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L'akutaq, il gelato che racconta come si sopravvive nell’estremo nord dell’Alaska

Tra neve, bacche e grasso animale, questo piatto cerimoniale unisce nutrimento e tradizione, sfidando le nostre idee di dolce e ricordandoci la centralità della comunità nelle culture indigene

  • 08 Settembre, 2025

Quando si pensa all’Alaska, la mente riporta a paesaggi di ghiaccio e aurore boreali. Tuttavia, in questa terra estrema dove l’inverno domina la maggior parte dell’anno, si custodisce un patrimonio culturale e gastronomico unico, legato alla vita dei popoli nativi che da secoli abitano queste latitudini. Tra le tradizioni che più colpiscono c’è l’akutaq, conosciuto anche come “Eskimo ice cream”, un piatto che sfida l’idea di gelato a cui siamo abituati in Occidente e a cui, forse, è stata assegnata una nomenclatura che non ne rende appieno giustizia.

Foto di Cody Lupie

La gastronomia dell’estremo Nord

La cucina dei popoli Inuit e Yup’ik non nasce come forma di piacere, piuttosto come risposta a un ambiente vitale ostile e privo di grandi fonti di alimentazione. In luoghi dove è raro reperire verdure fresche o frutta esotica, la dieta tradizionale si basa su carni di renna, alce, foca, pesce e bacche raccolte nella breve estate. In questo contesto ogni piatto assume una funzione pratica, senza trascurare la dimensione comunitaria. La parola “akutaq” in lingua Yup’ik significa letteralmente “mescolare”.

E infatti questo dessert o, meglio dire, questo piatto cerimoniale, è il risultato di una mescolanza di ingredienti a primo impatto inconciliabili. Tradizionalmente si prepara con grasso di renna o di foca, neve o acqua ghiacciata, bacche selvatiche e talvolta pesce o carne di selvaggina finemente tritati. La consistenza finale ricorda vagamente quella del gelato, anche se il gusto è molto lontano da quello zuccherino a cui si è abituati in altri contesti. L’akutaq è la perfetta commistione di tutti questi fattori. Non nasce per essere dolce, bensì per nutrire, conservare gli alimenti e fornire un alto apporto calorico, con l’aggiunta della freschezza e della leggera acidità delle bacche, come mirtilli o lamponi artici.

Foto di Kash Adam

La valenza comunitaria che assume il prodotto

L’akutaq ha origini molto antiche e fin dall’inizio ha sempre rappresentato l’idea di un piatto fondamentale nelle comunità indigene dell’Alaska. Veniva preparato di tanto in tanto come alimento quotidiano, ma in particolar modo in occasione di riti e cerimonie, spesso per onorare chi era scomparso o per celebrare il ritorno nei villaggi dei cacciatori. Lo stesso grasso animale, base della ricetta, aveva un forte valore simbolico, essendo l’ingrediente che permetteva di sopravvivere al gelo, nella loro visione ciò che custodiva la vita.

Dal lato pratico, la ricetta prevede di montare a lungo il grasso animale fino a ottenere una crema soffice, alla quale si aggiungono neve fresca o acqua ghiacciata, bacche e, in alcune varianti, pezzetti di pesce bianco essiccato o carne di caribù. Oggi, in molte comunità, il grasso di foca o renna viene sostituito con ingredienti più adatti ai palati contemporanei, come il crisco – grasso vegetale idrogenato – o lo zucchero, rendendo l’akutaq più vicino a un dolce.

Foto Inuit Hunting stories of the day

Quando e dove si consuma

L’akutaq non è mai stato considerato un dessert quotidiano, piuttosto un piatto cerimoniale, da consumarsi in particolari occasioni ed eventi. Oggi, sebbene la diffusione sia diminuita, continua a essere preparato in alcune zone rurali dell’Alaska, soprattutto nei villaggi Yup’ik e Inupiat, ancora radicati al folclore comunitario. È comune trovarlo nelle celebrazioni tradizionali, nei festival culturali o nelle case delle famiglie che mantengono vive le usanze dei loro antenati.

Nelle città di dimensioni più importanti, come Anchorage o Fairbanks, l’akutaq sopravvive soprattutto nelle manifestazioni culturali, vedi l’Alaska Federation of Natives Convention, e in alcuni rari ristoranti che propongono cucina tradizionale indigena. Chiamarlo gelato è forse fuorviante, l’akutaq non è un dessert che rientra nei canoni classici, ma un alimento capace di adattarsi a un ambiente estremo come quello in oggetto. È un piatto che insegna a guardare oltre il gusto immediato, per scoprire il valore reale che il cibo è in grado di assumere.

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