ottenuto dalla bollitura del katsuobushi (scaglie di tonnetto essiccato) per aggiungere umami. La pancetta, già usata per il brodo, viene poi affettata e cotta una seconda volta insieme ai funghi shitake e all’alga kombu al’interno di un liquido composto da una miscela di salsa di soia, mirin, zucchero e awamori (il tipico distillato dell’isola). Questi ingredienti vengono poi usati per arricchire il piatto di soba di Okinawa insieme all’erba cipollina e allo zenzero tritato.
Biscotti a case di maiale
Lo strutto di maiale è il grasso principale della cucina dell’isola ed entra in molte altre ricette, compresi i dolci. Ad esempio viene usato nei biscotti tipici, chiamati chinsuko, che hanno una ricetta estremamente semplice: 100 gr di strutto, 150 gr di zucchero, 200 gr di farina e un pizzico di sale. Dall’impasto si ricavano piccoli biscottini rotondi da infornare a 150 gradi per 25 minuti. Il risultato è simile agli shortbread scozzesi o ai sablés bretoni, con la differenza che non viene utilizzato burro, ma uno strutto dal gusto leggero, quasi impercettibile. La ricetta però non proviene dall’Occidente, ma da alcuni biscotti diffusi anticamente in Cina che sono penetrati nella cultura dell’Isola grazie agli scambi commerciali.
I biscotti di Okinawa sono solo un esempio degli incroci gastronomici di cui è testimone questo territorio. Grazie alla sua posizione strategica al centro del Pacifico, l’isola è sempre stata interessata da un intenso flusso di scambi commerciali e culturali con gli altri Paesi, in particolare la Cina, Taiwan, le Filippine e, naturalmente, il Giappone. In epoca storica, prima dell’apertura definitiva all’Occidente, la cucina di Okinawa ha subito anche l’influenza europea, per quanto molto limitata e mediata. Un caso interessante è quello dell’uso del nero di seppia, introdotto come ingrediente in cucina grazie agli spagnoli, passando per le Filippine, che erano divenute un’importante colonia della Spagna a partire dal 1565. Il nero di seppia (ikasumi) viene usato tutt’ora per alcune zuppe tradizionali come l’okasumi-ju dove il riso viene cotto con nero di seppia, brodo di pesce o dashi, pezzi di seppia, carote e, a volte, pancetta. In passato però il nero di seppia era anche considerato tonico, usato in chiave di yakuzen (cucina medicinale): si pensava che rinforzasse il sangue o avesse proprietà “ricostituenti”. Nel resto del Giappone il nero di seppia inizia a essere usato solo molto tempo dopo, grazie alle influenze della cucina italiana: si possono infatti trovare gli spaghetti al nero di seppia in molti ristoranti che propongono cucina italiana o itameshi (cucina ibrida italiana-giapponese).
© Gambero Rosso SPA 2025
P.lva 06051141007 Codice SDI: RWB54P8 Gambero Rosso registrazione n. 94/2021 Tribunale di Roma
Modifica impostazioni cookie
Privacy: Responsabile della Protezione dei dati personali – Gambero Rosso S.p.A. – via Ottavio Gasparri 13/17 – 00152, Roma, email: [email protected]
Resta aggiornato sulle novità del mondo dell’enogastronomia! Iscriviti alle newsletter di Gambero Rosso.
© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati.
Made with love by Programmatic Advertising Ltd
Made with love by Programmatic Advertising Ltd
© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati
La ristorazione italiana sta dando prova di grande vitalità e maturità (antispreco e sostenibilità sono ormai voci “fisse” dei menu, crescono le proposte vegane e salutari di alto profilo). Per questo dopo l’anno zero della pandemia, la guida torna con voti e classifiche. Oltre 2000 indirizzi e tante novità fra ristoranti, trattorie, wine bar e locali etnici (segnalati, rispettivamente, con il simbolo delle forchette, dei gamberi, delle bottiglie e dei mappamondi) per consentire a ciascuno di trovare l’indirizzo giusto.
No results available
Reset