Anne Burrell sembrava inarrestabile. I capelli biondo platino come un manifesto, la voce roca, la gestualità da rocker. Una chef fuori dagli schemi, che aveva fatto della sua personalità una firma. La sua morte, avvenuta a giugno, aveva lasciato sgomenti. Ora, la conferma: si è trattato di suicidio. Un epilogo che inevitabilmente riporta alla mente un’altra figura cardine della cucina contemporanea, Anthony Bourdain. Anche lui cuoco, anche lui autore, anche lui icona televisiva. E anche lui, tormentato. Quelli di noi cresciuti con il linguaggio culinario del suo primo libro, Kitchen Confidential – metabolizzando il suo racconto crudo e realistico su sesso, droga e mise en place – è ancora in lutto per la sua assurda scomparsa. Il best seller del 2000 aveva catapultato l’allora quarantaquattrenne chef sotto i riflettori, reso la sua voce, profana e poetica, l’unica vera narrazione della metastasi della cultura gastronomica di quel tempo. Sono tanti i punti di contatto frai i due cuochi.
Anne Burrell e Anthony Bourdain non si sono mai veramente incrociati davanti alle telecamere, eppure sembrano due facce della stessa medaglia. Tredici anni di differenza, ma entrambi cresciuti in cucine dove si imparava il mestiere sul campo; prima che il ruolo dello chef diventasse anche mediatico, didattico o da palcoscenico. Entrambi irregolari, scomodi. Ma capaci di usare la cucina come altissimo veicolo d’espressione. E poi, entrambi trasformati in star: Burrell con i suoi programmi su Food Network, sempre sopra le righe, sempre pronta a ridere forte; Bourdain con i suoi documentari di viaggio che univano cibo e riflessione, spesso con note profonde che andavano oltre le destinazioni e i sapori.
Il successo, però, non li ha protetti, li ha piuttosto esposti. Non solo alla pressione mediatica, ma anche a quella interna. In un settore che oggi parla molto di salute mentale, ma che per decenni ha taciuto, anestetizzato con turni infiniti, adrenalina e durezza, le difficoltà personali restavano spesso invisibili.
Burrell aveva appena compiuto cinquantacinque anni. Aveva insegnato, scritto libri, formato generazioni di cuochi. Era tornata più volte in tv, tra sfide culinarie e format di intrattenimento. Appariva energica, teatrale, onnipresente. Come Bourdain, aveva saputo oltrepassare i confini del ruolo classico dello chef, parlando a un pubblico vasto, generalista, che nella cucina cercava più di un semplice piatto. Eppure, come nel caso di Bourdain, dietro lo schermo, dietro l’apparente sorriso, anche per lei, c’era altro. Nessuno potrà dire con certezza cosa abbia portato a quel gesto, ma è evidente che la luce forte sotto cui entrambi si muovevano proiettava anche ombre lunghe.
Le morti di Anne Burrell e Anthony Bourdain (è in arrivo un documentario su di lui) non possono essere ridotte a episodi tragici di cronaca. Sono segnali, fratture che rivelano quanto ancora sia difficile, anche in personaggi universalmente amati, affrontare quelle ombre lunghe. Il loro gesto estremo ha mostrato che anche le figure più carismatiche e sicure possono portare dentro fragilità profonde. E che, forse, il mondo della cucina ha ancora molto da imparare su come prendersi cura di chi lo abita.
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