Ci sono storie che iniziano più volte. Non perché si interrompano, ma perché trovano nuovo fiato, nuova pelle, nuova luce. La storia di Alberia è una di queste: ha i colori della Sicilia, la voce del mare, la testa di un ingegnere e il cuore di una donna venuta dalla Costa Brava. È la terza vita di Alberto Cirafici, classe 1969, originario di Trapani, cresciuto a Bagheria e approdato a Torino per studiare ingegneria. Una carriera costruita attorno ai telai per la più grande casa automobilistica italiana, quattordici anni all’ombra della Mole a progettare, disegnare, perfezionare. Poi un cortocircuito.
«Nel 2003, a 33 anni, resuscito anche io», racconta Alberto con un sorriso ironico e gentile. Torna a Sud per la sua seconda vita, quella dell’acqua: diventa istruttore subacqueo, partecipa a campagne di archeologia subacquea, apre una parentesi nel mondo della ristorazione, coltiva altre passioni. Ma è la terza che ci interessa di più, quella del vino, che comincia nel 2013 con un incontro.
Nuria Heras Isach, classe 1972, è catalana di Sant Pere Pescador, un piccolo paese di mare affacciato sulla Costa Brava. Laureata in Letteratura e Filologia Spagnola e Traduzione Spagnola e Inglese, arriva in Sicilia cinque anni dopo quell’incontro. «Dopo 5 anni d’amore e voli low cost mi trasferisco a Marsala», racconta. È l’inizio di Alberia, crasi di Alberto e Nuria, progetto di vita prima ancora che di vino. Perché è proprio la loro unione – emotiva, culturale, ideale – a generare un’idea di vino in cui convivono pragmatismo e poesia, pensiero tecnico e slancio affettivo.
Nel 2018 Alberto decide di iscriversi al corso di laurea in Viticoltura ed Enologia dell’Università di Palermo, sede di Marsala. Ha cinquant’anni. L’idea era di farlo l’anno dopo, ma Nuria – che della coppia è la parte concreta – lo sprona a non rimandare: «altrimenti non lo fai più». Alberto si butta. Prima un tirocinio da Caruso & Minini, poi uno da Nino Barraco. Intanto, nella camera degli ospiti della loro casa di contrada Spagnola a Marsala, prende forma il primo esperimento di vinificazione. «Lo abbiamo fatto lì, tra scatole, letti smontati e fermentazioni lente. Lo chiamavamo Ska: doveva essere Skatarratto, il vino che ti fa ballare. Ma l’assonanza con scatarro ci ha fatto desistere», ride Alberto. Il nome è rimasto monco, ma lo spirito no.
Nel 2023, finalmente, il primo vero battesimo enologico. Tre vini bianchi, tre modi diversi di leggere il territorio e raccontare se stessi: A occhi chiusi, Per mano, In testa. Tutti figli di fermentazioni spontanee, nessuna chiarifica, nessuna filtrazione, niente interventi correttivi. «Siamo partiti senza nulla. Non ho un nonno vignaiolo, nessuna vigna in eredità, nemmeno una cantina. I miei erano impiegati pubblici. Di vino, in famiglia non se ne è mai fatto», spiega Alberto. Nuria, da parte sua, lo accompagna con uno sguardo curioso, ironico e affettuoso: «Però beviamo vino da due generazioni». Hanno iniziato da zero, ma con la testa piena di idee.
Le uve arrivano da piccoli vigneti in provincia di Trapani. Il catarratto – varietà identitaria – è la base di due dei tre vini, proveniente da un mezzo ettaro in contrada Costa ad Alcamo: terreno argilloso, calcareo, fresco. Il grillo, invece, viene da Petrosino, comune che si distende tra Marsala e Mazara del Vallo. È da quelle parti che oggi cercano un appezzamento da condurre in prima persona. «Per ora lavoriamo su uve acquistate, ma con grande attenzione alla qualità e alla relazione con chi le coltiva. Ci piacerebbe presto chiudere il cerchio, gestendo noi anche la vigna».
Il trittico 2023 è la sintesi di questa filosofia: vini leggeri ma non esili, acidi, sapidi, luminosi. Vini di luce. A occhi chiusi è un bianco da catarratto con una leggera macerazione, fresco e minerale, nato per restituire il territorio a occhi bendati, solo con naso e palato. Per mano è un grillo diretto e gentile, fermentato in acciaio e affinato anche in botti di castagno (una irpina, una calabrese) che donano profondità senza peso. È un omaggio agli amici, a chi ha sostenuto il progetto quando era solo un’idea in cerca di spazio. In testa è il vino più “pensato”: fermentazione sulle bucce, veste aranciata, struttura e tensione. È l’evoluzione dello Ska, quello fatto nella camera degli ospiti, ed è forse il più autobiografico dei tre.
La produzione 2023 è stata di circa 9000 bottiglie. Poche, per scelta e per necessità. Perché fare vino così, a Marsala, senza proprietà, senza una cantina di proprietà, significa combattere ogni giorno. «Quest’anno dobbiamo trovare una nuova sede di vinificazione. Non potremo più utilizzare quella dove abbiamo vinificato finora. Ce lo hanno comunicato a inizio giugno, appena terminato l’imbottigliamento della 2024», spiega Alberto con un misto di preoccupazione e determinazione. Il tono è sereno, ma il problema è concreto. In ballo c’è la continuità stessa del progetto. Eppure la loro energia resta intatta. Nei gesti, nelle parole, nei post su Instagram che parlano di vino come si parla di amici, emozioni, piccoli momenti di felicità. «Abbiamo scelto nomi che raccontassero il nostro percorso, i nostri sensi, le parti del corpo con cui ci muoviamo nel mondo. Con gli occhi chiusi sentiamo meglio, con le mani ci sosteniamo, con la testa pensiamo ma sogniamo anche».
Alberia è questo: un piccolo laboratorio di libertà e coraggio, nato tra la Spagna e la Sicilia, cresciuto con l’ostinazione dolce di chi non ha nulla da perdere ma tutto da creare. È un’idea di vino che non strilla, non ammicca, non si prende troppo sul serio, ma che ha già trovato una voce: chiara, come la luce.
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